Le dislipidemie sono tra i principali fattori di rischio della malattia cardiovascolare aterosclerotica, ad oggi la prima causa di morte e disabilità nei paesi sviluppati. Studi scientifici hanno dimostrato che una terapia mirata alla riduzione dei livelli di colesterolo - principalmente LDL - migliori l’outcome clinico dei pazienti affetti da aterosclerosi, la malattia vascolare cronica e progressiva che può causare infarto, ictus, aneurisma, ischemia e altre malattie cardiovascolari. Parliamo sia in termini di mortalità che di morbilità per cause cardiovascolari, sia in prevenzione primaria che secondaria.
Paolo Magni, Professore associato di Patologia generale all’Università degli Studi di Milano, si occupa di patologie cardiovascolari e metaboliche: dalla nutraceutica alla diagnostica per arrivare alla terapia farmacologica. Nella video-intervista, raccomanda l’impiego di un corretto stile di vita e di una terapia ipolipemizzante in tutti i pazienti che hanno in anamnesi un evento cardiovascolare documentato.
Esiti cardiovascolari e stile di vita
Professore, che ruolo hanno l’alimentazione e lo stile di vita nella prevenzione del rischio cardiovascolare?
“Sappiamo tutti come le malattie cardiovascolari siano il numero uno nel mondo come causa di mortalità, morbilità e anche di disabilità, specialmente nella fase finale della vita. Sicuramente gli stili di vita e l'alimentazione hanno un impatto individuale, nel migliorare, ad esempio, il profilo lipidico e i fattori di rischio accertati. Ad esempio, il colesterolo LDL, cosiddetto cattivo, è un fattore causativo di rischio cardiovascolare, infarto e ictus cerebrale. Con la dieta possiamo direttamente migliorare il livello di trigliceridi, molto responsivi all'alimentazione, con una riduzione dei carboidrati e un aumento della quantità di legumi e verdura”.
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Gli acceleratori di rischio cardiovascolare: ipertensione, obesità addominale, diabete
“Vediamo persone che hanno livelli alla pari di LDL, leggermente elevati o anche elevati. Il soggetto A non viene colpito da infarto mentre il soggetto B si. Come mai? Perché B ha anche altri fattori di rischio. È chiaro che dobbiamo controllare il livello di LDL, se alto, anche nel soggetto A ma, sicuramente, il soggetto B presenta un rischio più elevato. Anche l'infiammazione cronica può mettere in pericolo la salute cardiovascolare, così come l’obesità addominale viscerale - la pancia in più nell'uomo e nella donna dopo la menopausa – e il diabete di tipo 2, un grande acceleratore di rischio cardiovascolare da mitigare per chi è a rischio o gestire per chi già ne soffre”.
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Infiammazione cronica: salute orale e biomarcatori
Come riconoscere uno stato infiammatorio?
“L'infiammazione cronica può essere generata anche dalla paradontopatia, una malattia infettiva batterica che interessa la bocca e che può causare un’accelerazione della placca aterosclerotica, quindi il rischio di infarto. Quando indaghiamo la storia clinica del paziente è importante valutare anche la salute orale. Per quanto riguarda i biomarcatori, ad oggi abbiamo solamente la proteina c-reattiva ad alta sensibilità che è un marcatore aspecifico generale di infiammazione. È un settore in cui ci mancano ancora biomarcatori più specifici, più precisi da valutare prima e dopo l'intervento nutrizionale”.