Estate a lavoro, i sanitari hanno un problema con le ferie non godute

Anche quest'anno è stato impossibile andare in ferie? Il personale sanitario ha un problema con le ferie non godute, proprio mentre l'Europa dà una stretta legislativa.

Sommario

  1. Cosa sappiamo sul diritto alle ferie?
  2. Ferie non godute, quali sono le novità a riguardo?
  3. Cosa ha stabilito esattamente l’Europa sulle “ferie non godute”?

Anche nell'estate 2024 migliaia di medici e professionisti sanitari sono stati costretti a rinunciare alle proprie meritate ferie per contrastare la carenza di personale, favorire lo scorrimento delle liste d'attesa e compensare, in generale, ad un'organizzazione inadeguata del datore di lavoro. 

Il “sacro” diritto al riposo è ancora terreno di scontri, dubbi e perplessità. Tuttavia, le ultime novità sembrano chiarire ancora meglio l’andamento giurisprudenziale che sin dal 2022 ha cristallizzato il principio per cui le ferie non godute devono comunque tradursi in riposo o indennità sostitutiva. 

Le ferie rappresentano un diritto inalienabile per i lavoratori, sancito dalla Costituzione e dalla legge. La normativa prevede che ogni lavoratore abbia diritto a un minimo di 4 settimane di ferie, in base al contratto individuale e al Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL) di riferimento.

Cosa sappiamo sul diritto alle ferie?

Generalmente, un dipendente deve usufruire di almeno 2 settimane di ferie durante l'anno in cui le matura, mentre i giorni restanti, indicati in busta paga, possono essere utilizzati entro i 18 mesi successivi. In alcune circostanze, le ferie non godute possono essere monetizzate o trasformate in un'indennità sostitutiva, soprattutto in caso di licenziamento. L’articolo 2109 del Codice Civile, insieme ai decreti legislativi n. 66/2003 e n. 213/2004, regolano questo diritto, stabilendo che ogni anno il lavoratore ha diritto ad almeno 4 settimane di riposo. Sebbene il numero di giorni possa variare a seconda del CCNL, non può essere inferiore al minimo stabilito dalla legge.

Dopo i 18 mesi, le ferie residue non vengono perse e rimangono disponibili per il dipendente. Tuttavia, per l'INPS, è come se fossero state già utilizzate, perciò il datore di lavoro è obbligato a versare i contributi previsti. Se il rapporto di lavoro cessa, il lavoratore ha diritto a un’indennità per le ferie non godute. Per legge, le ferie non possono essere pagate finché il lavoratore è impiegato presso la stessa azienda o datore di lavoro, al fine di tutelare la salute del lavoratore, garantendo il recupero delle energie psicofisiche. Tuttavia, nel caso di contratti a tempo determinato di breve durata, come per esempio per i docenti con contratto fino al 30 giugno, è possibile optare per il pagamento delle ferie non godute al termine del rapporto. Inoltre, i lavoratori che godono di più di 4 settimane di ferie annuali possono farsi pagare quelle eccedenti, se non utilizzate.

Per i contratti a tempo indeterminato, la regola generale è che il lavoratore non può rinunciare a priori alle ferie per ricevere il corrispettivo economico. Tuttavia, se al momento della cessazione del rapporto di lavoro restano ferie non godute, queste devono essere pagate.

Le ferie possono essere perse solo se il datore di lavoro dimostra che il dipendente ha rifiutato volontariamente e consapevolmente di usufruirne, nonostante fosse nelle condizioni di farlo. Anche in caso di dimissioni, l’indennità per le ferie non godute spetta sempre al lavoratore.

Con l'ordinanza n. 14602/22, la Corte di Cassazione ha chiarito due aspetti fondamentali anche per i dirigenti di strutture complesse, affermando che questi rimangono comunque subordinati alla direzione sanitaria per quanto riguarda la programmazione e l’utilizzo delle ferie. Inoltre, il lavoratore che richiede l'indennità per le ferie non godute deve solo dimostrare di aver lavorato nei giorni destinati a esse, superando la normale durata del lavoro annuale. 

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Ferie non godute, quali sono le novità a riguardo?

Le sentenze recenti continuano a confermare il diritto dei dipendenti pubblici, inclusi i medici, a ricevere un'indennità per le ferie maturate ma non godute al momento delle dimissioni. Questo diritto non viene automaticamente perso con la cessazione del rapporto di lavoro. 

