L’effetto serra e gli accordi internazionali per salvare il pianeta
L’Italia, come Paese industrializzato e membro dell’Unione Europea, ha un ruolo importante nel dibattito sul cambiamento climatico e negli accordi internazionali per affrontare questa sfida globale. Anche le ultime sentenze lo dimostrano
26 Settembre 2023, 11:16
Sommario
Il ruolo dell’Italia nella sfida globale prende ufficialmente il via dall’Accordo di Parigi del 2015, redatto per limitare l’aumento della temperatura media globale a ben al di sotto dei 2 gradi Celsius rispetto ai livelli preindustriali e a proseguire gli sforzi per limitare l’aumento a 1,5 gradi Celsius. Come parte di questo accordo, l’Italia si è impegnata a ridurre le emissioni di gas serra del 40% entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990. Di fatto, comunque, gli intenti e gli obiettivi per combattere l’effetto serra e il cambiamento climatico nascono ben prima: da quando la ricerca scientifica ha iniziato a scoprire e sottoscrivere come lo smog ha effetti nefasti per la salute umana e per tutto l’ecosistema. Per raggiungere questi obiettivi, l’Italia ha adottato politiche nazionali per favorire l’uso di energie rinnovabili e la riduzione delle emissioni in vari settori, come il trasporto e l’industria. Inoltre, il Paese sta lavorando per aumentare l’efficienza energetica e promuovere la transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio.
Il ruolo dell’Italia nella sfida globale
L’Italia ha anche un ruolo fondamentale nel quadro dell’Unione Europea per affrontare il cambiamento climatico. L’Ue ha fissato obiettivi ambiziosi per la riduzione delle emissioni di gas serra e l’Italia deve contribuire a raggiungere questi obiettivi insieme agli altri paesi membri. Inoltre, il nostro Paese ha l’opportunità di partecipare ai negoziati internazionali sul clima, come la Conferenza delle Parti (COP) delle Nazioni Unite. In queste riunioni, i rappresentanti italiani possono contribuire alla definizione delle politiche globali per affrontare il cambiamento climatico e promuovere azioni concrete per la riduzione delle emissioni e l’adattamento ai suoi impatti.
Il ruolo italiano riguarda anche l’aspetto finanziario, soprattutto nel finanziamento degli sforzi per affrontare il cambiamento climatico, specialmente nei paesi in via di sviluppo. Tra le azioni, infatti, è previsto che l’Italia e altri paesi sviluppati si impegnino a fornire finanziamenti e sostegno tecnico ai paesi più vulnerabili per aiutarli ad adattarsi al cambiamento climatico e ad avviare azioni per ridurre le emissioni. Il nostro Paese, insomma, ha un ruolo importante nel campo del cambiamento climatico e negli accordi internazionali per affrontarlo deve continuare a implementare politiche e misure per ridurre le emissioni di gas serra e adattarsi agli impatti del cambiamento climatico, partecipando attivamente ai negoziati internazionali per promuovere azioni globali e sostenere i paesi più vulnerabili.
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Effetto serra, il nemico numero uno
Tra i più importanti fattori da contrastare vi è certamente l’effetto serra. Si tratta di un fenomeno naturale che si verifica quando l’atmosfera trattiene parte del calore emesso dalla terra, causando un aumento delle temperature globali. L’attività umana ha contribuito ad aumentare l’effetto serra, principalmente attraverso l’emissione di gas serra come il biossido di carbonio (CO2), il metano (CH4) e l’ossido nitroso (N2O). Questa intensificazione dell’effetto serra ha portato a un aumento delle temperature medie globali, cambiamenti climatici, come l’aumento del livello del mare, l’aumento dell’intensità degli eventi meteorologici estremi e l’alterazione degli ecosistemi naturali. Per affrontare questa sfida, la comunità internazionale ha adottato una serie di accordi per limitare le emissioni di gas serra e mitigare gli effetti dei cambiamenti climatici.
Il primo accordo globale significativo in materia di cambiamenti climatici è stato il Protocollo di Kyoto nel 1997. L’accordo stabiliva obiettivi vincolanti per la riduzione delle emissioni di gas serra per i paesi sviluppati.
Successivamente, nel 2015, è stato raggiunto l’accordo di Parigi. L’accordo ha stabilito l’obiettivo di mantenere l’aumento della temperatura media globale ben al di sotto dei 2°C rispetto ai livelli preindustriali, e di compiere sforzi per limitare l’aumento a 1,5°C. Gli Stati membri si sono impegnati a presentare piani nazionali con misure di mitigazione delle emissioni e ad aggiornare questi piani regolarmente. Inoltre, l’accordo di Parigi prevede un sostegno finanziario e tecnologico ai Paesi in via di sviluppo per affrontare i cambiamenti climatici.
