Orario di lavoro e periodo di riposo: la Giustizia europea non ammette soluzioni ibride

Per la Corte UE, in materia di organizzazione del lavoro e dell’orario, non sono ammessi equivoci, dovendosi mantenere ferma la superiorità della disciplina comunitaria rispetto a qualsiasi difforme normativa o prassi nazionale.

Sommario

  1. Il contesto normativo dell’Unione Europea sul periodo di riposo
  2. Definizione di orario di lavoro ed orario di riposo
  3. Definizione di pausa
  4. La disciplina nazionale
  5. Reperibilità, pronta disponibilità, guardie, pausa mensa: orario di lavoro o tempo di riposo?
  6. Considerazioni finali su orario di lavoro e periodo di riposo

Il tempo di riposo è sempre più sotto la lente di ingrandimento della giurisprudenza comunitaria che, in più di un’occasione, è dovuta intervenire per ricondurre a conformità con i prioritari obiettivi dell’Unione normative e prassi di vari Stati membri che, malgrado i limiti imposti alla libertà del lavoratore di godere appieno del proprio tempo libero, non riconoscevano le prerogative tipiche dell’orario di lavoro, incidendo negativamente sia sull’aspetto retributivo che sui presidi della sicurezza sul lavoro.

Il punto riguarda, soprattutto, l’aspetto della retribuzione di questi momenti di riposo, incluse le pause intermedie, che chiaramente dipendono dalla loro qualificazione come “orario di lavoro” o “periodo di riposo” alla luce dei principi riconosciuti dall’Unione Europea.

Il contesto normativo dell’Unione Europea sul periodo di riposo

Il quadro normativo in cui si muove l’apprezzamento della Corte di Giustizia Europea concerne la corretta interpretazione dei principi sanciti nella direttiva 2003/88, che funge da archetipo di riferimento per valutare la conforme applicazione all’interno degli ordinamenti dei singoli stati membri.

Questa direttiva, che costituisce la pietra miliare dell’intera organizzazione dell’orario di lavoro, preannuncia gli obbiettivi della disciplina specifica sull’orario di lavoro già nelle premesse stabilendo, al punto 4, come si persegua “il miglioramento della sicurezza, dell’igiene e della salute dei lavoratori durante il lavoro rappresenta un obiettivo che non può dipendere da considerazioni di carattere puramente economico”.

Inoltre, viene espressamente sancito che “tutti i lavoratori dovrebbero avere periodi di riposo adeguati. Il concetto di “riposo” deve essere espresso in unità di tempo, vale a dire in giorni, ore e frazioni d’ora. I lavoratori dell’Unione Europea devono beneficiare di periodi minimi di riposo giornaliero, settimanale e annuale e di adeguati periodi di pausa”.

Per quanto concerne la disciplina contenuta nella direttiva, viene in rilievo inizialmente l’art. 1 che, dopo aver ricordato il contesto di miglioramento delle condizioni di sicurezza sul luogo di lavoro, anche a tutela della salute del lavoratore, descrive il perimetro di applicazione dell’intero impianto normativo,  che si estende dai periodi minimi di riposo giornaliero, al riposo settimanale, alle ferie annuali fino alla pausa ed alla durata massima settimanale del lavoro, nonché a taluni aspetti del lavoro notturno, del lavoro a turni e del ritmo di lavoro.

Definizione di orario di lavoro ed orario di riposo

Rilevante diventa poi la parte in cui la direttiva fornisce le definizioni, distinguendo ai sensi dell’art. 2 da un canto, il cd. “orario di lavoro”, inteso come qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio della sua attività o delle sue funzioni, conformemente alle legislazioni e/o prassi nazionali, dal cd. “periodo di riposo”, invece coincidente con qualsiasi periodo che non rientra nell’orario di lavoro.

Definizione di pausa

Il concetto di “pausa” viene invece regolato dall’art. 4, che impone a tutti gli stati membri di adottare tutte “le misure necessarie affinché ogni lavoratore benefici, qualora l’orario di lavoro giornaliero superi le 6 ore, di una pausa le cui modalità e, in particolare, la cui durata e condizioni di concessione sono fissate da contratti collettivi o accordi conclusi tra le parti sociali o, in loro assenza, dalla legislazione nazionale”.

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La disciplina nazionale

Il decreto legislativo n. 66/2003, nel suo art. 8, si impone quale strumento di attuazione dei richiamati principi della direttiva europea e, come tale, è stato oggetto di diverse pronunce della Corte di Cassazione che, in talune occasioni (sent. n. 5023/2009), ha affermato che “un periodo di riposo, per poter essere considerato tale, non può limitarsi ad una momentanea astensione dal lavoro, ma deve consentire al lavoratore la reintegrazione delle energie perdute”.