Un caso significativo si è verificato a Cosenza, dove una cardiologa ospedaliera, dopo aver maturato 128 giorni di ferie non godute, ha ottenuto dal Tribunale un risarcimento di 25.000 euro, con un valore di oltre 195 euro per ogni giorno di ferie non utilizzato. La sentenza ha ribadito che il diritto alle ferie retribuite per i dirigenti pubblici è irrinunciabile e che, in assenza di prove da parte del datore di lavoro di aver offerto la possibilità di usufruire delle ferie, il lavoratore ha diritto a un'indennità sostitutiva.

In passato, la normativa italiana era piuttosto rigida nei confronti dei dipendenti pubblici che si dimettevano senza aver goduto delle ferie. Il decreto-legge sulla spending review del 2012 stabiliva che ferie e permessi dovevano essere fruiti come previsto dai rispettivi ordinamenti, portando spesso i tribunali a interpretazioni restrittive. Tuttavia, tra novembre 2023 e gennaio 2024, questo approccio è cambiato radicalmente. 

La Corte di Cassazione e la Corte di Giustizia Europea hanno emesso sentenze che legittimano il risarcimento per le ferie non godute, chiarendo che il datore di lavoro deve dimostrare di aver offerto la possibilità di usufruirne prima della cessazione del rapporto.

Di conseguenza, i tribunali italiani stanno rapidamente adottando questo nuovo orientamento, con processi che durano meno e indennità giornaliere in aumento. In un caso recente, ad esempio, un medico in pensione ha ottenuto, grazie ai legali Consulcesi, 15.000 euro per 157 giorni di ferie non godute, con una media di circa 100 euro al giorno. Si stima che le giornate di ferie arretrate dei medici e dirigenti sanitari potrebbero costare al Servizio Sanitario Nazionale fino a 600 milioni di euro se tutti i lavoratori facessero causa. 

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Cosa ha stabilito esattamente l’Europa sulle “ferie non godute”?

Con la sentenza del 18 gennaio 2024, la Corte di Giustizia Europea ha confermato il diritto dei lavoratori del settore pubblico, inclusi i medici e i dirigenti sanitari, a ricevere un’indennità monetaria per le ferie annuali retribuitenon godute al termine del rapporto di lavoro, anche in caso di dimissioni. 

Molti medici e dirigenti hanno accumulato in media 40 giorni di ferie non utilizzate, a causa della carenza cronica di personale, che li ha costretti a coprire le esigenze del servizio senza poter usufruire dei loro giorni di riposo. Questo accumulo di ferie non godute si aggiunge a oltre 10 milioni di ore di lavoro straordinario svolte. L’ indagine condotta da alcuni sindacati di categoria ha rivelato che la gestione delle ferie è particolarmente problematica nelle discipline chirurgiche e nei servizi ospedalieri, dove una parte significativa dei medici non riesce a godere di 15 giorni consecutivi di ferie. La situazione è ulteriormente complicata dalle carenze di organico e dalle esigenze economiche, che rendono difficile per le Aziende Sanitarie garantire il rispetto dei diritti dei lavoratori.

La sentenza della Corte Europea non solo conferma il diritto a godere di ferie retribuite, ma stabilisce anche che i lavoratori hanno diritto a un’indennità sostitutiva per le ferie non godute, e che questa non può essere negata per motivi economici legati al contenimento della spesa pubblica o alle esigenze organizzative del datore di lavoro pubblico.

Tutto questo, però, va detto non è sufficiente per affrontare tutte le sfide che la professione medica deve affrontare. Tra le richieste fondamentali per il miglioramento delle condizioni lavorative e professionali dei medici anche: l'introduzione di uno scudo penale in attesa di una riforma urgente della legge Gelli-Bianco; l'aumento delle risorse extracontrattuali per adeguare gli stipendi all'inflazione; la contrattualizzazione dei medici in formazione e il miglioramento delle loro condizioni economiche per garantire una formazione di qualità e condizioni lavorative dignitose; l'introduzione della retribuzione per le scuole di specializzazione dell'area sanitaria, per correggere un'ingiustizia professionale; la riforma del D. Lgs. 502/92 per rendere la professione più attraente; la revisione della legge sulle aggressioni contro i medici e il personale sanitario.

Queste misure sono considerate essenziali per garantire la sostenibilità della professione medica e la qualità del servizio sanitario pubblico.

Di: Cristina Saja, giornalista e avvocato

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