La questione dell’attribuzione degli incarichi è da sempre oggetto di accesi contrasti nei corridoi delle nostre strutture sanitarie, dove per l’appunto viene denunciata dal personale medico la mancata attivazione delle procedure di graduazione delle funzioni dirigenziali e di pesatura degli incarichi per la fissazione dell’indennità di posizione variabile del dirigente medico, che trovano apposita disciplina nell’ambito degli artt. 17-23 del CCNL del 19.12.2019, a cui l’amministrazione risponde schermandosi dietro lo scudo della discrezionalità.
A detta dei medici che si rivolgono a Consulcesi per una consulenza sul tema, sono ancora molte le Aziende sanitarie che non hanno ancora attivato o concluso la procedura necessaria alla graduazione delle funzioni e al riconoscimento della relativa retribuzione di posizione variabile, provocando danni concreti nel personale sanitario sia sotto un profilo economico che professionale.
Le previsioni del CCNL Dirigenza medica
Proprio l’art. 18, comma 2, del CCNL Dirigenza medico veterinaria del 2019 stabilisce espressamente che: “a tutti i dirigenti, anche neo-assunti, dopo il periodo di prova, è conferito un incarico dirigenziale. Ai dirigenti con meno di cinque anni di effettiva anzianità sono conferiti solo incarichi professionali di base. Ai dirigenti con almeno cinque anni di anzianità è invece conferito un incarico, diverso dall’incarico professionale di base, tra quelli di cui al comma 1, paragrafo I, lett. b) e c) e paragrafo II, lett. a) b), c) in relazione alla natura e alle caratteristiche dei programmi da realizzare nonché alle attitudini e capacità professionali del singolo dirigente, a seguito di verifica e valutazione positiva da parte del collegio tecnico”.
Questa disposizione farebbe propendere, secondo una certa dottrina, per l’obbligatorietà dell’attribuzione dell’incarico professionale al medico dirigente, che pertanto vanterebbe il diritto a veder attivate e conseguentemente completate le procedure amministrative previste dalla contrattazione collettiva per la graduazione delle funzioni e pesatura degli incarichi.
Le recenti pronunce della Corte di Cassazione
Già con sentenza n. 7110 dello scorso 9/03/2023, la Corte di Cassazione aveva avuto modo di affermare che, nell’ambito della dirigenza medica del settore sanitario pubblico, la P.A. è sempre tenuta ad intraprendere, e per l’effetto esaurire, nel rispetto dei principi di correttezza e buona fede, le procedure per l’adozione del provvedimento di graduazione delle funzioni dirigenziali e di pesatura degli incarichi.
Nel caso in cui tale evenienza non fosse espletata, per cui l’ente non riuscisse a fornire prova adeguata e rigorosa di aver attivato le procedure previste, il medico potrà vedersi riconosciuto il risarcimento del danno per la perdita della chance di percepire la parte variabile della retribuzione di posizione, trattandosi in questo caso di una condotta inadempiente, ex art. 1218 c.c. della stessa PA agli obblighi negoziali posti a suo carico.
Inoltre, la Corte di Cassazione ha osservato che l’eventuale mancato rispetto dei termini previsti per lo svolgimento della procedura, l’omessa conclusione delle trattative nel termine fissato dalla contrattazione collettiva e le possibili criticità riguardanti il fondo su cui grava il pagamento delle indennità non giustificano l’inadempimento della P.A. per cui, qualora la condotta inerte risulti conclamata, il dirigente sanitario deve considerarsi legittimato “a chiedere non l'adempimento di tale obbligazione, ma solo il risarcimento del danno per perdita della chance di percepire la parte variabile della retribuzione di posizione”.
Ancor più di recente la stessa Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 28808/2023, ha confermato i principi richiamati, aggiungendo due ulteriori importanti considerazioni, utili per una corretta gestione processuale di queste vicende.
La prima, concernente il riparto dell’onere probatorio fra le parti, ricorda che il dirigente medico, che intenda procedere con l’azione nei confronti dell’Azienda, deve limitarsi ad allegare la fonte legale o convenzionale del proprio diritto e l’inadempimento della P.A. che, viceversa sarà tenuta, per andare esente da un giudizio di responsabilità contrattuale, a fornire la prova dei fatti estintivi o impeditivi dell’altrui pretesa, ovvero dimostrare che la propria condotta omissiva si è realizzata per causa a sé non imputabile.
Inoltre, sotto il profilo risarcitorio del danno patito dal sanitario, la Corte ha ribadito che questo è suscettibile di liquidazione equitativa quando il dipendente alleghi l’esistenza del pregiudizio e fornisca, anche mediante presunzioni o secondo parametri di probabilità, la prova dei suoi elementi costitutivi e, cioè, di una plausibile occasione perduta, del possibile vantaggio perso e del correlato nesso causale.
Nel caso specifico affrontato, la Corte ha quindi considerata congrua la valorizzazione del pregiudizio occorsaal sanitario in misura corrispondente all’importo individuato dalla stessa azienda e racchiuso nell’ipotesi transattiva deliberata per cercare una soluzione bonaria dell’insorgenza controversia.
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Prescrizione e tassazione
Da ricordare che, con riferimento al regime prescrizionale, il termine deve considerarsi decennale dal momento in cui la condotta inadempiente si è concretizzata, mentre le somme eventualmente riconosciute a favore del dirigente medico hanno natura risarcitoria per cui, come affermato anche recentemente dalla Corte di Cassazione (n. 14344/22), tali somme sono esenti da tassazione.
C’è infine da rimarcare che il danno da perdita di chance potrebbe coincidere, non soltanto con il mancato guadagno a cui il medico avrebbe potuto aspirare qualora la procedura fosse stata effettivamente attivata e completata, ma anche all’aspetto più squisitamente professionale per il sanitario che si vedrebbe preclusa la possibilità di partecipare alle selezioni per l’attribuzione degli incarichi di carattere organizzativo, che implicano la dimostrazione di aver ricoperto, con profitto, gli incarichi invero negati dall’inerzia amministrativa.