Trattamento acque reflue urbane: Ue deferisce l’Italia
La Direttiva 91/271/CEE e le due violazioni italiane secondo la CGUE: la Sentenza del 19/07/2012, alla quale ha fatto seguito la Sentenza del 31/05/2018 per la reiterazione dell’inadempimento relativamente a 80 dei 109 agglomerati coinvolti; la Sentenza del 06/10/2021. Adesso, bisogna agire per mettersi in pari sulla condizione acque reflue.
8 Maggio 2024, 09:53
Sommario
Il pacchetto di infrazioni dello scorso 13 marzo 2024 si è presentato con una lettera di costituzione in mora per l’Italia, per non aver pienamente rispettato la direttiva sulle acque reflue urbane.
Il provvedimento
Secondo quanto riportato dal bollettino infrazioni relativamente al caso in questione (INFR(2017)2181), l’accento si pone sulle acque reflue non trattate correttamente. Queste possono comportare rischi per la salute umana e inquinare i laghi, i fiumi, il terreno e le acque costiere e sotterranee. La diffusa inosservanza della direttiva da parte dell’Italia, in base ai dati che il nostro Paese ha presentato all’UE, riguarda in totale 179 agglomerati italiani. Nel caso di 36 agglomerati l’Italia deve ancora garantire che siano disponibili sistemi di raccolta delle acque reflue (sistemi individuali o altri sistemi adeguati) e non tratta correttamente le acque reflue raccolte in 130 agglomerati. Per gli agglomerati che scaricano acque reflue in aree sensibili è necessario un trattamento delle acque reflue più rigoroso e in 12 loghi italiani, ciò non avviene. Infine, per 165 agglomerati l’Italia non garantisce che gli scarichi idrici soddisfino nel tempo le condizioni di qualità richieste. La Commissione ha inviato una lettera di costituzione in mora all’Italia nel giugno 2018 e successivamente un parere motivato nel luglio 2019. Nonostante alcuni progressi, molti agglomerati continuano a non rispettare gli obblighi della direttiva. La Commissione ritiene che gli sforzi profusi finora dalle autorità italiane siano stati, dunque, insufficienti.
Inadempimento reiterato: cos’è successo prima?
Il procedimento di infrazione e il deferimento dell’Italia avviene, dunque, in primis per inosservanza della direttiva dedicata alle acque reflue e poi per evidenti pregressi e sentenze di condanna. L’adeguamento al Green Deal Europeo e agli ambiziosi obiettivi contro la crisi climatica che si sono sviluppati recentemente, non possono non tener conto delle due sentenze che avevano già decretato sull’attività italiana in merito al trattamento e smaltimento delle acque reflue.
L’ambizione di proteggere e gestire al meglio le risorse idriche, infatti, si traduce per l’Italia in ben 4 procedure di infrazione, nessuna delle quali si somma all’altra, riguardando diverse violazioni di diversi obblighi. In particolare, quest’ultima procedura d’infrazione si va ad aggiungere alle procedure di infrazione INFR2004 (2034), INFR2009 (2034) e INFR2014 (2059), riguardando complessivamente più di 900 agglomerati italiani.
La Commissione ha inviato una lettera di costituzione in mora all’Italia nel giugno 2018 e successivamente un parere motivato nel luglio 2019.
L’Italia, peraltro, era già stata condannata dalla Corte di Giustizia europea nel 2012 (sentenza 19 luglio 2012, causa C-565/10) e deferita per la seconda volta dalla Commissione europea per una procedura di infrazione avviata nel 2004.
Dopo oltre sei anni di distanza dalla prima sentenza – secondo quanto osservato dalla Corte – il numero degli agglomerati non conformi si è ridotto da 109 a 74, ma è comunque grande il ritardo nel seguire le disposizioni comunitarie, che si applicano dal 31 dicembre 2000.
La sentenza Corte Giust. UE, Sez. I, 31 maggio 2018, causa C-251/17 ha imposto all’Italia una sanzione pecuniaria di 25 milioni di euro, più 30 milioni per ogni semestre di ritardo nella messa a norma di oltre 100 centri urbani o aree sprovvisti di reti fognarie o sistemi di trattamento delle acque reflue in violazione della direttiva di riferimento.
Come si è evoluta la violazione dell’Italia per non aver trattato adeguatamente le acque reflue?
