Reiterazione abusiva dei contratti a termine, il risarcimento del danno è raddoppiato

Esplora il tema della reiterazione abusiva dei contratti a termine e le implicazioni per il risarcimento del danno della conversione in legge del D.L. n. 131/2024.

Sommario

  1. Normativa nazionale sui contratti a tempo determinato e indeterminato
  2. Normativa comunitaria sui contratti a tempo determinato
  3. Cosa dice la giurisprudenza UE sui contratti a termine?
  4. Come ha agito la giurisprudenza italiana?
  5. Risarcimento del danno “comunitario” per abuso di contratto a termine

La notizia della conversione il legge del D.l. 131/2024, che conferma il "raddoppio" del danno e quindi del risarcimento, ha riacceso i riflettori su una problematica che in Italia sembra inestirpabile: la reiterazione dei contratti a termine.

La questione riguarda più in generale il fenomeno del precariato nel pubblico impiego per incentrarsi, in modo specifico, sull’abusivo ricorso da parte della P.A. allo strumento della contrattazione a tempo determinato (cd. contratto di lavoro a termine) per ovviare alla cronica carenza di personale, eludendo in tal modo il principio, costituzionalmente previsto nell’art. 97, del concorso pubblico, con conseguenti vantaggi, soprattutto in termini di contenimento della spesa pubblica.

Il ricorso allo strumento del contratto di lavoro a tempo determinato è sorto, infatti, per sopperire ad esigenze produttive ed organizzative necessariamente temporanee, per cui rappresenta l’eccezione a quella che, invece, dovrebbe essere la regola del contratto a tempo indeterminato.

Normativa nazionale sui contratti a tempo determinato e indeterminato

La normativa cardine su cui si poggia questa problematica riguarda, da un canto, il già richiamato art. 97 Cost., per cui nel pubblico impiego i contratti a tempo indeterminato possono essere stipulati soltanto a seguito del superamento di prove concorsuali, e dall’altro il disposto di cui all’art. 36 della l. n. 165/2001, diretta promanazione del primo, che regolamenta la disciplina dei rapporti di lavoro a tempo determinato nella P.A.

In questo articolo vengono specificatamente descritte le ipotesi tassative in cui è possibile fare ricorso allo strumento del contratto di lavoro a termine, tutte sostanzialmente riferibili ad esigenze di tipo eccezionale e temporaneo, e si conferma il divieto di costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato in violazione dei criteri concorsuali.

Attualmente, al contratto di lavoro a termine nelle amministrazioni pubbliche si applica la disciplina privatistica, in quanto compatibile con le specificità dettate per il settore pubblico e previste dal succitato art. 36 del D. Lgs. 165/2001. 

Nello specifico, la facoltà per questi enti di ricorrere ai contratti di lavoro a tempo determinato è vincolata al rispetto di specifiche condizioni

  • i contratti a tempo determinato nel pubblico impiego devono essere sottoscritti con i vincitori o gli idonei delle graduatorie per concorsi pubblici a tempo determinato;
  • devono ricorrere le ragioni giustificative previste al co. 2 dell’art. 36 del D. Lgs. 165/2001, ovvero di esigenze di carattere esclusivamente temporaneo o eccezionale;
  • è fatto esplicito divieto di trasformazione del contratto di lavoro a tempo determinato in contratto a tempo indeterminato.

Il contratto a tempo determinato non potrà superare, quale limite di durata complessivo, il termine dei 36 mesi, tuttora applicabile ai rapporti negoziali con la Pubblica Amministrazione, espressamente esclusi dalle modifiche normative successivamente intervenute per il settore privato.

L’art. 36, comma 5, del D. Lgs. n. 165/2001 stabilisce altresì che “la violazione di disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori da parte delle pubbliche amministrazioni non può comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le medesime pubbliche amministrazioni, ferma restando ogni responsabilità e sanzione. Il lavoratore interessato ha diritto al risarcimento del danno derivante dalla prestazione di lavoro in violazione di disposizioni imperative”.

Normativa comunitaria sui contratti a tempo determinato

Per quanto concerne la disciplina comunitaria, occorre far riferimento all’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato (contenuto nella direttiva 1999/70/CE) che, concluso con UNICE, CEEP e CES, ha introdotto alcune regole generali volte a prevenire gli abusi derivanti dall’illegittima successione di contratto a tempo determinato, da cui la clausola n. 5 che detta le misure che gli Stati membri debbono accogliere per garantire la finalità che precede.

Cosa dice la giurisprudenza UE sui contratti a termine?

