Reperibilità e Pronta disponibilità: guida alla tutela del sanitario

La reperibilità passiva fra orario di lavoro e periodo di riposo: una questione ancora aperta per il dipendente sanitario. Consulta la Guida e non farti trovare impreparato.

Sommario

  1. Il Servizio di Pronta Disponibilità
  2. La disciplina contrattuale in ambito sanitario
  3. Orario di lavoro e periodo di riposo
  4. Le indicazioni della Corte di Giustizia Europea sulla pronta disponibilità
  5. L’orientamento della Cassazione
  6. La situazione dei sanitari italiani

Uno dei temi assurti all’interesse della Corte di Giustizia Europea riguarda il corretto inquadramento giuridico dell’istituto della pronta disponibilità, posto come le direttive comunitarie in tema di orario di lavoro (nello specifico la 2003/88/CE) non prevedano, secondo l’interpretazione fornita dalla stessa giurisprudenza eurounitaria, un tertium genus rispetto ai concetti alternativi di “orario di lavoro” e “periodo di riposo”.

La possibilità per il lavoratore di scollegarsi effettivamente dall’ambiente di lavoro per dedicarsi, in modo totale, al recupero delle energie psicofisiche attraverso la preferita gestione del tempo di riposo concessogli dalla legge, potrebbe risultare compromessa già solo per il fatto di ritrovarsi, improvvisamente, richiamato in servizio con conseguente obbligo di interrompere la cura dei propri interessi personali, per ritornare sul posto di lavoro a svolgere la prestazione richiesta.

Delle due l’una, o la pronta reperibilità, soprattutto con riferimento a quella che non comporta l’effettiva esecuzione della prestazione da parte del dipendente, rientra nell’ambito del lavoro, con le conseguenze giuridiche ed economiche che si possono immaginare, oppure deve essere ricondotta al riposo, senza possibilità di interpretazioni intermedie.

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    Il Servizio di Pronta Disponibilità

    L’Istituto della pronta disponibilità è di matrice contrattuale e si configura come una prestazione accessoria, diversa da quella lavorativa vera e propria, consistente nell’obbligo del lavoratore di rimanere a disposizione del datore al di fuori del previsto orario di lavoro, così da poter essere immediatamente reperibile e, in caso di chiamata, pronto alla ripresa del servizio entro un termine prestabilito.

    In buona sostanza, questo istituto preclude ad un primario obbligo di attesa da parte lavoratore rispetto alla possibile chiamata del datore di lavoro, potendosi in ciò esaurire (cd. “reperibilità passiva”), ovvero da luogo al ritorno sul posto di lavoro per eseguire la prestazione richiesta dalla chiamata (cd. “reperibilità attiva”).

    Questa particolare situazione è disciplinata dalla contrattazione collettiva, pur tuttavia si registra in diverse occasioni l’intervento della regolamentazione decentrata a livello aziendale che, in base a specifiche esigenze organizzative, prevede una disciplina ad hoc, comunque, conforme ai principi generali dettati dalla normativa e dalle disposizioni del CCNL applicabile.

    La pronta disponibilità non è però un servizio a cui il datore di lavoro può ricorrere ordinariamente, ma viene invece applicato soltanto nei casi in cui ciò risulti strettamente necessario, ovverossia quando:

    • sussiste l’obbligo di garantire interventi assistenziali urgenti e non programmabili; 
    • vi è necessità di assicurare la funzionalità organizzativa o tecnica delle strutture.

    La disciplina contrattuale in ambito sanitario

    Il servizio di pronta disponibilità viene regolamentato, per l’area della dirigenza medica, dall’art. 30 del CCNL Area Sanità (triennio 2019-2021), siglato lo scorso gennaio, a tenore del quale è caratterizzato dall’immediata reperibilità del dirigente e dall'obbligo per lo stesso di raggiungere il luogo di lavoro nel tempo stabilito nell'ambito del piano annuale adottato, all’inizio di ogni anno, dall'Azienda o Ente per affrontare le situazioni di emergenza in relazione alla dotazione organica ed agli aspetti organizzativi delle strutture.

    Il servizio di pronta disponibilità va limitato ai turni notturni ed ai giorni festivi garantendo il riposo settimanale ed ha durata di dodici ore; può essere articolato in orari di minore durata ma, in ogni caso, non inferiori alle quattro ore. 

    Sono inoltre programmabili, nell’arco di un quadrimestre, non più di 10 servizi di pronta disponibilità calcolati come media mensile nell’arco di tutto il periodo.

