Risarcimento danni da mancato avanzamento di carriera per sanitari: le novità

La Corte di Cassazione si è espressa sull’obbligo per le Aziende sanitarie di permettere i dovuti avanzamenti di carriera ai sanitari aventi diritto, con variazione anche della retribuzione. Vediamo le novità.

Sommario

  1. L’orientamento della Corte di Cassazione
  2. Le conseguenze dell’inadempimento dell’azienda sanitaria

Sempre più spesso pervengono a Consulcesi segnalazioni e richieste da parte di medici che, di fatto, non hanno ricevuto nel corso degli anni di lavoro presso l’azienda sanitaria di appartenenza alcun incarico di natura professionale, con relativa perdita economica di indubbia rilevanza.

Il complesso sistema degli incarichi riveste grande importanza per il mondo della dirigenza sanitaria medica, tanto da vedersi dedicate diverse disposizioni che disciplinano tutto l’iter procedurale, con le specifiche attribuzioni di funzioni ai diversi soggetti deputati a partecipare.

Il più delle volte il dirigente medico, stanco di attendere, prova a formalizzare le proprie rivendicazioni professionali e, conseguentemente, salariali ricevendo, di contro, l’obiezione che le procedure di graduazione e di pesatura delle funzioni non si sono ancora perfezionate, con conseguente rigetto di ogni pretesa fino al termine dell’attività amministrativa.

L’orientamento della Corte di Cassazione

Di recente, su questo tema è nuovamente intervenuta la Corte di Cassazione che, con ordinanza n. 29780/23 del 26 ottobre scorso, è tornata a confermare i principi già acquisiti in precedenti pronunciamenti.

In primis, si è voluto ripetere che, nell’ambito della dirigenza medica del settore sanitario pubblico, la procedura che porta all’adozione del provvedimento di graduazione delle funzioni dirigenziali e di pesatura degli incarichi non rappresenta un’attività liberamente eseguibile dalla PA in qualsiasi momento, essendo invece tenuta a darle regolare inizio e conseguente termine nel rispetto dei principi di correttezza e buona fede.

Proprio il fatto di aver dettagliatamente descritto le varie fasi endo-procedimentali, delineando tempi e responsabilità a carico dei singoli protagonisti tenuti al rispettivo adempimento, stanno a significare, come afferma la Corte, che: “Il mancato rispetto dei termini interni che ne scandiscono lo svolgimento, l’omessa conclusione delle trattative entro la data fissata dal contratto collettivo e le eventuali problematiche concernenti il fondo espressamente dedicato, ai sensi del medesimo contratto collettivo, alla quantificazione della menzionata quota variabile non fanno venir meno di per sé l’obbligo gravante sulla P.A. di attivare e concludere la procedura diretta all’adozione di tale provvedimento”.

Si deve rammentare che l’intero iter prevede, fra le sue fasi interne, anche un passaggio consultivo di carattere sindacale, deputato all’individuazione delle risorse economiche che possono essere destinate al pagamento al dipendente della quota variabile della retribuzione di posizione, che di fatto è a sua volta rigidamente regolamentato secondo precisi termini entro i quali arrivare alla conclusione.

Le conseguenze dell’inadempimento dell’azienda sanitaria

Tutte le volte in cui l’azienda sanitaria non dia inizio a questa attività, ovvero non la porti al suo naturale completamento, si viene per l’appunto a determinare uno stato di inadempimento a carico della stessa riconducibile al disposto di cui all’art. 1218 del codice civile.

Questa situazione non può essere, però, invocata dal dirigente medico richiedendo il regolare completamento della procedura, bensì apre unicamente alla possibilità, per lo stesso sanitario, di reclamare il risarcimento del danno, avendo perduto la chance di acquisire al proprio patrimonio quella parte variabile della retribuzione di posizione, a cui avrebbe invece avuto diritto qualora la procedura si fosse regolarmente conclusa.

In tal caso, l’interessato sarà tenuto ad allegare unicamente la fonte legale o convenzionale del proprio diritto e, quindi, la situazione di inadempimento a carico dell’azienda sanitaria che, per liberarsi dal rischio di dover corrispondere un eventuale risarcimento, sarà tenuta a dimostrare la ricorrenza di fatti estintivi o impeditivi della pretesa del medico, ovvero che l’inadempimento è avvenuto per causa a sé non imputabile.

Il danno risarcibile

Nell’ambito della stessa pronuncia commentata, la Corte di Cassazione ha poi voluto soffermarsi sui criteri di quantificazione del danno reclamabile dal dirigente medico, rimasto privo di incarico a causa dell’inadempimento amministrativo, osservando che questo pregiudizio, per trovare accoglimento giudiziale, è sottoposto ad un rigoroso onere di allegazione, che implica l’indicazione dell’esistenza dei presupposti costitutivi della chance invocata, ossia di quale sia l’occasione perduta, il vantaggio economico correlato ed, infine, il necessario collegamento causale fra questi due elementi.

Sarà poi il magistrato che, per valorizzare adeguatamente la perduta chance, potrà fare ricorsi ai criteri equitativi, riconoscendo quel compendio economico che possa costituire un adeguato ristoro del pregiudizio provocato dall’azienda per non adempiuto all’obbligo, posto a suo esclusivo carico, di procedere alla graduazione delle funzioni dirigenziali ed alla pesatura dei relativi incarichi.

Da ricordare che, trattandosi di azione risarcitoria ancorché conseguente ad inadempimento ex art. 1218 c.c., il termine di prescrizione è comunque decennale.

Di: Francesco Del Rio, avvocato

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