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Quanto dura l’autorizzazione sanitaria per uno studio medico?

16/06/2023

Autorizzazione sanitaria per uno studio medico: quando, come e perché ottenerla. La differenza tra studio medico e ambulatorio e ipotesi di esclusione di obblighi. Tutto quello che c’è da sapere.

Quanto dura l’autorizzazione sanitaria per uno studio medico?

La risposta al quesito è presto detta, anche se le digressioni da fare sono numerose e particolareggiate. Le strutture autorizzate devono comunicare, almeno ogni 5 anni attraverso una autocertificazione, la permanenza dei requisiti minimi necessari per mantenere l’autorizzazione. In caso dell’accertamento di violazioni, viene diffidata la struttura a provvedere all’adeguamento, entro 90 giorni.

 

Tuttavia, prima di addentrarci all’interno dell’argomento riguardante lo studio medico, è necessario inquadrare bene l’argomento iniziando a capire cosa si intende per “studio medico” e qual è la differenza, ad esempio con “l’ambulatorio”.

 

Importante la differenza tra Ambulatorio e Studio Medico

 

Mentre in uno studio medico prevale l’attività del medico specializzato e il suo rapporto con il paziente; nell’ambulatorio vi è un’impostazione più da impresa, per cui l’apporto del professionista è solo uno degli elementi che lo caratterizzano, proprio perché si è soliti pensarlo come una “struttura sanitaria”, intesa come organizzazione complessa nella quale i fattori produttivi sono organizzati sul modello impresa. Tra ambulatorio e studio medico corre la stessa differenza che sussiste tra l’esercizio di attività d’impresa ai sensi dell’art. 2082 e 2555 c.c. e l’esercizio di una professione intellettuale ai sensi dell’art. 2229 c.c. In particolare, è Ambulatorio o Poliambulatorio la struttura inquadrata in un contesto aziendale, dotato di propria individualità ed autonomia, strutturata in modo da essere in esercizio indipendentemente dalla presenza o, addirittura, dalla figura di un titolare ed a servizio dell’attività professionale di una pluralità di sanitari. La Suprema Corte qualifica Ambulatorio “l’esistenza di una struttura organizzativa complessa, caratterizzata da un insieme di risorse umane e organizzative per lo svolgimento dell’attività, attrezzata ad erogare prestazioni di chirurgia ambulatoriale nel campo della chirurga plastica (estetica, dermatologica, flebologica-vascolare) (….) mediante procedure di particolare complessità, con l’intervento contemporaneo di più operatori, svolte con l’assistenza di professionisti/collaboratori esterni, specializzati nei rispettivi campi di prestazione medica, con assistenza anestesiologica” (Cass. Civ., Sez. II, 19/03/2010 n. 6719).

 

Mentre lo Studio Medico è quello nel quale si esercita un’attività sanitaria il cui profilo professionale si appalesa assolutamente prevalente rispetto a quello organizzativo (Cass. Sez. I, 14/1/98 n. 256).

 


In linea di principio lo studio medico non dovrebbe aver bisogno di una specifica autorizzazione, proprio perché l’elemento principale ed esclusivo del suo funzionamento è il professionista, il quale è in possesso dell’abilitazione a svolgere la professione di medico chirurgo o di odontoiatra. Viceversa, l’ambulatorio o la struttura sanitaria hanno bisogno, per poter funzionare, di una apposita autorizzazione, in quanto si tratta di un’organizzazione complessa di lavoro, beni e servizi.


 

Tuttavia, oggi, esistono delle deroghe.

 

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Cosa stabilisce il Testo Unico Sanitario in tema di autorizzazione sanitaria?

 

Nella moltitudine legislativa italiana, esiste uno speciale regolamento, emanato dal prefetto e approvato dal Ministro per l’Interno, sentito il Consiglio Superiore di Sanità, che determina le norme generali per il servizio di vigilanza igienica degli uffici sanitari. Il Testo Unico Sanitario, approvato con R.D. 27 luglio 1934, n.1265 e riformato con successive modifiche, anche recenti. In particolare, nel 1999 si prese coscienza dell’eventuale rischio per la salute dei pazienti, soprattutto in caso di prestazioni di particolare complessità.

