Demansionamento nel settore sanitario: medico risarcito di 60 mila euro a Lecce

Il demansionamento nel settore sanitario danneggia la crescita professionale e il benessere psicofisico degli operatori. Ecco come chiedere il risarcimento.

Sommario

  1. Breve definizione del demansionamento nel settore sanitario
  2. Onere della prova del demansionamento
  3. Danni causati dal demansionamento
  4. Come si calcola il risarcimento per il demansionamento?
  5. Il termine di prescrizione per le cause di demansionamento
  6. La giurisprudenza favorevole

Il tema del demansionamento lavorativo è particolarmente sentito per tutti gli operatori sanitari: una categoria professionale già sottoposta a pressioni fisiche e psicologiche molto rilevanti, dovute all’elevato standard quantitativo e qualitativo delle prestazioni rese per la cura dei malati, che spesso deve far fronte anche a dinamiche lavorative interne particolarmente squalificanti e pregiudizievoli per la crescita professionale, con significative ripercussioni anche a livello fisico e morale.

Di recente, si è registrata (Trib. Lecce n. 1392/2024) la pesante condanna inflitta ad un’Azienda sanitaria locale che, soltanto a titolo di danno da dequalificazione professionale, si è vista infliggere il pagamento di oltre 63 mila euro a favore del sanitario ricorrente, oltre all’integrale refusione delle spese di lite sostenute in giudizio.

Breve definizione del demansionamento nel settore sanitario

Il demansionamento si verifica quando un esercente la professione sanitaria viene assegnato per un periodo prolungato nel tempo ed in modo prevalente a mansioni inferiori rispetto a quelle previste dal suo contratto o dal suo inquadramento lavorativo, con conseguente dequalificazione professionale. Nel caso degli operatori sanitari, tale situazione si può realizzare, ad esempio:

  • con l’assegnazione a compiti amministrativi, anziché di natura clinica e terapeutica
  • con l’esclusione da attività specialistiche per le quali si è titolari di specifica qualifica
  • con l’impedimento all’utilizzo di attrezzature, strumenti o competenze tecniche connesse al proprio ruolo
  • con l’ordine di eseguire mansioni elementari non compatibili con il proprio livello di professionalità

L’art. 2103 c.c.  stabilisce che il lavoratore deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti all’inquadramento superiore che abbia successivamente acquisito, ovvero a mansioni riconducibili allo stesso livello e categoria legale di inquadramento delle ultime effettivamente svolte. 

Nel pubblico impiego privatizzato, l'articolo 52 del D.Lgs. n. 165/2001 prevede altresì che il dipendente deve essere adibito alle mansioni corrispondenti alla qualifica di appartenenza o a quelle equivalenti nell'ambito dell'area di inquadramento.

È opportuno specificare che, in questi casi, la carenza di personale non può valere e giustificare l'operato dell’Azienda sanitaria che, in modo continuo, adibisca prevalentemente il professionista sanitario all’espletamento di mansioni inferiori rispetto a quelle previste dal contratto.

A tal proposito, vale osservare che proprio di recente, una pronuncia del Tribunale di Lecce (sent. n. 1392/2024), ha opportunamente statuito che “la carenza di personale da cui promana l'impiego del ricorrente in compiti di minore rilievo professionale, non può, infatti, valere e giustificare l'operato dell'amministrazione convenuta, in ogni caso tenuta - a prescindere dalle ragioni di carenza di personale - ad adottare soluzioni utili a rispettare i requisiti di professionalità dei propri dipendenti”.

Onere della prova del demansionamento

Nel giudizio di demansionamento, il lavoratore ha l'onere di allegare specificamente i fatti che configurano l'illegittimo esercizio del potere datoriale, indicando i compiti dequalificanti svolti ed il protrarsi temporale della situazione. Sarà poi il datore di lavoro a dover dimostrare l'esatto adempimento dell'obbligo di adibire il lavoratore alle mansioni proprie della qualifica professionale ricoperta.

Danni causati dal demansionamento

Il demansionamento può provocare diversi tipi di danno, sia di natura eminentemente economica che non patrimoniale. Tra i principali troviamo:

  1. Danno professionale: perdita di opportunità di crescita o di aggiornamento professionale
  2. Danno alla salute: stress, ansia o patologie psicosomatiche causate dall’umiliazione o dalla perdita di ruolo
  3. Danno patrimoniale: perdita o riduzione delle prospettive di guadagno futuro a causa del mancato sviluppo professionale
  4. Danno esistenziale: peggioramento della qualità della vita, isolamento sociale o perdita di autostima, disagio personale e sofferenza interiore.

