Acque reflue: la giurisprudenza sul risarcimento danni
Acque reflue: la giurisprudenza. La violazione del Decreto Legislativo n.152/2006 conferisce il diritto ai singoli ad agire in giudizio per far valere la responsabilità dello Stato e delle Regioni
29 Maggio 2024, 09:10
Sommario
L’ultimo pacchetto di infrazioni ha posto l’accento sulle acque reflue non trattate. Motivo per cui l’Italia è stata deferita dall’UE.
L’inosservanza della direttiva dedicata alle acque reflue e il mancato adeguamento al Green Deal Europeo hanno peggiorato la situazione già difficile del nostro Paese con riguardo alle acque reflue.
Sono, infatti, ben 4 le procedure di infrazione che riguardano le acque reflue: a quest’ultima procedura d’infrazione si aggiungono le procedure INFR2004 (2034), INFR2009 (2034) e INFR2014 (2059), che riguardano complessivamente più di 900 agglomerati italiani.
Il diritto al risarcimento
Questo, in Italia, si traduce nella violazione del Decreto Legislativo n. 152/2006, noto anche come “Testo Unico Ambientale”, in materia di gestione delle acque reflue. La cattiva gestione, cioè, configura un illecito civile e legittima i cittadini ad adire le vie legali per tutelare i propri diritti.
Tra i diritti dei cittadini, infatti, vanno annoverati quello di agire in giudizio per richiedere e ottenere un risarcimento danni, al fine di tutelare il diritto alla salute. Questo significa che i cittadini possono intraprendere azioni legali contro lo Stato e le Regioni per far valere la responsabilità delle autorità competenti nella gestione delle acque reflue. Possono richiedere un risarcimento per i danni subiti a causa della violazione del diritto a vivere in un ambiente salubre, includendo il risarcimento per danni alla salute dovuti all’esposizione a acque reflue non trattate o mal trattate.
La legge tutela il diritto dei cittadini a non essere esposti al rischio di contrarre malattie a causa della contaminazione ambientale, garantendo la possibilità di chiedere compensazioni per i rischi futuri legati a tali esposizioni. Diversi casi giudiziari hanno confermato il diritto dei cittadini a ottenere risarcimenti in situazioni di inquinamento delle acque reflue.
I tribunali hanno riconosciuto la responsabilità delle autorità pubbliche per non aver adottato misure adeguate a prevenire l’inquinamento e proteggere la salute pubblica.
Quali sono le implicazioni per le istituzioni pubbliche?
Lo Stato e le Regioni hanno l’obbligo di assicurare il rispetto delle normative, investendo in infrastrutture adeguate al trattamento delle acque reflue e monitorando costantemente la qualità delle acque per prevenire violazioni future. La mancata conformità può comportare sanzioni pecuniarie, oltre a danni di reputazione e finanziari derivanti dai risarcimenti richiesti dai cittadini.
Il Decreto Legislativo n. 152/2006 offre ai cittadini un importante strumento legale per difendere il loro diritto a vivere in un ambiente sano e per ottenere giustizia in caso di violazioni delle normative sulle acque reflue.
È fondamentale che le autorità competenti rispettino queste normative per prevenire danni ambientali e tutelare la salute pubblica.
Su quali principi si basa il diritto al risarcimento danni per violazione di norme sulle acque reflue?
Il diritto al risarcimento dei danni per la violazione delle normative sulle acque reflue si basa su vari principi giuridici fondamentali. In primis, sul principio di Tutela della Salute e dell’Ambiente e quindi sull’ art. 32 della Costituzione Italiana che stabilisce che “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività“; e sull’art. 9 della Costituzione Italiana che prevede che “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione“.
In secondo luogo, il nostro ordinamento si basa sul principio di Responsabilità Civile ai sensi dell’articolo 2043 c.c., il quale stabilisce che “Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”. Questo articolo è alla base della responsabilità civile e permette ai cittadini di chiedere il risarcimento per i danni subiti a causa della violazione delle normative sulle acque reflue.
Inoltre, sia il decreto legislativo 152/2006 che le direttive europee in materia di acque reflue, stabiliscono il principio di Prevenzione e Precauzione Ambientale, ovvero misure atte a prevedere misure per prevenire e ridurre l’inquinamento e sottolineano l’importanza della prevenzione dell’inquinamento e della tutela delle risorse idriche.