 


“Nessuno può aprire o mantenere in esercizio ambulatori, case o istituti di cura medico-chirurgica o di assistenza ostetrica, gabinetti di analisi per il pubblico a scopo di accertamento diagnostico case o pensioni per gestanti, senza speciale autorizzazione del prefetto, il quale la concede dopo aver sentito il parere del consiglio provinciale di sanità.”


 

Rispetto alla logica di cui sopra, va considerato che questa è una norma, a carattere generale che va però letta congiuntamente con la disposizione speciale dettata dall’art. 8 ter D. Lgs. n. 502 del 1992 per gli studi odontoiatrici che non prestano attività diagnostica rischiosa. In particolare, il suddetto articolo, inserito dall’art. 8, comma 4, del D. Lgs. 19 giugno 1999 n. 229 e successive modifiche assoggetta ad autorizzazione gli studi odontoiatrici, medici e di altre professioni sanitarie eroganti prestazioni di chirurgia ambulatoriale, ovvero procedure diagnostiche e terapeutiche di particolare complessità o che comportino un concreto rischio per la sicurezza del paziente.

 

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Sulla base di quanto premesso, la prevalente giurisprudenza ha poi rilevato che “lo studio medico, per rimanere tale e non configurare un ambulatorio, deve essere inscindibilmente legato all’attività professionale del soggetto titolare o dei titolari associati, con profilo prevalente di tale attività su quello organizzativo e conseguenti effetti anche sul piano della configurazione della struttura” (Consiglio Stato, Sez. III, 27/03/20017 n.1382 – Consiglio Stato, Sez. V, 20/12/2013 n.6136; Cass. Civ., Sez. II, 19/03/2010 n. 6719). Stessa situazione accade per gli Studi Medici Associati, nei quali la responsabilità professionale rimane comunque in capo al singolo professionista. La loro costituzione permette a più medici di condividere gli oneri correlati alla gestione dello studio, senza che ciò comporti lo svolgimento di attività d’impresa.

 

Tuttavia, con l’evolversi della tecnologia in campo sanitario, il termine “studio medico” si è venuto ad applicare ad attività molto diverse. In considerazione di tale evoluzione, la Regione Lazio – ad esempio – ha dato espresso riconoscimento ad una realtà, oramai sempre più diffusa, ossia quella dello Studio Polimedico.

 

Anche in tal caso, il codice civile prevede difatti l’obbligo di conseguire il titolo autorizzativo all’esercizio soltanto nel caso in cui l’attività sanitaria sia organizzata in forma d’impresa (2238 e 2082 e ss. del cc.), risultando in tal senso sempre prevalente la componente organizzativa rispetto a quella di professione intellettuale. Con l’entrata in vigore del d.lgs. 229/1999, si è però registrato un mutamento di approccio nell’ambito dell’ampia categoria degli studi medici. In particolare, attraverso l’introduzione dell’art. 8-ter nel d.lgs. 502/1992 si è collegata la necessità dell’autorizzazione, non più soltanto all’esistenza di un ambulatorio anziché di uno studio medico, ma anche allo svolgimento da parte dello studio medico di determinate attività.

 

Il legislatore ha quindi differenziato le fattispecie per le quali risulta obbligatoria la suddetta autorizzazione sanitaria, circoscrivendo le ipotesi di violazione e stabilendo i margini del regime autorizzativo delle attività sanitarie esercitate dallo Studio Medico (singolo o associato) alle sole prestazioni invasive che comportino un rischio per la sicurezza del paziente.

 

Potremmo, in definitiva, asserire che sulla scorta del superiore indirizzo ed anche alla luce di quello attuale dottrinale e giurisprudenziale, ne discende che non sono soggetti ad autorizzazione gli studi professionali medici destinati “all’esercizio dell’attività libero – professionale nei quali il medico esercita la propria attività, comprensiva anche di diagnostica strumentale, svolta esclusivamente nei confronti dei propri pazienti a scopo diagnostico complementare all’attività clinica”. Nei confronti dei suddetti l’A.S.L. effettua solo “la vigilanza per assicurare il rispetto della normativa in materia di igiene e sanità pubblica, nonché tutti gli altri controlli di competenza previsti dalla vigente normativa in materia di sicurezza” (TAR Salerno 6 febbraio 2015 n.268 – TAR Lazio Roma 29/07/2015 N. 10402 TAR Basilicata Potenza 3 febbraio 2006 n.27).

