Nessun obbligo al lavoro notturno per il titolare dei benefici della legge 104

La Corte di Cassazione ha ribadito come l’esonero dal lavoro notturno, per i possessori di legge 104 sia diritto inalienabile, indipendentemente dalla gravità della disabilità. Leggi qui

Sommario

  1. La normativa di riferimento
  2. L’interpretazione giurisprudenziale
  3. La questione della gravità della disabilità

Malgrado il consolidato orientamento giurisprudenziale, fondato su altrettanto chiari principi di legge, si registrano anche troppe resistenze datoriali al riconoscimento automatico dell’esonero dei sanitari, che godono dei benefici derivati dalla l. 104/92, dai turni di lavoro notturno.

Talvolta queste richieste vengono contestate in forza di una pretesa valutazione di minor gravità della disabilità del soggetto a carico del dipendente, invero non appartenente al novero di requisiti previsti dalla legge per il riconoscimento del diritto.

La normativa di riferimento

Posti i diritti stabiliti a favore del lavoratore dalle disposizioni contenute nella l. n. 104/92, le norme che regolamentano, nello specifico, l’aspetto relativo all’esonero dai turni notturni sono l'art. 53, comma 3, del decreto legislativo n. 151/2001 e l'art. 11, comma 2, lettera c), del decreto legislativo n. 66/2003.

Il primo recita “Ai sensi dell'articolo 5, comma 2, lettera c), della legge 9 dicembre 1977, n. 903, non sono altresì obbligati a prestare lavoro notturno la lavoratrice o il lavoratore che abbia a proprio carico un soggetto disabile ai sensi della legge 5 febbraio 1992, n. 104, e successive modificazioni”.

Il secondo stabilisce che “I contratti collettivi stabiliscono i requisiti dei lavoratori che possono essere esclusi dall'obbligo di effettuare lavoro notturno. È in ogni caso vietato adibire le donne al lavoro, dalle ore 24 alle ore 6, dall'accertamento dello stato di gravidanza fino al compimento di un anno di età del bambino. Non sono inoltre obbligati a prestare lavoro notturno:

a) la lavoratrice madre di un figlio di età inferiore a tre anni o, in alternativa, il lavoratore padre convivente con la stessa;

b) la lavoratrice o il lavoratore che sia l'unico genitore affidatario di un figlio convivente di età inferiore a dodici anni; ((b-bis) la lavoratrice madre adottiva o affidataria di un minore, nei primi tre anni dall'ingresso del minore in famiglia, e comunque non oltre il dodicesimo anno di età o, in alternativa ed alle stesse condizioni, il lavoratore padre adottivo o affidatario convivente con la stessa;))

c) la lavoratrice o il lavoratore che abbia a proprio carico un soggetto disabile ai sensi della legge 5 febbraio 1992, n. 104, e successive modificazioni”.

L’interpretazione giurisprudenziale

Più volte richiamata sul punto, la Corte di Cassazione ha sempre ribadito alcuni principi interpretativi che, di fatto, possono considerarsi ormai consolidati.

Nell’ambito delle limitazioni previste per il lavoro notturno, si è infatti osservato come le surrichiamate disposizioni normative abbiamo delineato, in modo piuttosto preciso, una serie di contesti in cui l’interessato può richiedere il beneficio dell’esonero a fronte di comprovate esigenze familiari ed assistenziali.

Tra queste, viene in evidenza proprio la situazione in cui il dipendente è titolare dei benefici di cui alla l. n. 104/92, siccome impegnato nell’assistenza di un soggetto affetto da riconosciuta disabilità.

Più propriamente, l’art. 3 della l. n. 104/2004 indentifica il disabile in quella persona che “presenta una minorazione fisica, psichica o sensoriale, stabilizzata o progressiva, che è causa di difficoltà di apprendimento, di relazione o di integrazione lavorativa e tale da determinare un processo di svantaggio sociale o di emarginazione. La persona handicappata ha diritto alle prestazioni stabilite in suo favore in relazione alla natura e alla consistenza della minorazione, alla capacità complessiva individuale residua e alla efficacia delle terapie riabilitative.