Adesso, l’infrazione reiterata ha prodotto l’apertura di una nuova infrazione, ai sensi dell’art. 258 TFUE, il quale prevede che qualora lo Stato membro – in tal caso l’Italia – non si adegui ai “pareri motivati” comunitari – ma parliamo in tal caso di vere e proprio sentenze -, la Commissione possa inoltrare ricorso alla Corte di Giustizia europea, che, in caso di violazioni del diritto comunitario, emette una sentenza di condanna che può prevedere una sanzione pecuniaria (oltre alle spese del procedimento) commisurata alla gravità della violazione e al periodo di durata. Una procedura che l’Italia conosce bene, ma che non riesce ad arginare, per mancanza di strategia e attività adeguate a riformare il sistema di trattamento delle acque reflue.
“Secondo quanto stabilito dalla direttiva sulle acque reflue, gli Stati membri devono disporre di una rete fognaria per tutti gli agglomerati con almeno 2.000 abitanti. Se l’istituzione di una rete fognaria non è giustificata, in particolare perché comporterebbe costi eccessivi, è possibile utilizzare sistemi individuali o altri sistemi appropriati, a condizione che garantiscano lo stesso livello di protezione ambientale. Gli Stati membri devono inoltre garantire che gli scarichi provenienti dagli impianti di trattamento delle acque reflue urbane negli agglomerati con almeno 2.000 abitanti siano quantomeno conformi al livello di trattamento secondario (consistente nel trattamento del materiale organico nelle acque reflue urbane) prima di essere rilasciati nell’ambiente” – questo è quanto riporta e chiarisce il comunicato stampa che accompagna il bollettino relativo al pacchetto infrazioni di marzo 2024.
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Quali sono le possibili soluzioni per affrontare la mancanza di adeguatezza al trattamento delle acque reflue italiane?
È inevitabile che ci siano impatti negativi sull’ambiente e sulla biodiversità del paese: aumento dell’inquinamento idrico e distruzione degli ecosistemi acquatici. Gli impatti non riguardano solo l’ecosistema ambientale, ma anche la salute umana, nonché l’economia se teniamo anche conto dei danni economici derivanti dalle ingenti sanzioni derivanti da questo tipo di violazioni.
Il problema della carenza di adeguati sistemi di trattamento delle acque reflue in Italia comporta necessariamente diverse azioni da intraprendere con una certa urgenza.
Una possibile strategia è quella di potenziare le infrastrutture di depurazione. Questo implica investimenti per l’aggiornamento e l’ampliamento delle attuali infrastrutture di trattamento delle acque reflue, compresa la costruzione di nuove centrali di depurazione, al fine di garantire un trattamento adeguato prima dello scarico nell’ambiente. A questa azione è correlato il miglioramento delle reti fognarie, necessario per ristrutturare e potenziare le reti fognarie e ridurre le perdite d’acqua, garantendo un trasporto efficiente delle acque reflue verso le centrali di depurazione.
Nell’ambito del progresso tecnologico, si potrebbe inoltre pensare a sostenere la ricerca e lo sviluppo di tecnologie avanzate per il trattamento delle acque reflue, compresi sistemi innovativi che consentano di rimuovere inquinanti specifici in modo più efficace, così da migliorare i sistemi di monitoraggio e controllo per garantire il rispetto delle normative ambientali e individuare tempestivamente eventuali violazioni o malfunzionamenti negli impianti di depurazione.
Sarebbe poi opportuno coinvolgere attivamente le comunità locali nel processo decisionale e nell’implementazione delle soluzioni per il trattamento delle acque reflue, promuovendo la consapevolezza ambientale e incoraggiando comportamenti responsabili nell’uso dell’acqua e nel trattamento delle reflue, senza ignorare la possibilità di offrire incentivi finanziari alle aziende e alle autorità locali per migliorare le loro infrastrutture di trattamento delle acque reflue e conformarsi alle normative ambientali.
Promuovere programmi educativi e campagne di sensibilizzazione per informare i cittadini sull’importanza del trattamento delle acque reflue e sulle azioni che possono essere intraprese a livello individuale e collettivo per ridurre l’inquinamento idrico serve, poi, ad affrontare la carenza di adeguati sistemi di trattamento delle acque reflue e richiede un impegno a lungo termine da parte delle autorità, delle aziende e della comunità nel suo insieme. Proprio con riferimento all’impegno della cittadinanza, la causa collettiva Aria Pulita è uno strumento importante per poter intervenire subito e fare la nostra parte, da comuni cittadini, parte di una comunità, quella italiana, che in questo caso non sta facendo proprio una bella figura.