    Per quanto concerne l’aspetto della retribuzione, in caso di chiamata la pronta disponibilità viene compensata come lavoro straordinario, fatta salva la possibilità per il dipendente di richiedere il recupero orario, mentre qualora ciò non avvenga il dirigente conserva il diritto al riconoscimento di una indennità oraria di euro 2,00 lorde, eventualmente elevabile in sede di contrattazione integrativa.

    Sostanzialmente sovrapponibile la disposizione contenuta nel CCNL relativo al personale del Comparto Sanità (triennio 2019-2021), siglato il 22 novembre 2022, per cui si conferma come un servizio caratterizzato dall’immediata reperibilità del dipendente e dall’obbligo per lo stesso di raggiungere la struttura nel tempo previsto secondo le modalità previste dalle stesse Aziende.

    Il servizio di pronta disponibilità va, anche in questo caso, limitato ai turni notturni ed ai giorni festivi, garantendo il riposo settimanale, ed ha generalmente una durata di dodici ore, con un’indennità oraria di euro 1,80 lorde, eventualmente elevabile in sede di contrattazione integrativa, con un massimo di assegnazioni di sette turni al mese per ciascun dipendente.

    Orario di lavoro e periodo di riposo

    p>Tornando alla questione dell’inquadramento giuridico secondo le indicazioni fornire dalla giurisprudenza comunitaria, occorre dapprima ricordare che lo scopo della direttiva 2003/88/CE consiste nel fissare prescrizioni minime destinate a migliorare le condizioni di vita e di lavoro dei lavoratori mediante il ravvicinamento delle normative nazionali riguardanti, in particolare, la durata dell’orario di lavoro. 

    L’art. 2, punto 1, della direttiva 2003/88 definisce la nozione di «orario di lavoro», considerando ricompreso qualunque periodo in cui il lavoratore è al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio della sua attività o delle sue funzioni, conformemente alle legislazioni e/o prassi nazionali, mentre ai sensi del punto 2 del medesimo articolo, nella nozione di «periodo di riposo» viene ricompreso qualsiasi periodo che non rientra nell’orario di lavoro.

    Ne discende come le due nozioni si escludano a vicenda, non essendo peraltro consentito agli Stati membri di intervenire con definizioni “interne”, che portino ad imporre condizioni o restrizioni di qualsiasi natura rispetto ai diritti riconosciuti al lavoratore.

    I principi dettati da questa direttiva costituiscono peraltro norme di diritto sociale dell’Unione, siccome espressione dell’art. 31, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali, che devono pertanto ricevere sempre la più ampia tutela, non essendo ammesse interpretazioni riduttive od in qualche modo peggiorative delle condizioni di lavoro del dipendente, neppure correlate a ragioni di carattere puramente economico.

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    Le indicazioni della Corte di Giustizia Europea sulla pronta disponibilità

    In questi ultimi anni, la Corte di Giustizia si è trovata in varie occasioni a pronunciarsi sulla possibilità di considerare o meno il periodo in pronta disponibilità come orario di lavoro, affermando in buona sostanza che la reperibilità rientra nell’orario di lavoro tutte le volte in cui, a prescindere dall’esecuzione o meno della prestazione, i vincoli imposti al lavoratore siano tali da pregiudicare in modo significativo ed oggettivo la possibilità per il lavoratore di gestire liberamente le modalità di svolgimento del tempo di riposo.

    Al contrario, quando i vincoli imposti al lavoratore non raggiungono un tale grado di intensità e gli consentono di gestire il suo tempo e di dedicarsi ai propri interessi senza particolari impedimenti, soltanto il tempo connesso alla prestazione di lavoro che, eventualmente, sia effettivamente realizzata durante un periodo del genere costituisce «orario di lavoro», ai fini dell’applicazione della direttiva 2003/88.

    Per valutare, allora, se il servizio fornito in regime di reperibilità generi obiettivamente vincoli che incidano in modo significativo sulla gestione, da parte del lavoratore, del tempo durante il quale le sue prestazioni non sono richieste, occorre prestare attenzione ad alcuni indici rilevatori:

    • l’entità del termine a disposizione del lavoratore per riprendere il servizio presso la struttura indicata dal datore di lavoro;
    • la frequenza media degli interventi richiesti al lavoratore.

