Mobilità volontaria negata al sanitario? Quando è possibile impugnare

Scopri quali sono le tutele per i lavoratori in caso di ritardi o dinieghi immotivati del nulla osta alla mobilità volontaria da parte delle aziende sanitarie.

Sommario

  1. La mobilità volontaria del Comparto sanitario: come è disciplinata
  2. La disciplina integrativa del CCNL
  3. L’orientamento della giurisprudenza di Cassazione
  4. Il dissenso dell’azienda di provenienza deve essere specificamente motivato

Giungono spesso alla consulenza dei legali del network di Consulcesi richieste di operatori sanitari che, ottenuta la possibilità di accedere ad un bando di trasferimento presso altra azienda, vedono sfumare l’opportunità a causa del ritardo con cui quella di appartenenza provvede al rilascio del nulla osta, con conseguente decorrenza del termine stabilito per la presa in servizio in quella di destinazione.

In altri casi, invece, ricevono un vero e proprio diniego al trasferimento, con motivazioni completamente generiche, che si rifanno, il più delle volte, a non meglio precisate ragioni organizzative senza alcun ulteriore dettaglio.

Come vedremo, questa prassi può risultare illegittima e quindi meritevole di ricorso innanzi al Tribunale del lavoro, richiedendosi, a seconda della situazione, l’emissione del provvedimento più idoneo, anche ai sensi dell’art. 700 c.p.c., a garantire la tutela effettiva degli interessi del dipendente in questione, valutando l’eventuale domanda di risarcimento dei danni provocati dalla condotta illegittima dell’azienda.

La mobilità volontaria del Comparto sanitario: come è disciplinata

Per la categoria del Comparto sanitario, la disciplina della mobilità volontaria discende dall’applicazione dell’art. 30 del D. Lgs. n. 165/2001, cui viene fatto peraltro espresso riferimento nell’art. 63 del CCNL vigente per il triennio 2019/2021.

Secondo la richiamata disposizione normativa, le amministrazioni possono ricoprire posti vacanti in organico mediante passaggio diretto di dipendenti di cui all'articolo 2, comma 2, appartenenti a una qualifica corrispondente e in servizio presso altre amministrazioni, che facciano domanda di trasferimento.

Nel caso in cui si tratti di posizioni dichiarate motivatamente infungibili dall'amministrazione cedente, oppure di personale assunto da meno di tre anni o, infine, qualora la mobilità determini una carenza di organico superiore al 20% nella qualifica corrispondente a quella del richiedente, viene richiesto il previo assenso dell'amministrazione di appartenenza.

L’assenso al passaggio diretto può essere differito, fino ad un massimo di 60 giorni dal ricevimento dell’istanza di passaggio diretto ad altra amministrazione, in caso di motivate esigenze organizzative.

La disciplina integrativa del CCNL

L’art. 63 del CCNL prevede, ad integrazione della menzionata disciplina normativa, alcune particolari previsioni relative alla mobilità volontaria.

È così stabilito che:

  1. a) la mobilità avviene nel rispetto dell’area e del profilo professionale dei dipendenti in relazione al posto da coprire;
  2. b) il bando, da emanarsi con cadenza annuale e pubblicato sul sito web aziendale, riportante i profili ricercati dall’Azienda, deve indicare procedure e criteri di valutazione;
  3. c) la partecipazione è consentita a tutti i dipendenti in possesso dei requisiti di esperienza e competenza indicati nel bando;
  4. d) la mobilità non comporta novazione del rapporto di lavoro;
  5. e) il fascicolo personale segue il dipendente trasferito;
  6. f) fermo restando che l’attivazione della mobilità richiede il consenso dell’ente o azienda di appartenenza, la partecipazione al bando avviene anche senza il preventivo assenso della stessa. L’Azienda o Ente di appartenenza, ricevuta la richiesta di assenso, deve rispondere motivatamente entro 30 giorni.

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L’orientamento della giurisprudenza di Cassazione

Secondo la giurisprudenza di legittimità, la mobilità volontaria determina una modificazione soggettiva del rapporto di lavoro riconducibile allo schema legale della cessione del contratto.

Trattandosi di mero trasferimento della titolarità del rapporto da un’amministrazione ad un’altra rimangono così immutate la posizione e le tutele del lavoratore, al quale viene garantito il mantenimento del trattamento economico e normativo di cui godeva in precedenza.

