Industria tessile e abbigliamento, quanto inquina la fast fashion?
Il boom della “moda veloce” ha portato a un incremento della produttività dell’industria tessile, ma qual è l’impatto che ha sull’ambiente?
17 Ottobre 2024, 09:49
Sommario
La fast fashion, o “moda veloce”, si riferisce a un modello di produzione che rende disponibili costantemente nuovi stili a prezzi accessibili. Questo sistema ha portato a un aumento significativo nella quantità di capi d’abbigliamento prodotti, utilizzati e rapidamente scartati. Sebbene permetta un accesso facile e rapido a nuove tendenze, ha creato una cultura di consumo che alimenta lo spreco di risorse e l’accumulo di rifiuti tessili. Vediamo qual è l’impatto dell’industria tessile sull’ambiente.
Impatto dell’industria tessile su acqua e terreni
La produzione tessile richiede enormi quantità di risorse naturali, come l’acqua e i terreni. Per esempio, per produrre una sola maglietta di cotone sono necessari circa 2.700 litri d’acqua dolce, l’equivalente del fabbisogno idrico di una persona per oltre due anni. Nel 2020, il settore tessile è stato una delle principali fonti di degrado delle risorse idriche e del suolo, con un impatto diretto su vaste aree di terreno coltivato e sui consumi di acqua a livello globale.
L’inquinamento da microplastiche e le emissioni di CO2
Uno degli effetti più preoccupanti della fast fashion è l’inquinamento da microplastiche causato dai lavaggi frequenti di indumenti sintetici. Ogni lavatrice può rilasciare fino a 700.000 microfibre di plastica, che finiscono nei mari e nella catena alimentare. A ciò si aggiunge l’impatto delle emissioni di CO2: si stima che l’industria della moda contribuisca per il 10% alle emissioni globali di carbonio, superando quelle generate da trasporti internazionali.
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Quanto inquina l’industria tessile in Europa
Il rapporto dell’Agenzia Europea per l’Ambiente (EEA), pubblicato a marzo 2022, analizza gli impatti ambientali e climatici del settore tessile-moda e propone soluzioni per renderlo più sostenibile e circolare. Gli impatti ambientali si manifestano durante varie fasi, dalla produzione delle fibre naturali e sintetiche al consumo di energia e acqua, fino alla distribuzione e al fine vita dei prodotti tessili.
Il settore tessile consuma grandi quantità di materie prime, con circa 175 milioni di tonnellate utilizzate nel 2020 per vestiti, calzature e tessili per la casa. Solo il 20% di queste materie prime è prodotto in Europa, il che significa che gran parte dell’impatto ambientale avviene fuori dal continente. Il comparto tessile è il quinto per consumo di materie prime in Europa.
Come detto, la produzione tessile richiede grandi quantità di acqua e suolo, soprattutto per colture come il cotone. Nel 2020, per i tessili acquistati dalle famiglie europee sono stati utilizzati 4.000 milioni di m³ di acqua “blu” (acque superficiali e sotterranee destinate ad un utilizzo per scopi agricoli, domestici e industriali) e 20.000 milioni di m³ di acqua “verde” (acqua piovana impiegata dalla coltura per evapotraspirare). L’uso del suolo è stimato in 180.000 km², con oltre il 90% di questo impatto che avviene fuori dall’Europa.
Le emissioni di gas serra nel 2020 hanno raggiunto 121 milioni di tonnellate di CO2 equivalente, rendendo il settore tessile il quinto più impattante per il cambiamento climatico. L’80% di queste emissioni avviene durante la produzione, mentre il resto è legato all’uso, distribuzione e smaltimento dei tessili.
L’impegno dell’UE verso un’economia circolare
Di fronte al crescente impatto ambientale della fast fashion, l’Unione Europea ha adottato misure per ridurre gli sprechi tessili e promuovere il riciclo dei materiali. Questo impegno è parte del più ampio obiettivo dell’UE di realizzare un’economia circolare entro il 2050. Tra le priorità vi è l’estensione del ciclo di vita dei prodotti tessili, incoraggiando pratiche di riciclo per minimizzare l’impatto ecologico della moda.