Processo ILVA: disastro ambientale e diritto di proprietà
Perché la sentenza relativa al Processo ILVA è fondamentale per la tutela della salute in tutte le sue sfaccettature? Perché riesce a far ottenere giustizia, anche in caso di compromissioni di altri diritti fondamentali tutelati dal nostro ordinamento e da quello europeo.
11 Luglio 2023, 13:38
Sommario
Con una sentenza storica, la n. 18810/2021, la Corte di Cassazione si è pronunciata sulle immissioni intollerabili e configurabilità di un danno risarcibile per compressione del diritto di proprietà. intervenuta sul tema, condannando l’Ilva a risarcire il danno patrimoniale invocato dagli attori, residenti della città di Taranto. Tragicamente note sono le foto con cui i residenti hanno documentato l’inquinamento causato negli anni dallo stabilimento siderurgico più grande d’Europa.
Nel caso di specie, la Cassazione ha confermato la sentenza della Corte d’appello, la quale aveva convalidato la decisione di primo grado che, in parziale accoglimento della domanda proposta dagli odierni intimati o loro danti causa, aveva condannato l’azienda al risarcimento dei danni da questi subiti per la “compressione del diritto di proprietà”, inteso come “diritto a godere in modo pieno ed esclusivo di un bene”, determinata dalla perenne esposizione degli immobili al fenomeno di immissioni di polveri minerali: danni equitativamente liquidati nella misura del 20% del valore dei beni.
La sentenza
In particolare, la sentenza prende in considerazione da un lato la mancanza di un danno non patrimoniale conseguente alle immissioni intollerabili che non esclude la configurabilità di un danno risarcibile di natura patrimoniale come conseguenza dell’illecito costituito dalle immissioni medesime; dall’altro, l’esclusa esistenza di danni materiali da deterioramento di strutture dell’edificio o di un danno da deprezzamento commerciale dell’immobile non comporta anche l’esclusione della possibilità di apprezzare un danno patrimoniale della diversa specie predetta, economicamente valutabile, se non nel loro valore di scambio, quanto meno sul piano del valore d’uso.
La massima: “La compressione o la limitazione del diritto di proprietà o altro diritto reale, che siano causate dall’altrui fatto dannoso, sono suscettibili di valutazione economica non soltanto se ne derivi la necessità di una spesa ripristinatoria (cosiddetto danno emergente) o di perdite dei frutti della cosa (lucro cessante), ma anche se la compressione e la limitazione del godimento siano sopportate dal titolare con suo personale disagio o sacrificio. Pertanto se da un lato, la mancanza di un danno non patrimoniale conseguente alle immissioni intollerabili non esclude la configurabilità di un danno risarcibile di natura patrimoniale come conseguenza dell’illecito costituito dalle immissioni medesime; dall’altro, l’esclusa esistenza di danni materiali da deterioramento di strutture dell’edificio o di un danno da deprezzamento commerciale dell’immobile non comporta anche l’esclusione della possibilità di apprezzare un danno patrimoniale della diversa specie predetta (ossia da perdita di talune significative facoltà di godimento), economicamente valutabile, se non nel loro valore di scambio, quanto meno sul piano del valore d’uso. Nel caso di specie, l’illiceità derivava dal fatto generatore del danno arrecato a terzi – cioè lo spandimento di polveri minerali che superino la normale tollerabilità – sicché, il criterio del preuso, cui fa riferimento l’art. 844 c.c., comma 2, ha carattere assolutamente sussidiario e facoltativo ed il giudice non è, evidentemente, tenuto a farvi ricorso essendosi anche opportunamente evidenziato che, nell’ipotesi di superamento della normale tollerabilità di immissioni, l’azione è inquadrabile semplicemente nello schema generale dell’illecito aquiliano, ex art. 2043 c.c. e non trova ragione di applicazione, in radice, il criterio della priorità di un certo uso”.
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Il caso ILVA
La sentenza si riferisce alla nota questione e si discute se l’inquinamento dell’ILVA comprima il diritto di proprietà, inteso come “diritto a godere in modo pieno ed esclusivo di un bene”, a causa della perenne esposizione degli immobili al fenomeno di immissioni di polveri minerali.
