Con la pubblicazione della sentenza n. 99/2024, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 42-bis, comma 1, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, con riferimento alla mancata previsione, per il pubblico dipendente che ne faccia formale richiesta, di ottenere il trasferimento temporaneo presso una sede di lavoro ubicata nella stessa provincia o regione ove è stabilita la residenza familiare in cui è presente un figlio minore di 3 anni.
Con questa decisione, sarà quindi possibile richiedere, e quindi ottenere, il trasferimento presso una sede di servizio compresa nella provincia o regione, dove è stata fissata la residenza della famiglia, coincidente con quella del minore, finora preclusa in ragione dell’applicazione dell’articolo menzionato.
La norma incriminata sul trasferimento del dipendente pubblico
La disposizione sottoposta al vaglio della Corte è ricompresa nel Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità e stabilisce che “il genitore con figli minori fino a tre anni di età dipendente di amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, può essere assegnato, a richiesta, anche in modo frazionato e per un periodo complessivamente non superiore a tre anni, ad una sede di servizio ubicata nella stessa provincia o regione nella quale l’altro genitore esercita la propria attività lavorativa, subordinatamente alla sussistenza di un posto vacante e disponibile di corrispondente posizione retributiva e previo assenso delle amministrazioni di provenienza e destinazione”.
Il dipendente può essere quindi assegnato, per un periodo di tempo (eventualmente frazionato) non superiore a 3 anni, presso una sede lavorativa localizzata nella stessa provincia o regione dove lavora l’altro coniuge, sempre che sussista un posto vacante e disponibile di pari livello retributivo e fatto salvo l’eventuale dissenso delle amministrazioni di provenienza e di destinazione, che però deve essere limitato a motivate esigenze eccezionali da riferire al richiedente entro trenta giorni dalla presentazione della domanda.
In buona sostanza, la norma in questione non consente la possibilità di ottenere il trasferimento temporaneo nella distinta ipotesi in cui gli stessi coniugi avessero stabilito la residenza familiare in provincia o regione diversa da quella di servizio.
La decisione della Corte Costituzionale
Sollevata la questione di legittimità con riferimento all’art. 3 Cost., la Corte ha preliminarmente ribadito che le scelte del legislatore relative ai criteri selettivi per il riconoscimento di benefici pubblici devono essere sempre conformi al principio di ragionevolezza.
Nella fattispecie in questione, la norma promulgata ha condizionato l’accesso al beneficio del trasferimento temporaneo ad un requisito che, di fatto, viene a limitare l’ambito di applicazione dell’istituto, venendo radicalmente esclusa la possibilità per coloro che avessero fissato la residenza di famiglia in luoghi diversi da quelli di svolgimento della prestazione lavorativa.
Questa limitazione è stata ritenuta irragionevole proprio perché contrastante con le finalità proprie della disciplina normativa introdotta con il menzionato testo unico che, in realtà, vuole fornire strumenti (come il trasferimento provvisorio) adeguati a sostenere la famiglia, l’infanzia e la parità genitoriale nella cura dei figli.
Le continue evoluzioni che caratterizzano la gestione dell’organizzazione familiare, soprattutto in un periodo, come quello attuale, in cui si registrano anche importanti sviluppi sia riguardo alle modalità di svolgimento della prestazione lavorativa (ad es. smartworking), che ai sistemi di trasporto, rendono quindi irragionevole l’esclusione di quei nuclei familiari in cui entrambi i genitori lavorano in regioni diverse da quelle in cui è stata fissata la residenza familiare.
In relazione a tali casi, appare allora rispondente alla finalità dell’istituto del trasferimento temporaneo consentire che almeno uno dei genitori possa lavorare, nel primo triennio di vita del minore, in una sede che si trova nella regione o nella provincia in cui è stata fissata la residenza della famiglia e, quindi, in cui è domiciliato il minore.
Questa scelta, secondo la Corte, risponde alla necessità di garantire la tutela del bene famiglia, in tutti i suoi aspetti, non ostacolando altresì la scelta dei genitori di stabilire liberamente il luogo di residenza familiare, che verrebbe irragionevolmente limitato impedendo l’accesso al beneficio garantito dall’art. 42.
Per questi motivi – conclude la Corte – “va pertanto dichiarata l’illegittimità costituzionale della disposizione censurata, per contrasto con l’art. 3 Cost., nella parte in cui prevede che il trasferimento temporaneo del dipendente pubblico, con figli minori fino a tre anni di età, possa essere disposto «ad una sede di servizio ubicata nella stessa provincia o regione nella quale l’altro genitore esercita la propria attività lavorativa», anziché «ad una sede di servizio ubicata nella stessa provincia o regione nella quale è fissata la residenza della famiglia o nella quale l’altro genitore eserciti la propria attività lavorativa”.