Professionisti sanitari: assegnazione sistematica a mansioni inferiori

Sommario

  1. Recente giurisprudenza in tema di demansionamento
  2. Il ricorso in Cassazione dell’azienda sanitaria

Il codice civile all’art. 2103 prevedeva originariamente un divieto assoluto allo svolgimento di mansioni inferiori a quelle previste dal ruolo e dall’inquadramento contrattuale. Successivamente, a seguito delle modifiche intervenute con l’approvazione dell’art. 3 del D.lgs. 15 giugno 2015 n. 81 è stata prevista la possibilità che il dipendente svolgesse mansioni inferiori a quelle del suo ruolo solo in casi eccezionali e molto specifici 

 

codice civile - art. 2103

Prestazione del lavoro.
Il lavoratore deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti all'inquadramento superiore che abbia successivamente acquisito ovvero a mansioni riconducibili allo stesso livello e categoria legale di inquadramento delle ultime effettivamente svolte.

In caso di modifica degli assetti organizzativi aziendali che incide sulla posizione del lavoratore, lo stesso può essere assegnato a mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore purché rientranti nella medesima categoria legale.

Il mutamento di mansioni è accompagnato, ove necessario, dall'assolvimento dell'obbligo formativo, il cui mancato adempimento non determina comunque la nullità dell'atto di assegnazione delle nuove mansioni.

Ulteriori ipotesi di assegnazione di mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore, purché rientranti nella medesima categoria legale, possono essere previste dai contratti collettivi.

Nelle ipotesi di cui al secondo e al quarto comma, il mutamento di mansioni è comunicato per iscritto, a pena di nullità, e il lavoratore ha diritto alla conservazione del livello di inquadramento e del trattamento retributivo in godimento, fatta eccezione per gli elementi retributivi collegati a particolari modalità di svolgimento della precedente prestazione lavorativa.

Nelle sedi di cui all'articolo 2113, quarto comma, o avanti alle commissioni di certificazione, possono essere stipulati accordi individuali di modifica delle mansioni, della categoria legale e del livello di inquadramento e della relativa retribuzione, nell'interesse del lavoratore alla conservazione dell'occupazione, all'acquisizione di una diversa professionalità o al miglioramento delle condizioni di vita. Il lavoratore può farsi assistere da un rappresentante dell'associazione sindacale cui aderisce o conferisce mandato o da un avvocato o da un consulente del lavoro.

Nel caso di assegnazione a mansioni superiori il lavoratore ha diritto al trattamento corrispondente all'attività svolta e l'assegnazione diviene definitiva, salvo diversa volontà del lavoratore, ove la medesima non abbia avuto luogo per ragioni sostitutive di altro lavoratore in servizio, dopo il periodo fissato dai contratti collettivi o, in mancanza, dopo sei mesi continuativi.

Il lavoratore non può essere trasferito da un'unità produttiva ad un'altra se non per comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive.

Salvo che ricorrano le condizioni di cui al secondo e al quarto comma e fermo quanto disposto al sesto comma, ogni patto contrario è nullo.

 

 

Recente giurisprudenza in tema di demansionamento

Dunque, salvo che nelle ipotesi di legittima assegnazione a mansioni inferiori, il lavoratore può agire in giudizio per ottenere il diritto di essere riassegnato alle mansioni svolte corrispondenti al suo ruolo, nonché il risarcimento per il danno all’immagine patito.

Molti casi di demansionamento riguardano proprio il personale in ambito sanitario: spesso tale circostanza è associata a condotte che possono sfociare nel mobbing oppure è diretta conseguenza delle endemiche carenze di personale del servizio sanitario nazionale, ma qualunque sia la motivazione alla base a farne le spese è il lavoratore che subisce uno svilimento professionale, poiché l’assegnazione a compiti dequalificanti rispetto alle capacità professionali possedute ed acquisite nel tempo, determina molto spesso un profondo senso di frustrazione ed umiliazione.

Con una recente ordinanza (23183 del 25 luglio 2022) la Corte di Cassazione ha ribadito proprio le caratteristiche del danno all’immagine del lavoratore, nel caso di specie infermieri, che subisce un demansionamento, e che il fatto stesso che venga provata l’attribuzione di mansioni inferiori determina la sussistenza di un danno senza ulteriori specifici elementi probatori.

Il caso trae origine dall’azione legale intentata da un gruppo di collaboratori professionali sanitari, inquadrati nella categoria D del CCNL del comparto (infermieri), contro l’Azienda Sanitaria Locale in qualità di loro datore di lavoro, nell’ambito della quale deducevano l’illegittimità della condotta che li aveva assegnati allo svolgimento di mansioni inferiori di natura alberghiera e di igiene di pazienti allettati, o comunque attribuibili al personale ausiliario inquadrato nelle categorie A e BS.

L’Azienda si difendeva sostenendo che per un’impossibilità oggettiva sopravvenuta non era stato possibile avere personale di supporto per quelle attività e che in ogni caso non era stato provato in maniera puntuale il danno all’immagine e alla dignità professionale da parte dei lavoratori.

Il Tribunale di Cagliari e successivamente la Corte d’appello ritenevano legittime le richieste degli infermieri chiarendo:

  • che l’Azienda non avesse puntualmente provato la sussistenza di un’impossibilità oggettiva sopravvenuta per l’attribuzione di personale a supporto degli infermieri;
  • che l’assegnazione quotidiana di mansioni inferiori mortificanti, che avveniva all’interno e all’esterno della struttura aveva determinato una lesione dell’immagine professionale e della dignità personale degli infermieri che non aveva bisogno di una specifica prova.

Il ricorso in Cassazione dell’azienda sanitaria

L’Azienda Sanitaria ricorreva in Cassazione assumendo la violazione dell’art. 2697 del Codice civile poiché riteneva che non fosse stata compiutamente allegata e dimostrata l’effettiva sussistenza del danno patrimoniale lamentato dai ricorrenti e che dunque la Corte d’appello ne avesse riconosciuto la sussistenza in capo agli infermieri senza alcuna prova effettiva. L’azienda non riteneva legittimo il ragionamento dell‘organo giudicante che aveva ritenuto che la semplice l’assegnazione di mansioni inferiori comportasse di fatto una lesione all’immagine professionale e pertanto non necessitasse di ulteriori prove.

Nel respingere la censura sollevata dalla Azienda Sanitaria, la Corte ha osservato come il ragionamento per presunzioni svolto in sede di giudizio di appello fosse congruo, per cui l’aver ritenuto l’assegnazione quotidiana di mansioni inferiori mortificanti, corredata dal fatto che tale circostanza era conosciuta sia all’interno che all’esterno della azienda, doveva intendersi sufficiente ad inferire l’effettiva sussistenza della lesione dell’immagine professionale e della dignità personale degli infermieri ricorrenti. La Corte di Cassazione, dunque, confermava la sentenza della Corte d’appello di Cagliari condannando l’Azienda sanitaria anche al pagamento delle spese di soccombenza.

La frequenza ed il carattere pubblico della condotta demansionante tenuta dal datore di lavoro diventano allora rilevanti per il riconoscimento del danno patito, non necessitandosi di ulteriore specifica prova al riguardo. Dunque, chiunque si trovi a dover subire nella propria attività lavorativa una condotta simile, potrà tutelarsi per ottenere il risarcimento del danno patrimoniale facendo valere “semplicemente” la sussistenza del demansionamento.

Di: Redazione Consulcesi Club

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