Il diritto a respirare aria pulita: ok ai risarcimenti

Dalla Giornata internazionale dell’aria pulita alla nuova direttiva 2023: tutto quello che devi sapere per ottenere il risarcimento danno da aria inquinata

Sommario

  1. I valori soglia che indicano un'aria non pulita
  2. La nuova direttiva UE di settembre 2023
  3. La giurisprudenza europea sull'inquinamento dell'aria
  4. Il danno da pessima qualità dell'aria in Italia e l'azione collettiva Aria Pulita

Il 7 settembre di ogni anno si celebra l'International Day of Clean Air, cioè la Giornata Internazionale dell'aria pulita per i cieli blu, istituita dall'Onu nel 2020: si tratta di una giornata nata per lanciare un appello globale a trovare nuovi modi di fare le cose, per ridurre l'inquinamento atmosferico causato dall'uomo e garantire a tutti, in qualunque parte del mondo, il diritto a respirare aria pulita.

L'Onu stima che il 99% della popolazione mondiale respira aria non salubre, poiché l'inquinamento atmosferico è il più grande rischio per la salute ambientale della civiltà moderna. L'aria inquinata, secondo i rapporti Onu, può portare a ictus, malattie cardiache e polmonari, cancro, e attualmente uccide circa 6,7 milioni di persone ogni anno.

In Italia il diritto alla salute è annoverato tra i diritti e le libertà fondamentali dell'individuo, da tutelare sia nell'interesse del singolo che della collettività (art. 32 Costituzione). Grazie alla direttiva 2008/50/CE, recepita in Italia dal d.lgs. n. 155/2010, i paesi europei hanno introdotto un quadro normativo unitario per valutare e gestire la qualità dell'aria, con la finalità di:

  1. individuare obiettivi di qualità dell'aria volti a evitare, prevenire o ridurre effetti nocivi per la salute umana e per l'ambiente nel suo complesso,
  2. valutare la qualità dell'aria sulla base di metodi e criteri comuni su tutto il territorio,
  3. ottenere informazioni sulla qualità dell'aria come base per individuare le misure da adottare per contrastare l'inquinamento e i suoi effetti nocivi sulla salute umana e sull'ambiente e per monitorare le tendenze a lungo termine, oltre che i miglioramenti dovuti alle misure adottate,
  4. mantenere la qualità dell'aria, laddove buona, e migliorarla negli altri casi,
  5. garantire al pubblico le informazioni sulla qualità dell'aria,
  6. realizzare una migliore cooperazione tra gli Stati membri dell'Unione Europea in materia di inquinamento atmosferico.

I valori soglia che indicano un'aria non pulita

La normativa europea identifica come inquinanti le seguenti sostanze:

  • biossido di zolfo, per il quale è previsto un valore limite di 350 μg/m³ da non superare più di 24 volte per anno civile nel periodo di mediazione di un'ora, e di 125 μg/m³ da non superare più di 3 volte per anno civile nel periodo di mediazione di un giorno;
  • biossido di azoto, per il quale è previsto un valore limite di 200 μg/m³ da non superare più di 18 volte per anno civile nel periodo di mediazione di un'ora, e di 40  μg/m³ per l'anno civile;
  • benzene, per il quale è previsto il valore limite di 5,0 μg/m³ da non superare per l'anno civile;
  • monossido di carbonio, per il quale è previsto un valore limite, su una media massima giornaliera calcolata su 89 ore, di 10 mg/m³;
  • piombo per il quale è previsto un valore limite di 0,5 μg/m³ per anno civile;
  • PM10, per il quale è previsto un valore limite di 50 μg/m³ da non superare più di 35 volte per anno civile nel periodo di mediazione di un giorno, e di 40  μg/m³ per l'intero anno civile.

La nuova direttiva UE di settembre 2023

La nuova direttiva UE sulla qualità dell'aria, recentemente approvata dal Parlamento Europeo (settembre 2023), introdurrà dei limiti più rigidi sulla qualità dell'aria, per avvicinarsi ai valori raccomandati dall'OMS entro il 2035. In particolare, per il PM10 si passerà da una media annua di 40 µg/m3 a quella di 20 (OMS raccomanda 15); per il PM2,5 dai 25µg/m3 consentiti attualmente si scenderebbe a 10 µg/m3 (OMS raccomanda 5), mentre per il biossido di azoto si passerebbe da 40 µg/m3 a 20 (OMS raccomanda 10).

La Direttiva precisa che il diritto delle persone fisiche al risarcimento del danno alla salute per la violazione della normativa europea sulla qualità dell'aria deriva da un'omissione, una decisione, un atto o un ritardo nel varare una decisione o un atto da parte delle Autorità competenti (Stato, Regione). Il nuovo testo conferma, inoltre, la possibilità di presentare azioni collettive (class action) per ottenere il risarcimento del danno dovuto alla violazione dei parametri limite per la qualità dell'aria.

La Direttiva, dopo l'approvazione del Parlamento Europeo, passerà al vaglio del Consiglio Europeo per l'accordo finale.

La giurisprudenza europea sull'inquinamento dell'aria

In tutta Europa si sono moltiplicati i casi di cittadini che si sono rivolti ai singoli Stati per chiedere il risarcimento del danno alla salute derivante dall'aumento dell'inquinamento atmosferico e dal mancato rispetto della relativa direttiva europea.

