L’inquinamento minaccia la salute, ma non equamente in tutto il mondo

L’inquinamento atmosferico rappresenta una crescente minaccia per la salute. Tuttavia, il suo impatto è distribuito in modo iniquo in tutto il mondo, così come sono inique le opportunità di combatterlo. È quanto emerge dai nuovi dati dell’Air Quality Life Index, commentato per noi dal presidente SIMA Alessandro Miani.

7 Settembre 2023, 12:19

L’inquinamento minaccia la salute, ma non equamente in tutto il mondo

Con l’aumento dei livelli di inquinamento atmosferico globale, aumenta anche la minaccia che rappresenta per la salute umana. Ma non tutti i paesi pagano allo stesso modo. È quanto emerge dai nuovi dati dell’Air Quality Life Index, che dimostrano come nel 2021 l’inquinamento globale sia aumentato, così come anche il suo impatto sulla salute. L’inquinamento atmosferico da particolato rimane il più grande rischio ambientale per la salute umana, ma la maggior parte del suo impatto sull’aspettativa di vita globale è concentrato in soli sei paesi.  “Tre quarti dell’impatto dell’inquinamento atmosferico sull’aspettativa di vita globale si verifica in soli sei paesi, Bangladesh, India, Pakistan, Cina, Nigeria e Indonesia, dove le persone perdono da uno a più di sei anni di vita a causa dell’aria che respirano”, sottolinea Michael Greenstone, professore in Economia alla Milton Friedman Distinguished Service e creatore dell’AQLI, insieme ai colleghi dell’Energy Policy Institute dell’Università di Chicago.

Il particolato fine ha un impatto sull’aspettativa di vita simile a quello del fumo

Secondo i nuovi dati, l’inquinamento da particolato è una minaccia per la salute perché ha impatto sull’aspettativa di vita paragonabile a quello del fumo, più di 3 volte quello dell’uso di alcolici e del consumo di acqua non sicura, e più di 5 volte quello dei traumi su strada, come gli incidenti automobilistici. Ma se il mondo riducesse in modo permanente l’inquinamento da particolato fine, secondo le linee guida dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, una persona media aggiungerebbe ben 2,3 anni alla propria aspettativa di vita. Per un totale di 17,8 miliardi di anni di vita risparmiati in tutto il globo. Il problema è che nei paesi più colpito dagli effetti dell’inquinamento atmosferico sono gli stessi che non dispongono di infrastrutture di base per contrastarlo. L’Asia e l’Africa sono i due esempi più significativi. Essi contribuiscono al 92,7% degli anni di vita persi a causa dell’inquinamento. Eppure, solo il 6,8% e il 3,7% dei governi di Asia e Africa, rispettivamente, forniscono ai propri cittadini dati sulla qualità dell’aria in modo trasparente. Inoltre, solo il 35,6% e il 4,9% dei paesi dell’Asia e dell’Africa, rispettivamente, dispongono di standard sulla qualità dell’aria sui quali basare le proprie politiche.

 

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Servono risorse da investire nei paesi più colpiti

Gli attuali investimenti collettivi per migliorare la qualità dell’aria a livello globale non sono mirati ai luoghi in cui l’inquinamento atmosferico ha un maggiore impatto sulla vita umana. Mentre infatti esiste un grande fondo globale per HIV e AIDS, malaria e tubercolosi, che ogni anno eroga quattro miliardi di dollari, non esiste un fondo equivalente per contrastare l’inquinamento atmosferico. In effetti, l’intero continente africano riceve meno di 300.000 dollari in fondi filantropici per l’inquinamento atmosferico, ovvero l’attuale prezzo medio di una casa unifamiliare negli Stati Uniti. Secondo il Clean Air Fund, solo 1,4 milioni di dollari sono destinati all’Asia, esclusi Cina e India. Europa, Stati Uniti e Canada, invece, ricevono 34 milioni di dollari. Ma prima delle risorse servono informazioni precise e affidabili.

Dati tempestivi, affidabili e trasparenti sulla qualità dell’aria possono essere la spina dorsale degli sforzi della società civile e dei governi per la tutela dell’aria pulita, fornendo le informazioni che mancano ai cittadini e ai governi e che consentono di prendere decisioni politiche più informate”, sostiene Christa Hasenkopf, direttore dell’AQLI. “Fortunatamente, vediamo un’immensa opportunità di svolgere un ruolo nell’invertire questa tendenza, indirizzando meglio e aumentando i nostri finanziamenti per costruire in modo collaborativo l’infrastruttura che oggi manca”, conclude Hasenkopf.

Il commento dell’esperto SIMA

Abbiamo chiesto un commento al presidente della Società italiana di Medicina Ambientale, Alessandro Miani. È vero che l’inquinamento minaccia la salute in maniera “poco equa”? “Il Rapporto Air Quality Index di quest’anno edito dal Prof Michael Greenstone, mette in luce disuguaglianze poco note in termini di disuguaglianze nell’impatto dell’inquinamento atmosferico. Al confronto della disastrosa situazione che affligge il subcontinente indiano, la Cina (nonostante un miglioramento del 42 percento dal 2014), il sud-est asiatico e l’Africa Centro-occidentale (dove ogni cittadino residente perde fino a 6 anni di vita a causa dell’aria malsana) sembrerebbero addirittura confortanti i dati europei, con un miglioramento del 60 percento rispetto agli anni ’60”.

“Tuttavia questa sarebbe una lettura semplicistica e ingannatrice giacché il nostro riferimento non va certamente rivisto al ribasso portando come benchmark le situazioni più critiche e per citare Trilussa vale sempre il detto che la media statistica è quella operazione per cui tra due che persone si divino due polli uno può rimanere a digiuno ma per la statistica hanno mangiato in media 1 pollo a testa. Infatti, l’Europa presenta il doppio delle concentrazioni medie di particolato atmosferico rispetto agli strati Uniti e valori quasi tripli in termini di mortalità evitabile da inquinamento dell’aria. Si tratta per l’Europa di dati medi inferiori a 1 anno di vita perso per ogni cittadino, ma i residenti nelle aree più inquinate potrebbero guadagnare fino a 3 anni di vita ciascuno se la qualità dell’aria rispettasse i limiti sanitari fissati dall’OMS. Ma anche all’interno dell’Europa ci sono differenze importanti dal momento che l’ultimo rapporto sulla qualità dell’aria edito dalla Agenzia Europea per l’Ambiente continua a classificare l’Italia al primo posto come maglia nera per mortalità evitabile (sebbene in diminuzione anche se in misura minore rispetto agli altri Paeso UE) da particolato atmosferico e ossidi di azoto con oltre 66.000 decessi nel 2020 che potevano essere evitati“.