A tal riguardo, una recente pronuncia della Corte di Cassazione (n. 21924/2022) ha confermato che “l’esercizio promiscuo di mansioni proprie del profilo di appartenenza e di mansioni di livello anche assai inferiore era idoneo ad ingenerare nei degenti una confusione di ruoli, per cui l’utente pretendeva dall’infermiere anche i compiti dequalificanti: risultavano provati il disagio personale e la sofferenza interiore, per l’apparenza creata all’esterno”, con conseguente riconoscimento del risarcimento ai dipendente sanitari demansionati.

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Come si calcola il risarcimento per il demansionamento?

Il risarcimento varia in base alla gravità del demansionamento e alle conseguenze subite. Per ottenere una stima precisa, occorre considerare diversi fattori, tra cui:

  • Durata del demansionamento: più a lungo è il tempo in cui il dipendente è stato privato delle sue mansioni, maggiore potrebbe essere l’ammontare del risarcimento.
  • Tipologia di mansioni svolte: Il danno è più grave se le mansioni inferiori risultano completamente estranee al proprio profilo professionale.

Con riferimento al cd. danno patrimoniale, coincidente con la riduzione delle capacità professionali con conseguente minor spendibilità sul mercato del lavoro, la giurisprudenza ricorre, per la sua liquidazione, ad un coefficiente percentuale rispetto alla retribuzione complessiva, tenuto conto del grado di incidenza quantitativa e temporale del demansionamento attuato dal datore di lavoro.

Per ottenere una stima precisa, soprattutto quando si lamenta una compromissione psicofisica dello stato di salute, è bene invece premurarsi di una relazione medico legale che, alla luce della documentazione sanitaria resa disponibile, evidenzi in modo puntuale la natura della patologia riscontrata, con relativa quantificazione dell’incidenza sulla validità fisica del soggetto, individuando il necessario collegamento causale con la condotta demansionante datoriale.

Per quanto riguarda il danno non patrimoniale, esso può includere, oltre alla lesione dell'integrità psico-fisica, il danno esistenziale e la lesione all'immagine professionale. La prova di tali danni può essere fornita attraverso elementi presuntivi gravi, precisi e concordanti, come la qualità e quantità dell'attività lavorativa svolta, la durata del demansionamento e la nuova collocazione lavorativa.

Il termine di prescrizione per le cause di demansionamento

Riguardo al termine prescrizionale e, più segnatamente, al momento da cui inizia a decorrere, viene in rilievo un precedente giurisprudenziale (Cass. Civ. Sez. Lav. 31558/2021) che, a tal proposito, afferma che il protrarsi nel tempo della condotta demansionante “non può essere intesa semplicemente come acquiescenza ad una situazione imposta dal datore di lavoro, trattandosi di una forma di illecito permanente”.

Ciò significa che, venendo in rilievo una condotta illecita permanente, il termine di prescrizione decennale inizia a decorrere dal momento in cui tale situazione viene a cessare, non sussistendo limiti “alla proposizione della domanda ed al conseguente soddisfacimento del diritto ad essa sotteso per tutto il tempo durante il quale la condotta è stata perpetuata".

La giurisprudenza favorevole

Vi sono già numerose pronunce che hanno condannato le Aziende sanitarie al risarcimento del danno nei confronti dei propri dipendenti che hanno subito un demansionamento lavorativo.

Tra le tante, vale ricordare la recente pronuncia n. 1351/2024 che, proprio in tema di demansionamento nel lavoro pubblico, ha visto ribadire l'obbligo per l’Azienda di garantire al lavoratore l'assegnazione a mansioni corrispondenti alla sua qualifica professionale, evitando condotte che possano ledere la sua professionalità.

Secondo la Corte di Cassazione, la responsabilità della P.A. per danni da demansionamento si fonda sull'art. 2087 c.c. e sull'art. 2043 c.c., con l'onere della prova a carico del lavoratore in merito all'esistenza del danno patrimoniale subito.

Infine, si ribadisce che l'eventuale responsabilità del dirigente sovraordinato rispetto al caso concretamente patito dal dipendente non esonera l'Azienda dalla propria responsabilità contrattuale, atteso come la stessa sia gravata da un onere diretto di vigilanza sull'operato dei propri dipendenti e di intervento in caso di violazioni dei diritti dei lavoratori.

Di: Laura Usanza, avvocato Consulcesi

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