Evento imprevisto, secondo la Cassazione responsabile è il medico curante
05/02/2018
La struttura ospedaliera non può avere responsabilità nel caso in cui ad un paziente venga procurato un danno a causa di un errore di un medico curante libero professionista.
Questo non ha l’obbligo di effettuare diagnosi, cure e terapie, anche se in passato ha effettuato un esame per il paziente coinvolto. L’ospedale inoltre non può essere chiamato in causa se il danno non era prevedibile in relazione alla rapidità con cui è stato effettuato l’intervento che non avrebbe permesso scelte alternative.
È quanto stabilito con la sentenza n. 26518 del 2017 dalla Sezione Lavoro della Corte di Cassazione, la quale si è occupata del caso di un bambino che, a causa di difficoltà insorte durante il parto, è nato con una grave lesione del plesso brachiale destro, con esiti invalidanti permanenti. Secondo i genitori, che hanno presentato ricorso presso il Tribunale di Napoli, la colpa del fatto andava ascritta ai sanitari dipendenti della ASL in quanto «non seppero diagnosticare tempestivamente la macrosomia del feto» e «scelsero di conseguenza di far partorire la donna per via naturale».
Sia il Tribunale, con la sentenza n. 6902 del 14 giugno 2006, sia la Corte d’Appello, con sentenza n.1386 del 10 aprile 2013, rigettarono la domanda. La Corte d’Appello, nello specifico, ammise l’esistenza del nesso di causa tra il parto e la distocia di spalla del nato ma escluse la colpa dei sanitari, sul presupposto che «non costituì né imprudenza, né negligenza, né imperizia, la scelta di far avvenire il parto per via naturale».
A fondamento della decisione, la Corte d’Appello pose queste argomentazioni: «Non esisteva, all’epoca dei fatti, un esame sicuro per prevedere con certezza la macrosomia del feto; non vi era alcun dato clinico che consentisse ai sanitari di sapere se la donna avesse il diabete mellito (il quale è un indizio della macrosomia fetale); la donna aveva già avuto un parto senza problemi, all’esito del quale diede alla luce un bimbo del peso di quattro chili, e dunque non si poteva sospettare alcuna sproporzione tra le dimensioni del feto e il canale del parto; soprattutto, la donna si presentò in ospedale a membrana già rotta e a travaglio già iniziato, ed il parto avvenne soli 30 minuti dopo il ricovero: sicché, in questo tempo così breve, i sanitari non avrebbero potuto obiettivamente evidenziare alcuna anomalia nella progressione dell’espulsione».
Dopo la richiesta rigettata dalla Corte d’Appello, i ricorrenti sono ricorsi in Cassazione imputando all’ospedale la responsabilità di quanto accaduto, in quanto la donna si era precedentemente recata proprio in quella Asl per effettuare accertamenti di routine. La Cassazione ha confermato le sentenze precedenti, rilevando che al più una responsabilità poteva essere fatta valere sul medico curante per non aver consigliato in tempo alla donna di rinunciare al parto naturale in favore di quello cesareo. Secondo i giudici «Il massimo esigibile dal medico o dalla struttura specialistica chiamati ad eseguire un esame diagnostico, oltre il dovere di eseguire quest’ultimo con diligenza, è l’obbligo di informare il paziente circa l’emergere di sintomi dubbi od allarmanti: ma nel presente giudizio il profilo di colpa consistito nell’eventuale violazione del diritto della gestante all’informazione non è mai stato tempestivamente prospettato, come già ritenuto dalla Corte d’Appello con statuizione passata in giudicato».