    In un noto precedente (sentenza 9/03/21 C-580/19), poi richiamato in successive pronunce sul medesimo tema, la Corte di Giustizia Europea ha dichiarato che l’articolo 2, punto 1, della direttiva 2003/88 deve essere interpretato nel senso che un servizio di pronto intervento in regime di reperibilità, durante il quale un lavoratore deve poter raggiungere la sede di lavoro entro un termine pari a 20 minuti, con la sua tenuta da intervento e il veicolo di servizio messo a disposizione dal datore di lavoro, avvalendosi dei diritti in deroga al codice della strada e dei diritti di precedenza connessi a suddetto veicolo, costituisce, nella sua integralità, «orario di lavoro», ai sensi della menzionata disposizione, soltanto se da una valutazione globale del complesso delle circostanze della fattispecie, in particolare delle conseguenze di un tale termine e, eventualmente, della frequenza media di intervento nel corso del servizio in parola, risulta che i vincoli imposti a detto lavoratore durante il servizio in discussione sono tali da incidere in modo oggettivo e molto significativo sulla facoltà per quest’ultimo di gestire liberamente, nel corso del medesimo servizio, il tempo durante il quale i suoi servizi professionali non sono richiesti e di dedicare detto tempo ai suoi interessi.

    L’orientamento della Cassazione

    C’è da dire che la giurisprudenza nazionale (fra le altre, Cass. Lav. n. 5465/16) si è già espressa in materia di reperibilità passiva, con riferimento alla dibattuta questione dei riposi compensativi, affermando in diversi precedenti che questa non sarebbe equiparabile alla prestazione di lavoro risolvendosi, a suo dire, in una obbligazione strumentale ed accessoria, qualitativamente diversa da quella lavorativa, che, pur comportando una limitazione della sfera individuale del lavoratore, non impedisce il recupero delle energie psicofisiche.

    Questa interpretazione è stata peraltro ritenuta conforme alla normativa comunitaria, nello specifico alla direttiva 2003/88, sul convincimento espresso che la reperibilità passiva, quando non comporti la presenza fisica del dipendente sul posto di lavoro, esulerebbe dalla nozione comunitaria di orario di lavoro, richiamando in proposito una pronuncia della Corte di Giustizia in cui, affrontando il tema dei servizi di guardia medica, ha affermato che, laddove il sanitario garantisca soltanto la disponibilità ad essere rintracciato, questo non andrebbe ad incidere sulla gestione del tempo libero (Corte di Giustizia 9.9.2003, C-151/02).

    Porre sullo stesso piano la reperibilità passiva ed il tempo di riposo appare, però, oltremodo penalizzante per il sanitario che, di fatto, non pare poter godere appieno delle prerogative proprie del tempo libero a sé spettante, dovendo sempre contemperarlo con l’ipotesi, spesso neppure tanto peregrina, che quel periodo venga improvvisamente troncato per ripresentarsi, nel più breve tempo possibile (e questo lo decide l’urgenza clinica del momento), in servizio per fornire la propria prestazione.

    La situazione dei sanitari italiani

    Buona parte dei regolamenti aziendali delle strutture sanitarie pubbliche nazionali, che peraltro spesso identificano il servizio di pronta disponibilità come finalizzato a garantire la continuità assistenziale nel processo di erogazione delle prestazioni sanitarie, prevedono che il tempo, concesso al lavoratore per la ripresa del servizio, debba essere il più breve possibile e, comunque, non superiore a trenta minuti dal momento in cui viene contattato.

    Inoltre, questo servizio non costituisce una mera eventualità, ma spesso risulta costantemente attivato, per cui si registrano elevate percentuali di rientro in servizio rispetto ai turni assegnati, talvolta addirittura superiori ai limiti stabiliti dalla contrattazione collettiva. 

    Questo fa sì che, soprattutto nelle attuali realtà metropolitane, il sanitario in regime di pronta disponibilità veda particolarmente compromesso il suo diritto di gestire, in piena libertà, il tempo di riposo concessogli dalla legge per le finalità ritenute più opportune, dovendolo per l’appunto circoscrivere nella “quasi” certezza di dover riprendere servizio a seguito della prevedibile chiamata.

    Questo potrebbe far presagire la possibilità, chiaramente valutabile caso per caso da un esperto giuslavorista, di agire nei confronti della propria azienda per richiedere, in caso di reperibilità passiva, le differenze retributive fra la modesta indennità percepita e la retribuzione ordinaria prevista considerando quel tempo alla stessa stregua dell’orario di lavoro.

    In tal caso, spetterà comunque al giudice nazionale effettuare una valutazione globale di tutte le circostanze provate dal lavoratore al fine di verificare se un periodo di pronta disponibilità debba essere qualificato come “orario di lavoro”, atteso che tale qualificazione non è automatica in assenza di un obbligo di restare a disposizione direttamente sul luogo di lavoro.

    Di: Francesco Del Rio, avvocato

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