Inquinamento atmosferico come causa nei certificati di morte: la richiesta dei medici inglesi

Tre medici sul BMJ hanno lanciato un appello: bisogna includere l’inquinamento atmosferico come causa nei certificati di morte. Si chiede di redigere una guida che aiuti i dottori a decidere quando l’inquinamento dovrebbe essere inserito e di formare i coroner.

24 Gennaio 2024, 13:50

Inquinamento atmosferico come causa nei certificati di morte: la richiesta dei medici inglesi

“I medici hanno bisogno di una guida nazionale per poter inserire l’inquinamento atmosferico come causa nei certificati di morte“. La richiesta è partita da un articolo pubblicato sul British Medical Journal da tre medici inglesi: la pneumologa Laura-Jane Smith e i dottori Mike Tomson e Kath Brown. Più che una provocazione, questa lettera è un grido d’aiuto alle Istituzioni nell’affrettare il riconoscimento di uno dei fattori di rischio che condizionerà la salute del pianeta negli anni a venire, e che lo sta già facendo adesso.

La richiesta dei medici inglese: l’inquinamento è causa di morte

Nell’articolo, gli esperti ricordano la mole di dati epidemiologici che collegano l’inquinamento atmosferico con le nostre condizioni di salute. Ritardo della crescita intrauterina, aborto spontaneo, disturbi dello sviluppo, asma, diabete, cardiopatia ischemica, demenza, ictus e cancro ai polmoni sono i principali e accreditati da numerosi studi. Non esiste un livello “sicuro” di esposizione all’inquinamento atmosferico e nessuno può realmente sfuggire all’esposizione: secondo il Lancet oltre 6,5 milioni di decessi ogni anno nel mondo sono già attribuibili all’inquinamento atmosferico. “Come nel caso di tante ingiustizie sanitarie, coloro che sono più colpiti contribuiscono meno al problema”, scrivono i tre autori.

La “prima” morte per inquinamento

Nell’articolo si ricorda un caso del 2013, la morte di Ella Adoo-Kissi-Debrah, una paziente inglese che ha il primato di avere l’inquinamento atmosferico nella lista delle cause sul suo certificato di morte. Il documento recita infatti: 1) insufficienza respiratoria acuta; 2) asma; 3) esposizione all’inquinamento atmosferico. Un risultato ottenuto grazie alla grande pervicacia della madre Rosamund. Grazie a nuove analisi post-mortem si era riusciti, infatti, a dimostrare che i tanti ricoveri di Ella per asma grave corrispondevano ai picchi di inquinamento dell’aria in prossimità della sua casa londinese. I livelli di PM2.5 e PM10 a cui Ella era esposta erano costantemente superiori ai limiti dettati dall’Unione Europea.

“I bambini che vivono a Londra e in altre città – scrivono i tre autori – continuano a essere esposti a livelli così elevati di inquinamento atmosferico, e alcuni sono morti di asma dal 2020, ma per nessun altro l’inquinamento atmosferico è stato incluso come concausa di morte. Ciò provoca confusione nell’opinione pubblica e consente a coloro che si oppongono agli interventi di sanità pubblica di abusare delle statistiche sulle cause di morte per ridurre al minimo il problema dell’inquinamento atmosferico”.

 

Aria Pulita è l’azione collettiva nata per tutelare il tuo Diritto alla Salute e per sensibilizzare le Istituzioni ad adottare azioni concrete per ridurre l’inquinamento, offrendoti supporto per chiedere un risarcimento per gli anni in cui hai vissuto in aree inquinate. Registrati gratis e scopri come possiamo aiutarti.

 

L’importanza della causa nei certificati di morte

Ma perché questo focus sui certificati di morte? Gli autori spiegano che questi documenti sono pubblici e vengono registrati negli archivi sanitari, possono dunque essere consultati da ricercatori, avvocati e organismi internazionali. Non inserire l’inquinamento atmosferico dove è invece “complice” non permette di aggiornare le statistiche nazionali, che sono alla base dei processi decisionali. Senza questa operazione non si avverte il reale pericolo che il fenomeno rappresenta attualmente. “Viene fornita consulenza governativa sull’inclusione [nei certificati di morte ndr] del fumo, dell’alcol e delle esposizioni professionali, ma non su quando includere l’inquinamento atmosferico”, aggiungono.

Un gruppo di professionisti medici (inclusi gli autori e gli operatori sanitari del Respiratory Greener Practice Network) ha scritto ai coroner di tutta la Gran Bretagna per chiedere consiglio su quando sarebbe appropriato includere l’inquinamento atmosferico nei certificati di morte. Le risposte arrivate hanno turbato i richiedenti: i coroner non sembrano consapevoli di quanto siano alti i livelli di inquinamento e degli effetti che ha sulla salute. Una delle opposizioni addotte è stata che “una morte causata o a cui ha contribuito l’inquinamento atmosferico non soddisferebbe il requisito che fosse dovuta a cause naturali” e i coroner sarebbero quindi obbligati ad avviare un’indagine e un’inchiesta. “È illogico che la morte per esposizione al fumo di tabacco sia considerata una “causa naturale”, mentre la morte per esposizione al fumo di combustibili fossili non lo è“, hanno commentato gli autori.

L’articolo si chiude infine con una richiesta molto chiara divisa in 3 punti:

  • Una Guida nazionale sull’inclusione dell’inquinamento atmosferico nei certificati di morte per i medici;

  • Una revisione di quando dovrebbero essere avviate le inchieste o se l’elenco RCPath delle cause di morte “naturali” debba essere modificato;

  • Formazione per coroner, medici legali e operatori sanitari sul contributo significativo dell’inquinamento atmosferico alle morti.

I tre autori concludono reiterando che questo sarebbe un passo fondamentale per mostrare alla politica e al mondo intero quanti danni derivano dall’inquinamento atmosferico e per proteggere il diritto di ognuno a respirare aria pulita.