Le ferie sono un diritto costituzionalmente garantito, l’art. 36 della Costituzione italiana stabilisce al terzo comma che “il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi”. Nonostante questo, però, moltissimi lavoratori non riescono a godere pienamente dei riposi previsti dalle normative e dai contratti collettivi, con il passare del tempo l’accumulo di ferie maturate cresce sempre di più e sovente capita che si chiuda il rapporto con un datore di lavoro o addirittura si arrivi alla pensione con un numero molto alto di giorni di riposi non goduti.
Qui di seguito vi riportiamo una serie di pronunce rilevanti proprio relative al tema delle ferie non godute, selezionate in base alla rilevanza dell’organo giudicante e alla peculiarità della fattispecie, che potranno aiutarvi anche a comprendere la vostra situazione attuale, posto che per una valutazione corretta è sempre opportuno affidarsi al parere di un professionista esperto. Qui di seguito vi riportiamo una serie di pronunce rilevanti proprio relative al tema delle ferie non godute.
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La Costituzione italiana garantisce il diritto alle ferie, ma tantissimi lavoratori sanitari non sono messi nelle condizioni di goderne e arrivano alla pensione con giorni di ferie arretrate. Nei Tribunali è possibile far valere questi diritti, qui di seguito una breve raccolta giurisprudenziale delle più importanti sentenze sul tema.
Diritto alle ferie del dirigente e periodo feriale minimo
Corte di Cassazione lavoro sentenza n. 29113 del 6 ottobre 2022
La Corte di Cassazione ha puntualizzato che il potere del dirigente pubblico di organizzare autonomamente il godimento delle proprie ferie, pur se accompagnato da obblighi previsti dalla contrattazione collettiva di comunicazione al datore di lavoro della pianificazione delle attività e dei riposi, non comporta la perdita del diritto, alla cessazione del rapporto, all'indennità sostitutiva delle ferie se il datore di lavoro non dimostra di avere, in esercizio dei propri doveri di vigilanza ed indirizzo sul punto, formalmente invitato il lavoratore a fruire delle ferie e di avere assicurato altresì che l'organizzazione del lavoro e le esigenze del servizio cui il dirigente era preposto non fossero tali da impedire il loro godimento.
Inoltre, in merito al contenuto dell’art. 10, comma 1, del D.Lgs. n. 66 del 2003 che ha stabilito che il periodo feriale minimo di quattro settimane va goduto per almeno due settimane, consecutive in caso di richiesta del lavoratore, nel corso dell'anno di maturazione e, per le restanti due settimane, nei 18 mesi successivi al termine dell'anno di maturazione ha precisato che la norma va intesa come regola di disciplina delle modalità ordinarie di fruizione minima delle ferie maturate in un certo anno, senza interferenze con il diritto alla monetizzazione, alla fine del rapporto, delle ferie non godute, qualora il datore di lavoro non adempia agli oneri probatori a suo carico quali sopra delineati.
Onere della prova a carico del datore di lavoro
Corte di Cassazione civile sez. lavoro ordinanza n. 23153 del 25 luglio 2022
costituiscono un diritto fondamentale ed irrinunziabile del lavoratore e correlativamente un obbligo del datore di lavoro ed il diritto alla indennità finanziaria sostitutiva delle ferie non godute al termine del rapporto di lavoro è intrinsecamente collegato alle ferie annuali retribuite. Pertanto, è il datore il soggetto tenuto a provare di avere adempiuto al suo obbligo di concedere le ferie annuali retribuite. Le ferie annuali retribuite La perdita del diritto alle ferie ed alla corrispondente indennità sostitutiva alla cessazione del rapporto di lavoro può verificarsi soltanto nel caso in cui il datore di lavoro offra la prova di avere invitato il lavoratore a godere delle ferie - se necessario formalmente - e di averlo nel contempo avvisato - in modo accurato ed in tempo utile a garantire che le ferie siano ancora idonee ad assicurare il riposo ed il relax cui esse sono volte a contribuire - del fatto che, se egli non ne fruisce, tali ferie andranno perse al termine del periodo di riferimento o di un periodo di riporto autorizzato.
