Lo scorso 3 novembre, la sezione IV del Tar Lazio è intervenuta, in modo perentorio, risolvendo una disputa che, da qualche anno, faceva sentire il suo gravoso peso sulle spalle del pubblico impiego: una disparità di trattamento riguardo al privato che, finalmente, è stata composta ricorrendo al principio costituzionale che garantisce l’uguaglianza.
Orari di uscita in malattia per privati e dipendenti pubblici
In Italia, la regolamentazione delle visite fiscali e degli orari di malattia è differente tra settore pubblico e privato. I dipendenti pubblici sono soggetti a fasce di reperibilità più ampie, che vanno dalle 9:00 alle 13:00 e dalle 15:00 alle 18:00, incluso il fine settimana. Al contrario, i lavoratori privati hanno fasce di reperibilità più ridotte, comprese tra le 10:00 e le 12:00 e tra le 17:00 e le 19:00. Questa disparità genera una chiara violazione del principio di uguaglianza, in quanto la malattia è un evento comune per entrambe le categorie. L’armonizzazione degli orari malattia è fondamentale per garantire un trattamento equo e una corretta gestione dei controlli malattia, affinché i diritti di tutti i lavoratori siano rispettati.
Sulla base di queste premesse, vediamo dunque come si sono svolti i fatti processuali relativi all’intervento del TAR Lazio nella questione orari visite fiscali per privati e pubblico impiego.
L’oggetto del contendere riguardava l’applicazione del Decreto Ministeriale n. 206 del 17 ottobre 2017, pubblicato il successivo 29 dicembre 2017. Nello specifico, i motivi di ricorso si concentravano sul contenuto dell’art. 3 che, disciplinando le modalità di espletamento della visita fiscale in caso di malattia, individuava per il pubblico impiego fasce di reperibilità tra le 9 e le 13 e tra le 15 e le 18 di ciascun giorno, nulla disponendo riguardo al lavoro privato, dove vigono invece fasce orarie più ridotte, tra le ore 10 e le 12 e tra le ore 17 e le 19, così contravvenendo all’obbiettivo di armonizzazione fra pubblico e privato invocato dall’art. 55 septies, comma 5 bis, del d. lgs. n. 165/2001.
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Il ricorso per la disparità di trattamento tra dipendenti pubblici e privati
I motivi di ricorso presentati al Giudice amministrativo si concentravano sul contenuto dell’art. 3 del decreto, che stabiliva fasce di reperibilità per i dipendenti pubblici senza prendere in considerazione le disposizioni per i lavoratori privati, creando così un’ingiustificata disparità di trattamento.
Tre i motivi di doglianza presentati al Giudice amministrativo.
Con il primo, veniva dedotto il contrasto della richiamata disciplina con gli artt. 3 e 97 della Costituzione, per l’evidente disparità di trattamento generatasi fra pubblico impiego e privato, nonché per aver contravvenuto alla delega prevista dall’art. 55 septies, comma 5 bis, d.lgs. 165/2001, che invero richiedeva un’opera di armonizzazione dal momento che, venendo in rilievo i medesimi presupposti di subordinazione, la malattia non poteva incidere diversamente, anche con riferimento alle modalità di verifica e controllo del lavoratore.
Con il secondo veniva individuata la violazione della medesima disposizione ministeriale riguardo alla Direttiva n. 2000/78/CE che, di fatto, non consente agli stati membri dell’Unione l’adozione di norme, regolamenti o contratti collettivi, che provochino disparità di trattamento tra lavoratori, senza che vi siano motivate ragioni oggettive.
Con l’ultimo motivo, veniva rimarcato come la censurata disposizione, creando una disparità di trattamento fra lavoratori pubblici e privati, avrebbe travisato lo scopo della delega, che invece prevedeva l’armonizzazione, manifestando altresì un’intenzione del legislatore diretta più che altro a dissuadere, con uno specifico apparato sanzionatorio, il dipendente pubblico dal ricorrere all’assenza per malattia, anziché accertarne lo stato fisico patito.
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Il Tar Lazio sulle visite fiscali, i controlli e gli orari di uscita
Il Tar Lazio ha sottolineato come la disposizione ministeriale impugnata fosse in contrasto con gli articoli 3 e 97 della Costituzione, a causa della disparità di trattamento generata tra pubblico e privato. Nello specifico, la sentenza ha evidenziato che l'art. 3 prevedeva fasce orarie di reperibilità per il pubblico impiego (9-13 e 15-18), mentre per il settore privato erano stabilite fasce orarie più brevi (10-12 e 17-19). Tale differenziazione contravviene all'obiettivo di armonizzazione richiesto dalla legge delega e genera un'ingiustificata disparità di trattamento, in violazione del principio di uguaglianza.
Il Consiglio di Stato aveva già evidenziato questa incongruenza, affermando che la normativa non rispettava le indicazioni legislative per l’armonizzazione dei controlli malattia. L’amministrazione pubblica, mantenendo una differenza così marcata negli orari malattia, si era discostata dall’intento della legge, creando un apparato normativo finalizzato a dissuadere i dipendenti pubblici dall’utilizzare il congedo per malattia piuttosto che garantire una corretta uniformità delle procedure.
Alla luce di quanto esposto, il Tar ha accolto il ricorso, annullando in parte il provvedimento ministeriale e ripristinando così una maggiore equità tra i settori pubblico e privato in merito agli orari di uscita in malattia e alle visite fiscali.
Questo disallineamento fra pubblico e privato ha quindi provocato – a detta del giudice amministrativo – un’ingiustificata disparità di trattamento rispetto ad un evento, come la malattia, identico per entrambe le categorie, con conseguente violazione del principio di uguaglianza previsto dall’art. 3 della carta costituzionale.
L’aver voluto mantenere, peraltro a dispetto del puntuale parere espresso dal Consiglio di Stato, questa differenza di fasce orarie (pari addirittura al doppio per il dipendente pubblico rispetto al privato), conferma altresì lo sviamento di potere da parte dell’amministrazione pubblica che, di fatto, ha rivelato un’intenzione diretta più a dissuadere il dipendente pubblico dal ricorso al congedo per malattia, che allo scopo, proprio della legge delega, di uniformare le procedure con le relative tempistiche di controlli.
Tutte queste considerazioni hanno quindi portato all’accoglimento del ricorso, con conseguente annullamento in parte qua del provvedimento ministeriale.