Qualora la minorazione, singola o plurima, abbia ridotto l'autonomia personale, correlata all'età, in modo da rendere necessario un intervento assistenziale permanente, continuativo e globale nella sfera individuale o in quella di relazione, la situazione assume connotazione di gravità. Le situazioni riconosciute di gravità determinano priorità nei programmi e negli interventi dei servizi pubblici”.

L’esonero dal lavoro notturno viene quindi inteso come un beneficio riconosciuto al lavoratore che si trovi in specifiche condizioni previste dalla legge e che deve essere formalizzato al datore di lavoro, a mezzo comunicazione scritta da inviarsi entro le 24 ore precedenti alla prestazione, con sanzione anche di natura penale.

La questione della gravità della disabilità

Proprio su questo specifico aspetto, si sono annidate le obiezioni proposte di alcune parte datoriali che, di fatto, giustificavano il mancato riconoscimento dell’esonero in virtù del mancato riconoscimento della gravità della disabilità del soggetto “a carico” del dipendente.

Ebbene, la Corte di Cassazione ha chiaramente fatto intendere come questo ragionamento sia del tutto estraneo al testo normativo che, invero, non ancora il riconoscimento del beneficio dell’esonero ad un presunto riscontro di gravità della disabilità, ma soltanto all’avvenuto riconoscimento in capo al lavoratore dello status previsto dalla l. n. 104/92, per cui versa in disabilità già chi “presenta una minorazione fisica, psichica o sensoriale, stabilizzata o progressiva, che è causa di difficoltà di apprendimento, di relazione o di integrazione lavorativa e tale da determinare un processo di svantaggio sociale o di emarginazione”, a prescindere dal giudizio di gravità.

Il fatto poi che il disabile sia “a carico” non conduce a soluzioni difformi da quella rappresentata dal momento che, come afferma la Cassazione in un suo recente pronunciamento (ord. 12649/23), con questo sintagma si descrive unicamente il rapporto che deve sussistere fra lavoratore e disabile, ben potendosi considerare a carico anche quelle situazioni in cui il disabile non necessiti di assistenza permanente, continuativa e globale.

In fondo, come peraltro condivisibilmente affermato dalla Corte, se tale fosse stata l’intenzione del legislatore, ossia quella di correlare il beneficio alla gravità della disabilità, la norma di riferimento lo avrebbe espressamente previsto: e ciò non è avvenuto.

Il bilanciamento di interessi: il disabile al centro

Ciò che spesso sfugge ai più, soprattutto alle amministrazioni datoriali, è la ratio sottesa alle disposizioni che hanno regolamentato alcuni benefici derivati dall’assistenza al soggetto fragile, che non sono – né avrebbero potuto essere – il mero riconoscimento di un diritto a tutela del lavoratore, quanto piuttosto la strutturazione di un sistema di garanzie a sostegno del disabile e del contesto familiare che se ne cura quotidianamente.

Questa è l’interpretazione ripetutamente difesa dalla Corte di Cassazione, che ha chiaramente osservato come la L. n. 104 del 1992 sia orientata a fornire strumenti utili per agevolare il reinserimento sociale (inteso come famiglia, scuola e lavoro) del soggetto portatore di handicap e tutto ciò anche a prescindere da qualsiasi “condizionamento derivante dal mancato accertamento di uno status o da preclusioni collegate all'inesistenza di un provvedimento formale che confermi la ricorrenza della situazione di fatto che conferisce fondamento al diritto del familiare che presta assistenza al disabile".

Pertanto, qualsiasi interpretazione che si ponesse in contrasto con questo orizzonte normativo, introducendo possibili requisiti aggiuntivi, come ad esempio la gravità della disabilità, verrebbe a tradursi in “una indebita interpolazione ermeneutica del testo, tanto più ingiustificata in un ambito, quale quello dei diritti dei disabili, insuscettibile di limitazioni di tutela al di fuori di una chiara presa di posizione del legislatore”.

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