Insufficienza di organico e ferie non godute dal dirigente di struttura complessa
Corte di Cassazione civile sez. lavoro ordinanza n. 18140 del 6 giugno 2022
Il potere del dirigente pubblico di organizzare autonomamente il godimento delle proprie ferie, pur se accompagnato da obblighi previsti dalla contrattazione collettiva di comunicazione al datore di lavoro della pianificazione delle attività e dei riposi, non comporta la perdita del diritto, alla cessazione del rapporto, all'indennità sostitutiva delle ferie se il datore di lavoro non dimostra di avere, in esercizio dei propri doveri di vigilanza ed indirizzo sul punto, formalmente invitato il lavoratore a fruire delle ferie e di avere assicurato altresì che l'organizzazione del lavoro e le esigenze del servizio cui il dirigente era preposto non fossero tali da impedire il loro godimento. (Nella specie la S.C. ha cassato la sentenza impugnata che aveva escluso il diritto del dirigente di struttura complessa alla monetizzazione, pur a fronte di un accumulo esorbitante di ferie non godute ed un'accertata situazione di "endemica" insufficienza di organico, senza verificare la condotta del datore di lavoro ed i rapporti tra insufficienza di organico, non imputabile al lavoratore, e necessità di assicurare la prosecuzione del servizio).
Monetizzazione delle ferie del dirigente scolastico
Tribunale di Vasto sez. lavoro sentenza n. 79 pubblicata l’8 giugno 2022
Il Tribunale di Vasto – sulla base della nota giurisprudenza europea – ha chiarito che ai fini della monetizzazione non è necessario che l’Amministrazione abbia negato al dipendente di fruire delle ferie, in quanto è l’Amministrazione a dover dimostrare di aver invitato il dipendente a presentare la domanda, con espressa avvertenza che, in mancanza, le ferie residue non sarebbero state pagate.
Ancora oggi numerosi istituti scolastici ritengono di non dover procedere al pagamento delle ferie, in quanto il D.L. 6 luglio 2012, n. 95 (c.d.”spending review”) ha escluso la monetizzazione delle ferie per i dipendenti pubblici. Il CCNL di comparto prevede espressamente che “all’atto della cessazione del rapporto, qualora le ferie spettanti a tale data, non siano state fruite, si procede al pagamento sostitutivo delle stesse, sia per il personale a tempo determinato che indeterminato” (art. 13, comma 15). Anche nel nuovo contratto 2016/2018 le parti hanno tenuto a precisare che le ferie non fruite sono monetizzabili nei casi in cui l’impossibilità di fruire delle ferie non è imputabile o riconducibile al dipendente, come le ipotesi di decesso, malattia e infortunio. Quindi secondo l’Istituto il dipendente avrebbe dovuto dimostrare di aver presentato domanda di ferie e che le stesse gli erano state negate per ragioni di servizio oppure di non aver potuto fruirne perché assente per malattia, questa testi respinta dal Tribunale ha portato alla condanna della scuola al pagamento di ben 47 giorni di ferie non godute.
Il personale a termine ha diritto alla monetizzazione delle ferie
Corte di Cassazione civile sez. lavoro ordinanza n. 14268 del 5 maggio 2022
La Corte, dopo aver ripercorso l’evoluzione legislativa e pattizia sul tema, ha affermato che in materia di monetizzazione delle ferie non godute, la Corte di Giustizia Europea ha ormai tracciato una linea non più eludibile affermando che “l'articolo 7 della direttiva 2003/88/CE, in combinazione con l'articolo 31 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, osta ad una normativa nazionale in applicazione della quale il lavoratore che non ha chiesto di poter esercitare il proprio diritto alle ferie annuali retribuite prima della cessazione del rapporto di lavoro perde automaticamente i giorni di ferie annuali retribuite cui aveva diritto ai sensi del diritto dell'Unione alla data di tale cessazione e, correlativamente, il proprio diritto a un'indennità finanziaria per le ferie annuali retribuite non godute, senza una previa verifica del fatto che egli sia stato effettivamente posto dal datore di lavoro in condizione di esercitare il proprio diritto alle ferie prima di tale cessazione, attraverso un'informazione adeguata da parte di quest'ultimo”.
