Malpractice medica, salvo il medico anestesista dalla rivalsa erariale dell’azienda: il caso

Il racconto di un caso gestito dalla Corte dei Conti Sicilia riguardo un caso di malpractice che coinvolge l’intera equipe, compreso l’anestesista. Quest’ultimo accusato e coinvolto nella richiesta di rimborso er danno erariale dell’azienda. Ecco cosa è successo.

Sommario

  1. Il caso
  2. La difesa dell’anestesista e la replica della Procura
  3. La decisione della Corte
  4. Le altre responsabilità dell’anestesista

È di qualche giorno fa la notizia del deposito della sentenza n. 113/2024, con cui la Corte dei Conti Sicilia ha respinto la domanda di rivalsa promossa nei confronti dei componenti di un’equipe operatoria, incluso il medico anestesista, per il recupero dell’importo di quasi 100 mila euro versato dall’azienda sanitaria a favore di un paziente a seguito di un episodio di malpratice medica.

Il caso

L’iniziativa promossa dalla Procura regionale prendeva le mosse dall’informativa con cui l’azienda riferiva di aver dato esecuzione alla sentenza di condanna emessa a suo carico all’esito del giudizio civile risarcitorio, promosso da un utente danneggiato, e nell’ambito del quale era stata accertata, con CTU medico legale, la responsabilità dell’equipe che aveva eseguito un intervento di nucleoplastica.

In estrema sintesi, il perito incaricato dal Tribunale era giunto alla conclusione che il danno occorso al paziente dovesse essere ricondotto esclusivamente ad un’errata manovra operatoria che aveva provocato l’improvvisa rottura della punta del sondino chirurgico, poi rimasto in situ senza che alcuno dei componenti dell’equipe se ne accorgesse.

Oltre all’affermata responsabilità dell’operatore, lo stesso CTU individuava ulteriori profili di colpa, a titolo di medica, addebitabili a tutta l'equipe intervenuta dal momento che, oltre a non aver informato il paziente dell’esito negativo dell’intervento, non avevano neppure programmato successive visite di controllo per valutare la situazione evitando, in tal modo, l’aggravamento del pregiudizio provocato.

Da questo, ne è quindi discesa l'azione per danno erariale sia nei diretti confronti del chirurgo, per aver tenuto una condotta operatoria inappropriata che aveva cagionato la rottura del sondino, che di tutta l’equipe, incluso l’anestesista, per non aver indicato in cartella l’esito dell’intervento, né tantomeno programmato un percorso diagnostico e terapico per rimuovere il corpo estraneo, ovvero per eseguire le verifiche sull'evoluzione della condizione fisica del paziente.

La difesa dell’anestesista e la replica della Procura

Di fronte alle accuse mosse anche nei suoi riguardi del requirente, l’anestesista opponeva, non soltanto di non aver mai appreso dell’esistenza di un sinistro e dell’affermata condanna penale, ma soprattutto di non essersi avveduto della rottura dello strumento, né di aver ricevuto informazioni in tal senso, essendosi occupato, nella limitata veste ricoperta, unicamente della verifica delle condizioni vitali del paziente mediante l’utilizzo del monitor, dell'ECG e del saturimetro, con conseguente chiusura della cartella clinica al termine dell’intervento.

Di contro, la Procura affermava come il caso in questione rientrasse comunque in una tipica ipotesi di "responsabilità medica in equipe" per cui, pur dovendosi valutare l’apporto di ogni singola condotta, alcun componente avrebbe potuto sostenere, a sua discolpa, l'ignoranza della condotta altrui dovendo ciascuno rispondere, nei limiti della conoscibilità, per non aver adeguatamente controllato la strumentazione post intervento, né tantomeno indugiato in un confronto con l’operatore e redatto correttamente il diario clinico dell'intervento.

In conclusione, l’atto di accusa nei confronti degli altri membri dell’equipe, incluso l’anestesista, si concludeva nella contestata colpa grave per aver tenuto una condotta altamente censurabile, non essendosi accorti, né avendo potuto altrimenti ignorare, la circostanza dell’avvenuta rottura del sondino metallico. Omettendo altresì di informare il paziente dell’esito negativo dell’intervento e di programmare una serie di indagini diagnostiche dirette alla rimozione dell’elemento estraneo, monitorando l’evoluzione dello stato clinico del paziente.

La decisione della Corte

Ricondotto il caso nell’ambito della cd. “responsabilità sanitaria in equipe”, la decisione ha dapprima tratteggiato gli stringenti obblighi connessi a questa fattispecie, che accade tutte le volte in cui la prestazione medico chirurgica si fonda su una necessaria cooperazione multidisciplinare di diversi sanitari che agiscono sincronicamente per la cura del paziente, per cui ogni attività si integra con l’altra in un unico contesto temporale.

In questi casi, ciascun partecipante all’equipe, per eludere il rischio di condanna concorrente, è tenuto al rispetto di un preciso obbligo di diligenza. Questo obbligo, partendo dal compito a sé affidato, si estende fino alla verifica della condotta altrui per individuare eventuali errori evidenti, e non specifici alla particolare disciplina, ed alla conoscenza dei tutti i dati riportati nella cartella clinica, così da poter indicare possibili cautele da adottare nel caso concreto esprimendo, se del caso, motivato dissenso rispetto alle opzioni terapeutiche adottate.

Verificata la natura altamente specialistica dell’intervento chirurgico praticato, nonché la tecnica, definita mono interventista, applicata nel caso in questione che implicava, oltre all’esecuzione esclusiva di un solo operatore, una formazione specifica sull’uso dello strumento; il Collegio giudicante rilevava come le competenze del medico anestesista fossero limitate unicamente all’aspetto analgesico e anestetico del paziente, per cui ritenute marginali rispetto all'operazione.

Nessuna ingerenza, né tantomeno potere di controllo, da parte di quest’ultimo che, di fatto, era tenuto a verificare soltanto i parametri vitali del paziente, attraverso l’elettrocardiogramma, saturazione ed il sistema infusionale.

Le altre responsabilità dell’anestesista

Escluso qualsivoglia profilo di colpa rispetto all’atto operatorio, neppure si è potuta individuare una sua responsabilità rispetto alla mancata comunicazione al paziente dell’avvenuta rottura e dell’omessa programmazione del percorso diagnostico e terapeutico, proprio perché l’evento dannoso originario non avrebbe potuto essere conosciuto siccome estraneo alla formazione specialistica dell’anestesista.

C’è da dire infine che, esclusa la colpa in equipe dell’anestesista per i motivi appena detti, anche gli altri operatori sono stati, a vario e diverso titolo, assolti dall’imputazione colposa, con conseguente rigetto integrale dell’azione di rivalsa azionata nei loro confronti.

Di: Francesco Del Rio, avvocato

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