Pertanto, conformemente alla disciplina prevista dagli artt. 1406 e ss c.c., il suo perfezionamento implica necessariamente il consenso di tutte e tre le parti interessate, di modo che il rapporto di lavoro può intendersi regolarmente trasferito solo se vi è l'assenso dell'amministrazione di appartenenza, dell’amministrazione di destinazione e del lavoratore.

Si ritiene, pertanto, che il consenso reso dall’amministrazione di provenienza costituisca una vera e propria condicio sine qua non, mancando la quale non si perfeziona la cessione del rapporto negoziale di lavoro.

Sempre secondo questa impostazione, anteriormente al rilascio del nulla osta non può insorgere alcun diritto soggettivo in capo al dipendente al trasferimento che può, tutt’al più, vantare una aspettativa di diritto.

In ogni caso, la discrezionalità dell'amministrazione di appartenenza nell’autorizzare la mobilità in uscita del proprio dipendente deve, pur sempre, conformarsi ai canoni di correttezza e buona fede sia nell’esercizio dei propri poteri amministrativi, quale soggetto di diritto pubblico, che nell’esercizio dei poteri privatistici quale datore di lavoro.

Pertanto, un eventuale diniego del nulla osta deve essere sempre giustificato da obiettive esigenze di carattere gestionale o organizzativo.

Il dissenso dell’azienda di provenienza deve essere specificamente motivato

Uno delle questioni più controverse – e fonte di gravi disagi nel personale sanitario – riguarda il rilascio del nulla osta da parte dell’aziende di provenienza che, talvolta, negano o ritardano oltre misura questo adempimento, adducendo generici impedimenti organizzativi.

Fatta salva la necessità di acquisire il consenso dell’azienda cedente (peraltro, da talune pronunce di merito ritenuto addirittura superfluo), questa procedura non è però lasciata al mero arbitrio, ovvero alla pura discrezionalità amministrativa, dovendo rispondere pur sempre a principi di trasparenza ed imparzialità, che caratterizzano il buon andamento della gestione della cosa pubblica, e di correttezza e buona fede, venendo in rilievo un rapporto giuridico di natura privatistica.

Già la Corte Costituzionale, con la pronuncia n. 159/2020, aveva sottolineato che la mobilità volontaria, configurando una cessione del contratto, è pur sempre soggetta ai principi di correttezza e buona fede.

L’assenso al passaggio diretto, pur rientrando negli atti rimessi all’esercizio del potere discrezionale della P.A., rimane comunque sindacabile rispetto alla verifica del rispetto delle clausole generali di correttezza e buona fede, di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c., applicabili alla stregua dei principi di imparzialità e di buon andamento di cui all’art. 97 Cost., nella determinazione delle scelte riconnesse alla gestione del rapporto di lavoro.

Di recente, proprio il Tribunale di Milano, accogliendo un ricorso d’urgenza presentato da un dipendente, è giunto ad ordinare, con provvedimento del 6/08/2024, all’azienda cedente il rilascio del nulla osta al trasferimento in mobilità ritenendo non adeguatamente dimostrate, e comunque estremamente generiche, le motivazioni addotte per respingere la richiesta di assenso, aggiungendo altresì che, alla luce dei principi dettati da Cass. n. 26265/2021, la procedura in questione “non involge, neppure quando sia qualificata come bando, i poteri autoritativi delle amministrazioni, ma solo la capacità di diritto privato di acquisizione e gestione del personale, da esercitare secondo le regole in essa previste”.

Questo porta a concludere che l’amministrazione cedente, contrariamente a quanto talvolta erroneamente ritenuto, non è completamente svincolata da qualsiasi onere nel rilascio del nulla osta, ma deve, entro il termine prefissato dalla legge, esprimere il suo consenso ovvero, sempre nel rispetto del medesimo tempo, motivare adeguatamente l’eventuale dissenso al trasferimento, indicando in modo chiaro e specifico le concrete ragioni organizzative o funzionali che lo impediscono, così da evitare che il diniego risulti un atto arbitrario od irragionevole.

Laddove, pertanto, dovessero emergere profili di irregolarità, per ritardo o diniego illegittimi, sarà quindi opportuno accedere ad una consulenza legale qualificata, onde verificare la possibilità di contestare l’operato amministrativo per ottenere il provvedimento più adeguato alla salvaguardia dei propri interessi, compreso il ristoro dei danni, anche professionali e patrimoniali, eventualmente patiti.

Di: Francesco Del Rio, avvocato

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