Sarà quindi il datore di lavoro, e non più il lavoratore, a dover adeguatamente dimostrare di aver posto il dipendente nelle migliori condizioni possibili per esercitare il proprio diritto alle ferie, assicurandosi concretamente ed in piena trasparenza che quest’ultimo sia realmente in grado di fruire del periodo di riposo, invitandolo formalmente a farlo ed informandolo, con altrettanta accuratezza ed in tempo utile perché lo scopo delle ferie possa essere effettivamente raggiunto, che qualora non ne fruisca, i giorni di ferie andranno persi al termine del periodo di riferimento o di un periodo di riporto autorizzato o, ancora, alla cessazione del rapporto di lavoro se quest'ultima si verifica nel corso di un simile periodo.
La Corte ha concluso dunque precisando che “in nessun caso il docente a termine potrebbe perdere il diritto alla indennità sostituiva delle ferie per il solo fatto di non avere chiesto le ferie, se non dopo essere stato invitato dal datore di lavoro a goderne, con espresso avviso della perdita, in caso diverso, del diritto alle ferie ed alla indennità sostitutiva”.
Inidoneità per motivi di salute e ferie non godute
Consiglio di Stato sez. II n. 2349 del 30 marzo 2022
Un sovrintendente della Polizia di Stato posto in aspettativa per motivi di salute dal 2 marzo 2011 e dichiarato definitivamente inidoneo nel 2012 ha chiesto la monetizzazione delle ferie non godute nel periodo di aspettativa, ma una parte di queste relative al 2010 non venivano pagate poiché nello specifico periodo le richieste dei dipendenti non erano soggette a protocollo e dunque non verificabili.
Il Consiglio di Stato accordando anche il periodo non riconosciuto ha precisato che il diritto al compenso sostitutivo delle ferie non godute dal pubblico dipendente, discenda direttamente dallo stesso mancato godimento delle ferie, in armonia con l'art. 36 Cost., quando sia certo che tale vicenda non sia stata determinata dalla volontà del lavoratore e non sia a lui comunque imputabile.
Nell'ambito del pubblico impiego, i periodi di ferie devono essere fruiti entro l'anno di riferimento ma, qualora ciò non sia possibile o per indifferibili esigenze di servizio o per motivate esigenze di carattere personale, il congedo deve essere fruito entro l'anno successivo a quello di spettanza, con la conseguenza che in caso di mancanza di richiesta di fruire del congedo per ferie non può rinvenirsi un impedimento non dipendente dalla volontà del prestatore di lavoro, tale da determinare la inapplicabilità dell'art. 5, comma 8 del D.L. n. 95/2012 e, dunque, consentirgli di ricevere un trattamento economico sostitutivo delle ferie non godute.
Diritto alle ferie anche per i dirigenti
Tribunale di Roma, sez. lavoro sentenza n. 2161 pubblicata l’8 marzo del 2022
Il Tribunale di Roma ribadendo una giurisprudenza consolidata della Corte di Cassazione ha ricordato che “Il diritto alle ferie annuali retribuite dei dirigenti pubblici, in quanto finalizzato all’ effettivo godimento di un periodo di riposo e di svago dall’ attività lavorativa (nel quadro dei principi di cui agli artt. 36 Cost. e 7, par. 2, della direttiva 2003/88/CE), è irrinunciabile”. Ne consegue che il dirigente medico il quale, al momento della cessazione del rapporto di lavoro, non ne abbia fruito, ha diritto a un’indennità sostitutiva, a meno che il datore di lavoro dimostri di averlo messo nelle condizioni di esercitare il diritto in questione prima di tale cessazione, mediante un’adeguata informazione nonché, se del caso, invitandolo formalmente a farlo. (In tal senso Cass., Sez. Lav., ordinanza n. 13613 del 2.7.2020).
