Cassazione salva domanda di monetizzazione ferie non godute a ex dirigente medico

Nuovo successo per il network legale Consulcesi: la Corte d’Appello di Roma conferma il diritto dei medici alla monetizzazione delle ferie non godute, respingendo il ricorso di una ASL capitolina.

Sommario

  1. La consulenza del network Consulcesi e il vulnus nella sentenza di appello
  2. La decisione della Cassazione che accoglie le istanze di Consulcesi e dell’ex dirigente sanitario
  3. La questione delle ferie non godute è “autonoma e distinta” rispetto ad altre dispute relative alla chiusura del rapporto di lavoro

A cavallo della fine dell’anno, è giunta la notizia del deposito dell’ordinanza n. 4840/2024, con cui la Corte di Cassazione, accogliendo il motivo di ricorso presentato dalla difesa di un medico assistito dal network di avvocati di Consulcesi, ha rinviato la causa nuovamente in sede di appello per la valutazione della domanda di pagamento dell’indennità per le ferie non godute all’esito della cessazione dal servizio.

Dopo due gradi di giudizio conclusisi sfavorevolmente, l’ex dirigente medico decideva, confidando nel pluriennale rapporto con il gruppo Consulcesi, di contattare l’area dedicata alla consulenza legale per far valutare la possibilità di procedere all’impugnativa, davanti alla Corte di Cassazione, della pronuncia di rigetto ricevuta dalla Corte di Appello di Bologna.

Con riferimento alla domanda di indennizzo per le ferie non godute, sia in primo grado che in sede di gravame, il sanitario non aveva infatti raccolto la benchè minima soddisfazione, tanto da non venir neppure esaminata dall’Organo distrettuale, che l’aveva considerata assorbita dal rigetto di altra distinta questione afferente il diniego opposto dall’azienda alla richiesta di trattenimento in servizio.

In estrema sintesi, i giudici, malgrado fosse stata correttamente reiterata la domanda di monetizzazione delle ferie non godute al momento della cessazione del rapporto di servizio, l’avevano sostanzialmente ignorata, non ritenendola meritevole neppure di disamina.

La consulenza del network Consulcesi e il vulnus nella sentenza di appello

Giunta alla valutazione dei consulenti legali di Consulcesi, veniva raccolta tutta la documentazione processuale disponibile individuandosi,  con riferimento alla questione del reclamato indennizzo, un palese vulnus nella sentenza di appello, per aver erroneamente considerata la questione assorbita dal rigetto della impugnativa del mancato trattenimento in servizio dell’ex dirigente medico, mentre di contro questa risultava connessa, ma distinta da quella, dal momento che, in ogni caso, si era comunque verificata la cessazione del rapporto di lavoro, residuando oltre 190 giorni di ferie maturati e non goduti durante il corso del servizio.

È ben logico come le domande non potessero in alcun modo inserirsi l’una nelle altre venendo in rilievo, nel caso del reclamato pagamento dell’indennizzo, presupposti di fatto e di diritto affatto diversi, come la cessazione del rapporto di lavoro correlato al mancato godimento dei giorni di riposo.

Giunto al patrocinio degli avvocati del network di Consulcesi, veniva quindi presentato apposito ricorso con cui veniva sollevata, ai sensi degli artt. 112 e 132 c.p.c., formale censura nei confronti della pronuncia di rigetto di secondo grado nella parte in cui, erroneamente, non si era pronunciata sulla domanda diretta alla liquidazione monetaria delle ferie, ritenendola assorbita nella decisione negativa sul diritto alla permanenza in servizio.

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La decisione della Cassazione che accoglie le istanze di Consulcesi e dell’ex dirigente sanitario

Con l’ordinanza n. 4840/2024, la Corte di Cassazione ha dunque accolto il motivo di doglianza presentato dalla difesa dell’ex dirigente sanitario, rimarcando giustamente come questa pretesa non potesse essere in alcun modo correlata all’accertamento della validità del collocamento a riposo del dipendente, di talchè la Corte di Appello non avrebbe potuto esimersi dall’esaminarla, rigettandola tout court.

Cassata sul punto la decisione impugnata, ne è seguito il provvedimento di rinvio alla stessa Corte territoriale, ma in diversa composizione, che dovrà valutare la domanda di monetizzazione delle ferie, attenendosi scrupolosamente al “principio generale, applicabile a tutte le tipologie di dipendenti, per il quale la perdita del diritto alle ferie ed alla corrispondente indennità sostitutiva alla cessazione del rapporto di lavoro può verificarsi soltanto nel caso in cui il datore di lavoro offra la prova di avere invitato il lavoratore a godere delle ferie - se necessario formalmente - e di averlo nel contempo avvisato - in modo accurato ed in tempo utile a garantire che le ferie siano ancora idonee ad apportare all'interessato il riposo ed il relax cui esse sono volte a contribuire - che, in caso di mancata fruizione, tali ferie andranno perse al termine del periodo di riferimento o di un periodo di riporto autorizzato (Cass., Sez. L, n. 17643 del 20 giugno 2023; Cass., Sez. L, n. 21780 dell’8 luglio 2022)”.

La questione delle ferie non godute è “autonoma e distinta” rispetto ad altre dispute relative alla chiusura del rapporto di lavoro

Di assoluto pregio la decisione adottata dalla Corte che, oltre ad aver correttamente reinquadrato la questione delle ferie non godute come autonoma e distinta rispetto a qualsiasi altra disputa afferente l’apprezzamento delle modalità con cui viene a cessare il rapporto di lavoro, ha voluto fin da subito specificare i principi di diritto a cui dovrà attenersi la Corte di Appello nell’appezzamento della richiesta di pagamento dell’indennità evidenziando, da un canto, che l’eventuale perdita dell’emolumento economico potrà discendere soltanto dall’acquisizione della prova (che l’Azienda avrebbe dovuto fornire) di essersi correttamente uniformata ai rigidi principi imposti dalla Corte di Giustizia Europea e, dall’altro, che quest’ultimi sono applicabili a tutte le tipologie di dipendenti.

In questo modo, si sono volutamente avvertiti i Giudici del rinvio che il ruolo di direttore di struttura complessa, rivestito dall’ex dirigente al momento della cessazione del servizio, non potrà per ciò solo influire negativamente sul riconoscimento del diritto al pagamento di quanto reclamato per gli oltre 190 giorni di ferie, maturati e non potuti godere nel corso del servizio prestato all’Azienda.

Di: Francesco Del Rio, avvocato

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