Acque reflue inquinate: l’Italia non ha rispettato la direttiva
È nuovamente intervenuta, per la quarta volta, la Commissione Europea che ha mandato l’Italia alla Corte di Giustizia Europea. Il nostro Paese dovrà rispondere della responsabilità di non aver ottemperato agli obblighi previsti dalla direttiva sulle acque reflue.
3 Aprile 2024, 08:39
Sommario
Lo scorso 13 marzo, la Commissione ha deciso di deferire l’Italia con procedura d’infrazione indicata (INFR(2017)2181) alla Corte di giustizia dell’UE. La colpa del nostro Paese? Non aver pienamente rispettato gli obblighi di raccolta e trattamento stabiliti dalla direttiva sul trattamento delle acque reflue urbane (direttiva 1991/271/CEE).
Cosa stabilisce la direttiva?
La direttiva regola la raccolta delle di queste acque e il loro trattamento prima di essere scaricate nell’ambiente. In tal modo riesce a proteggere la salute umana e del Pianeta, minimizzando i rischi di inquinamento per i laghi, i fiumi, il terreno e le acque costiere e sotterranee.
Da cosa si evince l’inosservanza dell’Italia sulle acque reflue?
Sono 179 le zone italiane che non hanno seguito quanto raccomandato all’interno della direttiva, facendo così imputare l’Italia.
In particolare, nel caso di 36 agglomerati l’Italia deve ancora garantire che siano disponibili sistemi di raccolta delle acque reflue (o sistemi individuali o altri sistemi adeguati, in casi giustificati) e continua a non trattare correttamente le acque reflue raccolte in 130 agglomerati.
Per le zone che scaricano acque reflue in aree sensibili è, inoltre, necessario un trattamento delle acque reflue più rigoroso. In 12 luoghi italiani questo obbligo non è ancora rispettato. Infine, per 165 agglomerati l’Italia non garantisce che gli scarichi idrici soddisfino nel tempo le condizioni di qualità richieste.
Cosa ha stabilito quindi la Commissione Europea?
La Commissione ha inviato una lettera di costituzione in mora all’Italia nel giugno 2018 e successivamente un parere motivato nel luglio 2019. Nonostante alcuni progressi, molti agglomerati continuano a non rispettare gli obblighi della direttiva. La Commissione ritiene che gli sforzi profusi finora dalle autorità italiane siano stati insufficienti e ha pertanto deciso di deferire l’Italia alla Corte di giustizia dell’UE.
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Secondo la direttiva sulla gestione delle acque reflue, tutte le aree residenziali con almeno 2.000 abitanti devono avere un sistema fognario a norma e ben funzionante. Se la costruzione di fognature non è giustificata soprattutto perché comporterebbe costi irragionevoli, si possono utilizzare sistemi individuali o altri sistemi idonei, purché forniscano un livello equivalente di protezione ambientale. Gli Stati membri devono inoltre garantire che, negli agglomerati con almeno 2.000 abitanti, gli effluenti provenienti dagli impianti di trattamento delle acque reflue urbane raggiungano almeno il livello di trattamento secondario (consistente nel trattamento della materia organica nelle acque reflue urbane) prima dello scarico nell’ambiente. I casi già osservati e indicati come (2034), INFR2009 (2034) e INFR2014 (2059) non si sovrappongono a quello in questione, perché ciascuno riguarda una diversa violazione degli obblighi definiti nella Direttiva. Tutte e quattro le procedure coprono più di 900 aree urbane italiane.
Perché è importante che le acque reflue non comportino un pericolo ambientale?
Le acque reflue rappresentano gli scarti della produzione di acqua per le attività umane, da quella domestica all’agricoltura, all’industria e all’urbanizzazione. Queste acque, se non trattate correttamente, possono rappresentare un grave pericolo ambientale. I motivi sono presto detti.
Queste acque contengono una vasta gamma di sostanze inquinanti, tra cui agenti patogeni, nutrienti come azoto e fosforo, metalli pesanti, composti organici, e molti altri. Questi inquinanti possono contaminare le acque superficiali e sotterranee, compromettendo la qualità dell’acqua e mettendo a rischio la vita acquatica e la salute umana.
Gli eccessivi nutrienti presenti nelle acque reflue, come azoto e fosforo, possono causare la eutrofizzazione dei corpi d’acqua. Questo fenomeno provoca una rapida crescita delle alghe, che consumano ossigeno durante il loro processo di decomposizione. La riduzione dell’ossigeno nell’acqua può portare alla morte dei pesci e di altre forme di vita acquatica, compromettendo gli ecosistemi acquatici.
Senza trascurare che le acque reflue contaminate possono costituire una minaccia diretta per la salute umana. Gli agenti patogeni presenti nelle acque reflue non trattate, come batteri, virus e parassiti, possono causare malattie gastrointestinali, infezioni della pelle, problemi respiratori e altre malattie trasmesse dall’acqua.
Gli inquinanti presenti nelle acque reflue possono, quindi, danneggiare gli habitat naturali, compresi i corsi d’acqua, le zone umide e gli ecosistemi costieri e questo può comportare alla perdita di biodiversità, alla distruzione degli habitat vitali per molte specie di piante e animali e alla diminuzione della qualità della vita selvatica.
L’inquinamento delle acque reflue può avere anche gravi conseguenze socioeconomiche, compresi costi sanitari aggiuntivi per la cura delle malattie legate all’acqua, perdite economiche per le industrie che dipendono dall’acqua pulita, danni alle attività ricreative e turistiche, e diminuzione del valore delle proprietà immobiliari nelle aree inquinate.
È fondamentale che le acque reflue non comportino un pericolo ambientale per proteggere la salute umana, preservare la biodiversità, mantenere la qualità dell’acqua e sostenere le attività economiche. Un trattamento adeguato delle acque reflue è essenziale per ridurre l’impatto negativo sull’ambiente e promuovere una gestione sostenibile delle risorse idriche. L’Italia, quindi, deve agire in fretta per arginare tutte le cause che l’hanno resa responsabile dell’infrazione segnalata dalla Commissione europea per motivi economici, ma soprattutto per garantire la corretta tutela della salute dei propri cittadini.