Le tutele sancite dalla giurisprudenza comunitaria sulle ferie non godute
Corte di Cassazione civile sez. lavoro ordinanza n. 3170 del 2 febbraio 2022
La Corte ha ribadito il consolidato orientamento secondo cui il c.c.n.l. del 5 dicembre 1996, art. 21, comma 13, area dirigenza medica e veterinaria, che dispone il pagamento delle ferie nel solo caso in cui, all'atto della cessazione del rapporto, risultino non fruite per esigenze di servizio o per cause indipendenti dalla volontà del dirigente, va interpretato in modo conforme al principio di irrinunciabilità delle stesse, sancito dall'art. 36 Cost. e pertanto, trova applicazione solo nei confronti dei dirigenti titolari del potere di attribuirsi il periodo di ferie senza ingerenze da parte del datore di lavoro e non anche nei confronti dei dirigenti privi di tale potere.
Nella medesima sentenza la Corte ha poi ricordato che le clausole previste dalla contrattazione collettiva devono essere interpretate tenendo conto della giurisprudenza della Corte di Giustizia, per cui sarà sempre onere del datore di lavoro, e non del lavoratore, «dimostrare di avere esercitato tutta la diligenza necessaria affinché il lavoratore sia effettivamente in condizione di fruire delle ferie annuali retribuite alle quali aveva diritto», aggiungendo che la mancata corresponsione dell'indennità sostitutiva al momento della cessazione del rapporto può ritenersi conforme alla direttiva 2003/88/CE soltanto quando risulti che «il lavoratore, deliberatamente e con piena cognizione delle conseguenze che ne sarebbero derivate, si è astenuto dal fruire delle ferie annuali retribuite dopo essere stato posto in condizione di esercitare in modo effettivo il suo diritto alle medesime».
Il datore di lavoro è responsabile anche se il dipendente non richiede le ferie
Corte di Cassazione civile sentenza n. 1733 del 20 gennaio 2022
La Corte Cassazione non ha ritenuto legittime le giustificazioni del datore di lavoro che aveva negato la monetizzazione delle ferie non godute al dipendente prossimo alla pensione, perché non ne aveva mai fatto richiesta e perché non era dimostrabile alcun effettivo impedimento alla fruizione. La Suprema Corte ha precisato che l’art. 36 della Costituzione garantisce l’irrinunciabilità al diritto alle ferie, dunque, è obbligo ultimo del datore di lavoro curare la tempestiva fruizione dei riposi da parte dei propri dipendenti. Non possono dunque avere rilevanza eventuali comportamenti del dipendente di mancata richiesta o simili, anche se previsti dalla contrattazione collettiva.
Amministrazioni pubbliche e monetizzazione delle ferie non godute
Corte costituzionale sentenza n. 95 del 6 maggio 2016
La Corte non ha ritenuto fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 8, Decreto legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, legge 7 agosto 2012, n. 135 sollevata, in riferimento agli artt. 3, 36, primo e terzo comma, e 117, primo comma, Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 7, Direttiva 4 novembre 2003, 2003/88/Ce nella parte in cui dispone che le ferie, i riposi ed i permessi spettanti al personale, anche di qualifica dirigenziale, delle amministrazioni pubbliche sono obbligatoriamente fruiti secondo quanto previsto dai rispettivi ordinamenti e non danno luogo in nessun caso alla corresponsione di trattamenti economici sostitutivi. Il divieto di monetizzazione non opera nelle ipotesi di cessazione dal servizio, quando il mancato godimento delle ferie sia dovuto a causa non imputabile al lavoratore come ad esempio la malattia. Il presupposto per l’applicazione della monetizzazione delle ferie non godute in base all’interpretazione della disciplina dell’art. 5, comma 8, D.L. n. 95/2012, seguita anche dalla sentenza della Corte costituzionale n. 95/2016 e dalla giurisprudenza successiva è la cessazione del lavoro e la mancata fruizione che non sia dipesa da periodi di malattia e aspettativa e non comporta alcuna cessazione del rapporto di lavoro.
In virtù di questa sentenza in molte fattispecie nelle quali le ferie non godute sarebbero state perse, per il lavoratore è stato possibile invece ottenere la monetizzazione.