Tuttavia, nonostante gli sforzi internazionali, i progressi nella riduzione delle emissioni rimangono modesti e le sfide che i cambiamenti climatici rappresentano per il pianeta sono ancora significative. La comunità internazionale deve continuare a lavorare insieme per trovare soluzioni efficaci per salvare il pianeta e preservare l’habitat per le future generazioni.
Il cambiamento deve avvenire in ogni sede e in ogni campo
Neutralità climatica al 2050 e obiettivo di riduzione delle emissioni per il 2030 al 55% rispetto ai livelli del 1990: sono questi gli obiettivi di fondo del Regolamento europeo approvato dal Consiglio Ue il 28 giugno 2021, dopo il voto del 4 giugno del Parlamento Ue.
Obiettivi intermedi ulteriori, in particolare per il 2040, potranno essere introdotti, con una valutazione da effettuarsi entro i sei mesi successivi al primo bilancio globale eseguito sulla base dell’Accordo di Parigi, e obiettivi specifici vengono indicati per alcuni settori, come quello dei trasporti.
La Commissione dell’Unione europea valuterà periodicamente i progressi di tutti i paesi membri. Dunque, ora, le finalità esplicitate a livello politico nel Green Deal europeo hanno una chiara base legale nel diritto europeo.
Il nostro Paese, al momento, è passato dal 6,3% di energia rinnovabile sul totale di quella consumata nel 2004, al 18,2% nel 2019. Una quota che non solo è la più alta tra quelle dei paesi considerati dall’elaborazione openpolis dati Eurostat del gennaio 2021, ma segna anche la maggior crescita nel ricorso alle rinnovabili, con un aumento di 11,8 punti in 15 anni.
Seguono la Germania (+11,1 punti), il Regno Unito (+11,2) e la Francia (+7,7). Da notare comunque che nel 2019, tutti e cinque i paesi hanno quote inferiori alla media Ue (18,9%), anche se di poco nel caso dell’Italia (18,2%). Infine, il Regno Unito spicca negativamente con percentuali ampiamente inferiori a quelle degli altri stati, lungo tutti gli anni considerati.
Ultime pronunce giurisprudenziali a riguardo
Anche se l’anno della “giustizia climatica” è stato il 2021, l’opera legislativa continua ad insinuarsi nella quotidianità della collettività, in maniera sempre più incisiva e importante.
A dimostrarlo non sono soltanto le pronunce dei vari Tribunali che impongono di seguire le direttive europee, ma anche le riflessioni di esperti e scrittori, di studiosi di diritto che rivoluzionano la visione: il clima è diventato la piattaforma di ogni cambiamento possibile: “un manifesto per la giustizia sociale (…), il soggetto politico di un contropotere globale che attraversa le nazioni, i sistemi economici, i confini”. Così lo definisce Ferdinando Cotugno in “Primavera ambientale” e ci induce a considerare che sarebbe riduttivo pensare che i movimenti per il clima si stiano mobilitando esclusivamente per perorare la causa dell’abbattimento delle emissioni di gas ad effetto serra.
Tra le pronunce, vanno annoverate, ad esempio, quelle che mirano al risanamento ambientale e si riferiscono all’amministrazione straordinaria per le imprese in crisi e al fallimento di queste ultime. Per citarne alcune: Cass. civ., Sez. I, Ordinanza, 15/05/2023, n. 13195; Cass. civ., Sez. I, 04/07/2022, n. 21156; Cass. civ., Sez. I, 04/07/2022, n. 21151. Anche se riguardano fattispecie diverse, accomunate solo dal fallimento delle imprese, il messaggio a livello ambientale è l’unico e solo: “bisogna agire nel rispetto del risanamento ambientale, sicurezza e attuazione degli interventi in materia di tutela dell’ambiente e della salute previsti (…)”.
Si punta il dito contro un modello globale di produzione e consumo, un modello che non genera solo emissioni clima-alteranti, ma anche disuguaglianza sociale, depauperamento delle risorse del pianeta, migrazioni di massa, compressione dei diritti delle popolazioni native in Africa, America Latina, Asia e Oceania.
È, dunque, arrivato il momento di mettere a tacere la frustrazione dei movimenti ambientali di non trovare interlocutori politici che raccolgano il loro messaggio. È tempo di risposte e di azioni urgenti perché il messaggio è urlato al mondo: “non c’è un pianeta B” e “non c’è un piano B”.