Il legame diritto di proprietà e diritto alla salute in Italia
Il diritto di proprietà in Italia è, da sempre, stato oggetto di tutela come diritto inalienabile riguardante l’iniziativa economica privata. A stabilirlo, prima ancora del nostro codice civile, è la nostra fonte per eccellenza: la Costituzione che all’art. 42 che sancisce il carattere di pretesa giuridica che l’ordinamento riconosce e tutela nei confronti della proprietà, avverso chiunque e a favore di chi ne è titolare. Si dice anche che esso sia un diritto soggettivo su una cosa, alludendo al potere (di appartenenza) che il proprietario ha nei confronti della cosa, oggetto del diritto.
Soprattutto con la pronuncia derivante dal caso ILVA, la disciplina dell’art. 832 c.c. ha trovato compimento anche nel rapporto con il diritto alla salute, tutelato ex art. 32 Cost.. Dal concetto si importanza “sociale” del diritto alla salute, i massimi giuristi si convinsero che esso doveva inserirsi nel novero di tutti gli altri diritti ritenuti fondamentali dal nostro ordinamento sia nei rapporti intersoggettivi che nella regolamentazione del diritto sanitario tout court.
Tra le pronunce a supporto di questa convinzione, non si può non annoverare quella della Corte di Cassazione la n. 12386/1992 che ha centrato il punto. Se la proprietà è uno dei fenomeni centrali, che correlata alla libertà dal bisogno di ogni individuo, si presenta come il pilastro negli ordinamenti tanto da rientrare tra i diritti fondamentali ed inviolabili dell’uomo, nel valorizzare il momento soggettivo del diritto di proprietà, appare necessaria la tutela da apprestare al diritto alla salute nei rapporti intersoggettivi.
Il diritto alla salute è infatti diritto inviolabile di ogni individuo, tutelato anche nei luoghi di lavoro dal D. Lgs. 626/1994 e pertanto esso deve essere tutelato anche nei rapporti tra privati e tra questi e la P.A., come nel caso di inquinamento elettromagnetico, acustico o ambientale.
Qui, interviene dunque il diritto alla salubrità dell’ambiente come diritto sociale che obbliga la P.A. ad una attività positiva in favore della salute dei cittadini, sia in via preventiva che recuperatoria. In quest’ottica, le immissioni nocive costituiscono un limite al diritto di proprietà per cui si applicano forme di tutela come, appunto, il risarcimento del danno.
In tal senso, perciò, l’inibitoria si pone come rimedio necessario per una effettiva tutela ex art. 24 Cost., anche della persona, in modo da impedire la continuazione dell’attività di impresa, la quale deve pertanto cessare ove risulti ad essa nociva. In caso di abitazione, l’immissione incide sulla salute della persona e impedisce di godere in modo pieno e pacifico della proprietà, risolvendosi in una oggettiva privazione della facoltà d’uso, cosicché l’inscindibile rapporti tra persona e godimento della cosa permette di agire anche con l’azione inibitoria reale ex art. 844 c.c., oltre che con quella risarcitoria personale ex art. 2043 e 2059 c.c.. Principi cristallizzati, grazie alle pronunce della Cassazione, numeri 11915/2002 e 7875/2009.
Il rapporto diritto di proprietà e diritto alla salute in Europa
Fermo restando quanto sopra, considerando che il diritto di proprietà è fortemente tutelato dalle nostre leggi, non possiamo non prendere in considerazione anche l’art. del Protocollo CEDU, secondo il quale:
Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni.
Ma come questo principio può avere legami sugli effetti dell’inquinamento atmosferico relativo al valore immobiliare?
Con la pronuncia relativa al processo ILVA, la Suprema Corte ha riconosciuto l’esistenza di un danno da compromissione del diritto di proprietà, concretato dalla limitazione delle possibilità di godimento degli immobili ubicati nell’area, in ragione, segnatamente, della limitazione delle possibilità di arieggiamento degli appartamenti stante il penetrare in essi delle polveri. Risulta essere leso il diritto al “normale svolgimento della vita familiare all’interno della propria abitazione ed alla libera e piena esplicazione delle proprie abitudini di vita quotidiane”.
In tal senso, la pronuncia è in cardine con i diritti costituzionalmente garantiti e altresì tutelati dall’art. 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, come stabilito anche dalla Cassazione a Sezioni Unite nella sent. n. 2611/2017. Secondo i giudici, al diritto dei ricorrenti non possono opporsi le “esigenze della produzione”, né tanto meno il preuso. La Corte pertanto ha confermato la condanna del risarcimento del danno, pari al 20% del valore dell’immobile dei ricorrenti. Questo, costituisce logica di diritto e precedente anche per fattispecie analoghe, ove il diritto di proprietà risulta compromesso dalla presenza di inquinanti atmosferici.