 

I titolari di tali studi hanno, comunque, l’obbligo di comunicare l’apertura del proprio studio all’Azienda Sanitaria Locale competente per territorio, rimettendo apposita documentazione in ordine ai titoli di studio posseduti, alla planimetria dei locali, alla descrizione dell’attività svolta e all’elenco delle attrezzature eventualmente utilizzate.

 

La ratio è sempre quella della tutela della salute degli utenti. Anche la Consulta ha ribadito che “se è condivisibile che la competenza regionale in tema di autorizzazione e vigilanza delle istituzioni sanitarie private vada inquadrata nella potestà legislativa concorrente in materia di tutela della salute (di cui all’art. 117, comma 3, Cost.) resta, comunque, precluso alle regioni di derogare a norme statali che fissano principi fondamentali” (Corte Cost. 07/06/2013 n. 132).

 

Esiste, dunque, una regola generale che però può variare in base all’ASL di riferimento e il Testo Unico Sanitario, spesso, è seguito da deroghe. Tuttavia, un dato sembra pacifico sulla base della legislazione statale e regionale:

 

  1. a) lo studio medico non attrezzato per la chirurgia, non necessita di alcuna autorizzazione;
  2. b) lo studio medico attrezzato per l’esecuzione di prestazioni chirurgiche necessita dell’autorizzazione all’esercizio;
  3. c) l’ambulatorio necessita dell’autorizzazione alla realizzazione prima e dell’autorizzazione all’esercizio dopo.

 

Non va poi sottaciuto che,  ex art. 36 A.C.N. ai sensi del quale: “Se lo studio è ubicato presso strutture adibite ad altre attività non mediche o sanitarie soggette ad autorizzazione, lo stesso deve avere un ingresso indipendente e deve essere eliminata ogni comunicazione tra le due strutture”, si ritiene che, nel caso di associazione nello studio con specialisti non soggetti ad autorizzazione, in capo ai Medici di medicina generale non sussiste alcun obbligo di avere una struttura autonoma e indipendente rispetto a quella dei colleghi specialisti.

 

Vengono sempre tirati in ballo gli articoli 32 e 41 della Costituzione che consentono di avere sempre l’indirizzo per agire secondo i requisiti di legge.

 

Come si concretizza, dunque la vigilanza sanitaria nei riguardi degli studi medici?

 

Riassumendo, si può dire che per gli studi dove si eseguono prestazioni ad alta invasività è obbligatoria la preventiva autorizzazione sanitaria.

 

Per gli studi dove si eseguono prestazioni a minore invasività, è obbligatoria la presentazione della SCIA ordinaria.

 

Per gli studi dove si effettuano mere visite eventualmente con diagnostica strumentale non invasiva e complementare all’attività clinica è obbligatoria la presentazione della SCIA in forma semplificata.

 

Per gli studi dove si esegue diagnostica strumentale con refertazione per terzi (non complementare all’attività clinica principale), è obbligatoria la preventiva autorizzazione sanitaria se l’attività diagnostica è invasiva; è obbligatoria la SCIA se l’attività diagnostica non è invasiva.

 

Risultano esclusi da obblighi, in primo luogo, i medici di medicina generale e i pediatri di libera scelta convenzionati con il SSN esclusi dall’obbligo della SCIA, tranne nel caso in cui il medico svolga, a latere della convenzione, attività libero professionale specialistica, nel qual caso ricade nell’obbligo della SCIA, alla pari di ogni libero professionista.

 

Inoltre, per gli studi dove si effettua mera attività peritale senza contatto col paziente, non è dovuta alcuna SCIA. Infine, per gli studi dove si effettua esclusivamente attività di psicoterapia non è dovuta alcuna SCIA, tranne il caso in cui venga svolta attività di psichiatria con prescrizione di farmaci, perché in tal caso si ricade nell’obbligo della SCIA semplificata.

 

Cristina Saja, giornalista e avvocato