Monetizzazione ferie non godute: le Aziende sanitarie provano a correre ai ripari

Dopo lo scalpore dovuto alla sentenza CGUE sul tema della monetizzazione delle ferie non godute nel pubblico impiego, abbiamo verificato come le Aziende sanitarie si stiano comportando nei sia nei riguardi di coloro che, cessato il rapporto di lavoro, hanno avanzato richiesta di pagamento dell’indennità, sia di quelli che, ancora in servizio, vantano un cospicuo numero di giorni non ancora fruiti.

Sommario

  1. L’orientamento comunitario
  2. Le prime soluzioni adottate dalle Aziende Sanitarie
  3. Comunicazioni aziendali ferie non godute

Non più tardi di qualche mese fa è divampata la notizia, ripresa da tutti i media nazionali, che la Corte di Giustizia Europea aveva finalmente riconosciuto il diritto dei lavoratori del pubblico impiego al pagamento dell’indennizzo per le ferie non godute durante il rapporto di lavoro, ponendo fine a quella distorta interpretazione che, contrariamente alle intenzioni del legislatore comunitario, vietava qualsiasi ipotesi di monetizzazione, tranne in casi assolutamente limitati ed eccezionali.

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L’orientamento comunitario

Ricordiamo come la Corte di Giustizia Europea, appena lo scorso 18 gennaio, aveva enunciato il principio per cui l’articolo 7 della direttiva 2003/88 e l’articolo 31, paragrafo 2, della Carta devono essere interpretati nel senso che sono contrari a normative nazionali (nel caso di specie, l’art. 5, comma 8, del D.L. 95/12, convertito in L. n. 135/12) che, per ragioni attinenti al contenimento della spesa pubblica e alle esigenze organizzative del datore di lavoro pubblico, prevedano il divieto di versare al lavoratore un’indennità finanziaria per i giorni di ferie annuali retribuite maturati sia nell’ultimo anno di impiego sia negli anni precedenti e non goduti alla data della cessazione del rapporto di lavoro, qualora egli ponga fine volontariamente a tale rapporto di lavoro e non abbia dimostrato di non aver goduto delle ferie nel corso di detto rapporto di lavoro per ragioni indipendenti dalla sua volontà.

C’è da dire che questa sentenza non è particolarmente innovativa, calandosi pienamente all’interno di un ampio filone di precedenti pronunciamenti resi dalla stessa Corte che, a partire dal 2016, hanno costantemente riconosciuto il diritto del lavoratore a richiedere, alla cessazione del rapporto di lavoro, la monetizzazione delle ferie maturate e non potute godere, senza che rilevi il motivo dell’interruzione del rapporto, né sia possibile condizionarne il legittimo godimento.

Granitico poi il riconoscimento dell’onere probatorio a carico del datore di lavoro, che dovrà quindi assicurarsi, concretamente e in piena trasparenza, che il suo dipendente sia stato posto effettivamente in condizione di fruire del periodo feriale, invitandolo, se necessario formalmente, a farlo, e nel contempo informandolo, in modo accurato e in tempo utile a garantire che tali ferie siano ancora idonee ad apportare all’interessato i benefici a cui sono dirette, del fatto che, se egli non ne fruisce, tali ferie andranno perse al termine del periodo di riferimento o di un periodo di riporto autorizzato, o non potranno più essere sostituite da un’indennità finanziaria.

Da qui, la conseguenza logica per cui tale periodo feriale non goduto potrà essere considerato estinto soltanto nel caso in cui il lavoratore, deliberatamente e con piena cognizione delle conseguenze che ne sarebbero derivate, si sia astenuto dal fruire delle ferie annuali retribuite dopo essere stato posto in condizione di esercitare in modo effettivo il suo diritto.

Le prime soluzioni adottate dalle Aziende Sanitarie

Ferma la considerazione per cui per i rapporti di lavoro già cessati negli ultimi 10 anni, le amministrazioni non avranno più modo di sanare ex post le loro condotte inadempienti, se non riconoscendo, al ricorrere dei presupposti, il giusto indennizzo ai loro ex dipendenti che dovessero vantare giorni di ferie non goduti, è invece interessante soffermarsi sui diversi approcci assunti dalle medesima Aziende rispetto ai lavoratori ancora in servizio, ma con periodi (anche importanti) di ferie non goduti.

Da registrare come, per alcune strutture sanitarie, non sembra essere accaduto nulla: non hanno minimamente modificato il proprio comportamento, quasi che la pronuncia della Corte di Giustizia Europea non fosse mai stata pubblicata.

Ancora oggi, a fronte di richieste di monetizzazione recentemente presentate, rispondono semplicemente che dall’istruttoria interna espletata non sarebbero emersi elementi tali da giustificare l’accoglimento della richiesta, richiamando testualmente il disposto dell’art. 5, comma 8, del D.L. 95/12, senza neppure premurarsi di raccordarlo con il recente pronunciamento della CGUE.

In altre occasioni, si insiste nell’addossare sull’ex dipendente l’onere di provare i motivi, imputabili al comportamento aziendale, che avrebbero impedito la fruizione del periodo di ferie annuali, dimostrando così di non aver colposamente omesso di goderne.

Ancora si afferma da più parti che, invece, la monetizzazione non sarebbe ammissibile quando il lavoratore abbia, con il proprio comportamento, attivamente concorso all’estinzione del rapporto lavorativo, ad esempio esercitando il legittimo diritto di recesso od assumendo una condotta incompatibile con la prosecuzione del rapporto, dimenticandosi dell’opposto avviso comunitario che, proprio in tema di dimissioni volontarie, ha ribadito la legittimità della pretesa.

Comunicazioni aziendali ferie non godute

Infine, si registra il tentativo proposto da alcune Aziende di abbozzare una comunicazione, inviata genericamente a tutti i dipendenti, con cui ci cerca di dare ossequio, quantomeno formale, alle indicazioni contenute nella recente pronuncia della Corte di Giustizia Europea.

Ricordando che il diritto alle ferie costituisce principio fondamentale a tutela della salute del lavoratore e richiamata espressamente la sentenza comunitaria resa lo scorso 18 gennaio, queste missive contengono un invito a tutto il personale in servizio a fruire del previsto periodo di riposo nel rispetto dei limiti temporali previsto dall’art. 10 del D. Lgs. n. 66/2003, pena l’estinzione del diritto.

Nessun accenno alle modalità approntate da queste strutture per garantire l’esercizio effettivo del diritto, né tantomeno vengono descritti gli accorgimenti attivati per risolvere le croniche carenze organizzative, che sole hanno provocato (e tuttora determinano) l’impossibilità per il personale sanitario di fruire dei previsti periodi di riposo.

Appare evidente la fragilità di queste iniziative che, al  di là del comprensibile intento di adeguarsi ai precetti comunitari, potrebbero non sortire grande effetto quando, in sede giudiziaria, l’azienda non fosse poi in grado di dimostrare di aver previamente adottato strumenti operativi tali da rendere concretamente possibile, a tutto il personale in servizio, un effettivo e costante accesso all’istituto delle ferie, senza pregiudicare nel contempo l’erogazione delle prestazioni sanitarie secondo gli standard richiesti dalla utenza.

Di: Francesco Del Rio, avvocato

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