La Corte di Giustizia Europea si è più volte interessata dell’applicazione del principio che precede affermando, tra l’altro, che in caso di reiterazione di contratti a termine:

- è compito del giudice nazionale individuare una sanzione adeguata verificando, attraverso un parametro risarcitorio, l’effettiva valenza dissuasiva della stessa (Corte Giustizia 1/10/2010, C-3/10);

- ostano alla normativa comunitaria quei provvedimenti nazionali che, in caso di abuso, prevedono soltanto il diritto per il lavoratore di ottenere il risarcimento del danno, onerandolo però di fornire una prova che renda eccessivamente difficile l’esercizio del diritto (Corte Giust. 12/12/2013, C-50/13).

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Come ha agito la giurisprudenza italiana?

Le SS.UU., con la sentenza 5072/16, si sono espresse sul punto ribadendo, da un canto, il divieto di conversione del rapporto di lavoro illegittimo in un contratto a tempo indeterminato e, dall’altro, che nel caso in cui questi rapporti si siano protratti oltre i 36 mesi (anche in modo non continuativo) si è in presenza certamente di un danno risarcibile che, definito “comunitario”, viene generalmente calcolato ex art. 36, comma 5, della l. n. 183/2010 in misura forfettaria (da 2,5 a 12 mensilità rispetto all’ultima retribuzione globale di fatto ex art. 8 l. 604/1996, ora modificata dai recenti correttivi di cui al D.L. 131/2014), con conseguente esonero dal relativo onere probatorio, eventualmente aumentabile qualora venga dimostrata l’effettiva sussistenza della perdita di chance.

A questa pronuncia ne sono poi seguite molte altre, da ultimo la sentenza n. 6089/2024 con cui la Corte di Cassazione ha dichiarato applicabile ai contratti a termine stipulati dalla pubblica amministrazione il limite di 36 mesi di durata del rapporto a tempo determinato, previsto per il lavoro privato, sottolineando come tale limite non possa essere superato facendo improprio ricorso a plurime procedure concorsuali.

Si è quindi specificato che, proprio per non svuotare di significato la portata del limite previsto dalla normativa, l’espletamento di distinte procedure concorsuali che portino poi all’assunzione a termine dello stesso lavoratore per lo svolgimento di mansioni equivalenti non può comportare l’interruzione del calcolo del termine, che invece rimane unico, con conseguente computo complessivo dei vari rapporti sul limite dei 36 mesi.

Risarcimento del danno “comunitario” per abuso di contratto a termine

Risultando preclusa, in caso di abusiva reiterazione di contratti a termine, la costituzione forzosa di rapporti di pubblico impiego a tempo indeterminato, residua per il lavoratore la possibilità di invocare il risarcimento del danno per aver prestato la propria opera in violazione di norme imperative.

Proprio in questi giorni, è stato convertito in legge il D.L. n. 131/2024, emanato per ovviare ad una serie di procedure di infrazioni a direttive comunitarie, è intervenuto anche sulla n. 2014/24231, riguardante proprio l’abuso di contratti a tempo indeterminato stipulati da dirigenti della P.A. italiana.

Con questa disposizione normativa, che è andata a sostituire il terzo, quarto e quinto periodo del comma 5 dell’art. 36 del D. Lgs. n. 165/2001, si è quindi stabilito che, fatta salva la facoltà per il lavoratore di provare il maggior danno, il giudice riconosce una indennità compresa tra un minimo di 4 e un massimo di 24 mensilità dell’ultima retribuzione utile ai fini del calcolo del TFR, avuto riguardo alla gravità della violazione anche in rapporto al numero dei contratti avvenuti in successione tra le parti e alla durata complessiva del rapporto.

La retribuzione globale di fatto, da considerare quale parametro liquidatorio del danno da c.d. illecito eurounitario per reiterazione abusiva di contratti a termine, è quella del livello formale di inquadramento cui il lavoratore aveva diritto al momento della maturazione dell’illecito.

Oltre al ristoro di questa tipologia di danno cd. “comunitario”, rimane pure sempre la possibilità per il lavoratore di reclamare ulteriori pregiudizi, quali la perduta chance di trovare un’altra occupazione, che in ogni caso dovranno essere compiutamente allegati e provati. 

Da ricordare, inoltre, che qualora a seguito di una serie di contratti di lavoro a termine, si sia poi ottenuta la trasformazione del contratto a tempo indeterminato, vi è la possibilità di richiedere oltre al risarcimento del danno cd. comunitario, per l’eventuale abusiva reiterazione dei rapporti a termine oltre il limite legalmente previsto, anche la ricostruzione dell’anzianità di servizio con relativo riconoscimento delle differenze retributive dovute agli scatti non riconosciuti.

Di: Francesco Del Rio, avvocato

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