Il risarcimento danni, tra l’altro, prende in considerazione il Principio del Danno Ingiusto e l’articolo 2059 c.c. del Codice Civile riconosce il diritto al risarcimento anche per danni non patrimoniali, come i danni morali, derivanti da un illecito. Questo principio consente di chiedere il risarcimento per danni alla salute e al benessere psicologico dovuti all’inquinamento delle acque.
Infine, ma certamente non per importanza, va annoverato anche il principio di Responsabilità degli Enti Pubblici: lo Stato e le Regioni sono responsabili della protezione ambientale e della salute pubblica per cui la loro negligenza nella gestione delle acque reflue può configurare un’omissione colpevole, legittimando i cittadini a chiedere un risarcimento.
È ovvio, poi, che in tutti i casi deve essere rispettato il principio dell’onere della prova per cui il cittadino che richiede il risarcimento deve dimostrare in nesso causale tra la violazione della normativa e il danno subito. È, cioè, necessario fornire prove che documentino il danno subito, come certificati medici per danni fisici o perizie per danni patrimoniali.
Questi principi giuridici forniscono una base solida per i cittadini che desiderano chiedere un risarcimento per i danni subiti a causa della violazione delle normative sulle acque reflue. La combinazione di diritti costituzionali, norme del codice civile e specifiche disposizioni legislative ambientali rende possibile la tutela legale e il risarcimento dei danni derivanti da tali violazioni.
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La giurisprudenza sul risarcimento danni
Una delle prime pronunce che ha riconosciuto l’inquinamento da acque reflue come principale nesso causale per il risarcimento danni è stata la sentenza della Corte di Cassazione con una pronuncia del 26 settembre 2011, n. 34789 che verteva sul punire lo scarico non autorizzato di acque reflue, in violazione degli articoli 124 e 137 del Testo Unico Ambientale. La Corte di Cassazione, nella sentenza 34789/2011, ha stabilito che è legittimo costituirsi parte civile in un processo penale quando la richiesta del privato riguarda specifici beni, attività o diritti soggettivi individuali. Tuttavia, questa legittimità non si estende alle situazioni in cui il cittadino lamenta un degrado ambientale generale.
La Suprema Corte ha così respinto il ricorso contro il rifiuto di escludere la parte civile in un caso riguardante uno scarico non autorizzato di acque reflue industriali. La decisione è stata giustificata dal danno diretto subito nella vita quotidiana da un cittadino residente nelle vicinanze dello scarico, a causa dei cattivi odori e degli effluvi molesti provenienti dallo stesso.
Sono comunque recentissime tutte le altre pronunce che puniscono di fatto sia privati che enti pubblici, i quali non sono stati celeri e ferrati nel cogliere gli obblighi normativi in materia di: “… acque reflue destinate ad essere versate nelle casse dell’ente pubblico territoriale …” (cfr. Tribunale di Nola, Sentenza n. 1671/2024 del 27-05-2024); “… ha agito al fine di vedersi accertare il suo diritto alla costituzione di una servitù di passaggio dei tratti fognari nel cortiletto di proprietà esclusiva della convenuta, onde agevolare lo scarico delle acque reflue. …” (cfr. Tribunale di Avellino, Sentenza n. 49/2023 del 17-01-2023). Concordi agli stessi principi in materia anche il Tribunale di Latina, Sentenza n. 2454/2018 del 09-10-2018; la Corte d’Appello di L’Aquila, Sentenza n. 689/2024 del 23-05-2024; il Tribunale di Roma, Sentenza n. 895/2024 del 17-01-2024; e ancora Milano, Caltagirone, Livorno, ma anche le recenti ordinanze della Corte di Cassazione (Corte di Cassazione, Ordinanza del 10-04-2024). Sin dal 2013, la Cassazione afferma che “la violazione delle norme in materia di tutela ambientale comporta l’obbligo risarcitorio dello Stato o dell’ente pubblico, in quanto tale violazione configura un’omissione colpevole“. Già nel 2014, il Tribunale di Milano ha condannato lo Stato al risarcimento del danno in favore di un cittadino che aveva subito un’intossicazione alimentare a causa dell’inquinamento di un corso d’acqua. Ma i casi simili sono numerosissimi. Il diritto a vivere in un ambiente salubre ed eventualmente a chiederne il risarcimento danni è un diritto ormai cristallizzato e avvalorato, oggi, dalle numerose procedure di infrazioni che riguardano il nostro Paese che stenta ad adeguarsi.