Perché la libera professione è diventata l’unica strada dei fisioterapisti?

Quanti siano i fisioterapisti che, in Italia, operano in regime libero professionale è difficile stimarlo. Non tutti coloro che aprono una partita Iva, infatti, hanno uno studio privato: molti hanno collaborazioni con cooperative o presso poliambulatori e centri privati. Allo stesso tempo, il SSN ha perso la sua attrattiva. L’analisi di Simone Patuzzo, fisioterapista di Nursing Up-Verona.

Sommario

  1. Cosa fanno i fisioterapisti con partita Iva
  2. Dagli anni ’90 ad oggi: com’è cambiata la professione

“La maggior parte dei fisioterapisti lavora in regime libero-professionale”. Pur non essendoci stime recenti a dimostrazione di tale affermazione, è questa l’impressione che ci si fa attraverso i gruppi social, come “SOS Fisioterapista Cercasi!”, che racchiude circa 15 mila professionisti iscritti. Nemmeno contando il numero dei fisioterapisti con partita Iva è possibile stimare quanti tra questi professionisti sanitari si dedichino effettivamente alla libera professione: “Molti dei professionisti con partita Iva non apriranno mai uno studio professionale proprio e continueranno a lavorare per tutta la vita mediante collaborazioni con cooperative o esercitando presso poliambulatori e centri privati”, spiega Simone Patuzzo, fisioterapista, dirigente del proselitismo sindacale di Nursing Up-Verona.

Cosa fanno i fisioterapisti con partita Iva

In altre parole, non sempre aprire la partiva Iva vuol dire trovare una propria posizione come titolare di uno studio professionale. Se fino a qualche anno fa il fisioterapista iniziava a lavorare come dipendente per poi, nel corso degli anni, aprirsi la partita Iva e lavorare come libero professionista, oggi accade esattamente il contrario. Aprire la partita Iva è la prima cosa che fa la maggior parte dei neolaureati in fisioterapia. Ovviamente, questa decisione oggi assume un senso assai diverso da quello del passato: “Se vent’anni fa chi decideva di aprire una partita Iva lo faceva per investire su di sé, per migliorare la propria condizione economica - sottolinea Patuzzo -, ora è, troppo spesso, l’unico modo per lavorare. Un esempio su tutti può essere il contesto delle prestazioni sui pazienti domiciliari segnalati dalle cooperative, che si avvalgono molto spesso del supporto di professionisti dotati di partita Iva”.

Dagli anni ’90 ad oggi: com’è cambiata la professione

Alla fine degli anni ’90 un fisioterapista trovava lavoro al massimo entro un mese dal termine del percorso universitario. All’epoca le case di riposo erano sempre in cerca di personale. Poco più di un decennio dopo, intorno al 2015, il mercato del lavoro era già cambiato, “tanto che - racconta Patuzzo - le case di riposo avevano pacchi di curricula di fisioterapisti sul tavolo. Un fatto incredibile per me che non avevo mai dovuto faticare a trovare lavoro all’interno di tali strutture”. In quegli anni c’erano anche le cooperative che, come accade pure oggi, offrivano compensi orari attorno ai 18 euro a prestazione, molto più bassi del tariffario di minima stabilito dall’Associazione di categoria (all’epoca, circa 30 euro, ossia 25 euro + un 20% di supplemento in quanto prestazione domiciliare). “Verso gli anni Duemila, poi, con il successo del settore privato, i fisioterapisti hanno iniziato a trovare diverse occasioni di lavoro all’interno di poliambulatori di piccole e medie dimensioni, usando appunto la partita Iva”, aggiunge il professionista sanitario. 

Il lavoro nel SSN

Alla luce di ciò, lavorare all’interno del SSN potrebbe apparire come la massina aspirazione di un fisioterapista. Ma non è così: anche il lavoro dipendente hai suoi limiti e le sue criticità. Un fisioterapista assunto in un ospedale pubblico percepisce uno stipendio di circa 1.600 euro al mese. Cifra che non varia in base a competenze o specializzazioni acquisite. “Io, per esempio, ho conseguito un Master, ma non sono pagato di più per questo - racconta il fisioterapista -. Inoltre, come dipendente appartenente al comparto delle professioni sanitarie, ho un rapporto di esclusività con la mia azienda”. 

Dipendente pubblico e libera professione

Di recente, con l’articolo D.L. N. 34/2023 convertito con la L. 56/2023, ai professionisti sanitari dipendenti pubblici è stata concessa la possibilità di svolgere, per un determinato numero di ore, la libera professione fuori dall’orario di servizio. Tuttavia, la norma in questione non sembra stia avendo una larga applicazione, soprattutto a causa delle autorizzazioni limitate concesse dalle aziende sanitarie, a quanto si apprende da ANSPE, un’associazione di professionisti sanitari nata per favorire le professioni sanitarie e seguire l’applicazione di tale norma.

 
Solo un anno fa, poi, per i fisioterapisti è avvenuto un altro importante cambiamento: l’istituzione di un ordine professionale autonomo. “Una delle ‘battaglie’ fondamentali della professione è senza dubbio la lotta all’abusivismo professionale. Anche se tale fenomeno non può essere azzerato solo attraverso la possibilità di riscontrare se il fisioterapista è iscritto all’ordine- sottolinea Patuzzo - Servono infatti interventi culturali rivolti al cittadino, che gli forniscano gli strumenti necessari a comprendere l’importanza di scegliere un fisioterapista iscritto all’ordine”.

 

Di: Isabella Faggiano, giornalista professionista

Argomenti correlati

News e approfondimenti che potrebbero interessarti

Vedi i contenuti

La soluzione digitale per i Professionisti Sanitari

Consulcesi Club

Contatti

Via G.Motta 6, Balerna CH
PEC: consulcesisa@legalmail.it

Social media