Secondo questo orientamento, il criterio distintivo fra riposo intermedio, non computabile ai fini della determinazione della durata del lavoro, e semplice temporanea inattività, computabile ad altri fini, consiste  nella differente condizione in cui si trova il lavoratore, il quale, nel primo caso, può disporre liberamente di sé stesso per un certo periodo di tempo anche se è costretto a rimanere nella sede del lavoro o a subire una qualche limitazione mentre, nel secondo, pur restando inoperoso, è obbligato a tenere costantemente disponibile la propria forza lavoro per ogni richiesta o necessità.

Reperibilità, pronta disponibilità, guardie, pausa mensa: orario di lavoro o tempo di riposo?

Come si può comprendere la questione si incentra proprio in quella zona grigia (turni di pronta disponibilità, reperibilità, pause mensa con “cercapersone” attivato, ecc….) in cui il lavoratore, pur trovandosi astrattamente in una situazione di riposo, anche momentaneo, in realtà rimane pur sempre a disposizione del datore di lavoro per qualsiasi evenienza rendesse necessaria, a chiamata, la sua rapida ripresa in servizio.

A tal riguardo, la Corte di Giustizia (già con la sentenza del 9/09/21, C-107/19) ha rimarcato che non tutti i periodi in cui un lavoratore non svolge un’attività lavorativa possono essere considerati, per ciò solo, tempo di riposo o di pausa.

Infatti, quelle situazioni in cui il lavoratore, pur non svolgendo attività, è tenuto a riprendere servizio in un tempo ristretto devono essere considerate, per intero, orario di lavoro, posto che costui è in pratica “fortemente dissuaso dal pianificare una qualsiasi attività di svago, anche di breve durata” (sentenza 9/03/2021, C-344/19).

Non potendosi ammettere, fra le due categorie dell’orario di lavoro e del tempo di riposo, una terza eventualità “intermedia”, ne consegue che, per poter ricondurre qualsiasi situazione ibrida ora all’una ora all’altra, l’apprezzamento vada incentrato su alcuni aspetti fattuali, che tendono a circoscrivere la situazione realmente vissuta dal lavoratore.

Il primo è quello relativo al tempo di reazione che deve valutarsi, secondo la CGUE, previa analisi concreta, “che tenga conto, se del caso, degli altri vincoli che sono imposti al lavoratore, così come delle agevolazioni che gli sono concesse, nel corso del suo periodo di guardia” (sentenza 9/03/2021 C-344/19).

Un altro indice significativo della possibilità che, anziché tempo di effettivo riposo, si tratti in realtà di orario di lavoro, è dato anche dalla frequenza con la quale il lavoratore è chiamato a riprendere servizio, ciò comprimendo significativamente la possibilità per lo stesso di gestire liberamente il tempo ed i modi in cui godere dei momenti durante i quali i suoi servizi professionali non sono richiesti.

A questi si aggiunge l’ulteriore aspetto dell’imprevedibilità delle possibili interruzioni del tempo di riposo, che di fatto limitano ancor di più la capacità del lavoratore di gestire liberamente tale tempo, dovendo fare i conti anche con quell’incertezza che porta il lavoratore ad uno stato di allerta permanente (sentenza 9/09/21, C-107/19).

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Considerazioni finali su orario di lavoro e periodo di riposo

Secondo la concorde giurisprudenza comunitaria rientra nella nozione di “orario di lavoro”, così come riportata dalla direttiva 2003/88, tutti i periodi di guardia, ivi compresi quelli in regime di reperibilità, nel corso dei quali i vincoli imposti al lavoratore siano di natura tale da pregiudicare in modo oggettivo e assai significativo la facoltà, per quest’ultimo, di gestire liberamente, nel corso dei periodi in questione, il tempo durante il quale i suoi servizi professionali non sono richiesti e di dedicare questo tempo ai propri interessi (sentenza del 9/03/21, C‑344/19).

Le puntuali indicazioni fornite dalla Corte di Giustizia dell'Unione Europea portano dunque ad escludere la possibilità, tuttora esistente, di riconoscere zone di ambiguità rispetto all’orario di lavoro per cui, ad esempio, qualora si controverta sul tema delle differenze tra reperibilità attiva e passiva, sarà impossibile operare un effettivo distinguo, con le relative conseguenze, tutte le volte in cui siano imposti al lavoratore vincoli tali da incidere significativamente sul pieno esercizio della sua libertà nel gestire il tempo libero destinato al riposo, con conseguenti ripercussioni, in senso favorevole, sulla retribuzione del lavoratore, ovvero sulla possibilità di accedere all’istituto del riposo compensativo che, se negato, potrebbe dar luogo ad un’ipotesi di risarcimento.

Di: Francesco Del Rio, avvocato

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