Un abitante di un arrondissement di Parigi, ad esempio, ha chiesto alla Francia un risarcimento di ben 21 milioni di euro per violazione dei valori limite di biossido di azoto, superati sin dal 2010, quando era stato imposto l'obbligo di rispettarli. In tale occasione, è stato proprio l'Avvocato Generale dell'Unione Europea (cioè il soggetto preposto a rappresentare l'interesse generale del diritto comunitario), Juliane Kokott, a sostenere che una violazione dei valori limite fissati dal diritto dell'Unione per la protezione della qualità dell'aria conferisce ai cittadini il diritto di formulare la richiesta di risarcimento del danno nei confronti degli Stati, poiché:

  • i valori limite per gli inquinanti nell'aria ambiente e gli obblighi di migliorare la qualità dell'aria sono stabiliti da direttive UE, e hanno proprio lo scopo di conferire i diritti ai singoli cittadini,
  • la violazione delle norme europee sulla qualità dell'aria ambiente riguarda qualunque periodo durante il quale i valori limite applicabili siano stati superati senza che gli Stati abbiano predisposto un piano di miglioramento della qualità dell'aria ambiente idoneo;
  • sussiste un nesso causale diretto tra la violazione delle norme in materia di qualità dell'aria e i danni concreti alla salute.

La Corte europea, pur non essendo vincolata al rispetto dei pareri forniti dagli Avvocati dell'Unione Europea, solitamente concorda con le loro conclusioni. Tuttavia, nell'esaminare il caso francese, la Corte - pur riportando nel testo della sentenza tutte le tesi favorevoli al risarcimento del danno in favore del cittadino francese - non ha accolto il ricorso: in particolare, la Corte ritiene di poter attuare nei confronti dei singoli Stati membri, nel caso di violazioni della direttiva sulla qualità dell'aria (così come per qualunque altra direttiva europea) la cosiddetta procedura di infrazione, ma di non poter ristorare il danno del singolo cittadino, che deve invece rivolgersi alla giustizia nazionale per ottenere il riconoscimento del proprio diritto. Si è trattato, evidentemente, di una forzatura della Corte, che non ha escluso la risarcibilità del danno da qualità dell'aria, ma ha semplicemente “passato la palla” ai Tribunali nazionali francesi, probabilmente per evitare di aprire le porte della giustizia europea a risarcimenti milionari.

La Corte, tuttavia, non potrà sempre astenersi dal decidere questioni fondamentali come quelle relative all'aria pulita e al diritto al risarcimento del danno, ricorrendo semplicemente a dei “cavilli” burocratici poco comprensibili al cittadino europeo medio.

Difatti, nel recente caso Locascia e altri contro Italia (Corte EDU, Sez. I, 19 ottobre 2023 n. 35648/10) l'Italia, ad esempio, è stata condannata per l'emergenza rifiuti che ha interessato la Campania a partire dal 1994, causando gravissimi disagi alla popolazione residente nelle zone interessate. La pronuncia è fondamentale in materia di danno alla salute derivante dall'inquinamento (e quindi anche per il danno da aria inquinata), poiché evidenzia la necessità che siano gli Stati ad adottare misure preventive che tengano conto delle conseguenze che l'inquinamento potrebbe avere sulla salute dei cittadini, legittimando quindi una sorta di responsabilità oggettiva dello Stato, sussistente ancor prima del verificarsi del danno, semplicemente perché in quanto massimo organo governativo non ha fatto tutto il possibile per evitare l'inquinamento.

Il danno da pessima qualità dell'aria in Italia e l'azione collettiva Aria Pulita

Le città Italiane soffrono per l'inquinamento, e con loro i cittadini che accusano patologie respiratorie e dermatologiche dovute all'inquinamento da PM10: Milano, Torino, Bergamo, Palermo e Parma sono le cinque città d'Italia più inquinate secondo il rapporto di Legambiente Mal'Aria:

Report Mal’aria Legambiente gennaio 2023

Report Mal’aria Legambiente ottobre 2022

Dopo aver avviato la procedura per infrazione, la Corte di Giustizia Europea (Grande sezione, sentenza 10 novembre 2020) ha infatti condannato l'Italia per aver superato il valore limite delle concentrazioni di particelle inquinanti, in modo continuato, dal 2008 al 2018. Il nostro Stato è rimasto inadempiente alla direttiva europea sulla qualità dell'aria, posta a tutela della salute umana e dell'ambiente, senza mai chiedere una proroga o un'esenzione dall'applicazione della direttiva, né aver dimostrato circostanze eccezionali che avrebbero potuto giustificare una disapplicazione temporanea straordinaria della normativa.

Pertanto, tutti coloro che hanno vissuto, nel periodo 2008-2018, nei territori inquinati dove sono stati superati i limiti soglia, possono agire in giudizio per chiedere il risarcimento del danno alla salute derivante dal mancato rispetto da parte dell'Italia della normativa europea di settore. Consulcesi, per questo, ha avviato un'azione collettiva denominata Aria Pulita, cui è possibile aderire previa verifica del superamento delle soglie di inquinamento della propria città, attraverso l'apposito tool che verifica se la città dove il cittadino ha vissuto è stata “vittima” dell'aria inquinata e dell'inerzia dello Stato italiano.

Di: Manuela Calautti, avvocato

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