Quali sono i problemi dei medici italiani? Ecco cosa ne pensa la FNOMCeO
26/02/2019
Dalla carenza di camici bianchi all’aumento del numero di posti nelle scuole di specializzazione e nel test di ingresso alle facoltà di medicina. Dalla formazione del personale sanitario al gap che esiste tra l’offerta sanitaria del nord a quella del sud Italia.
Sono tanti i problemi del Servizio sanitario nazionale che Giovanni Leoni, Vicepresidente della FNOMCeO, elenca ai microfoni di Sanità Informazione. Problemi che vanno affrontati e risolti una volta per tutte per migliorare, allo stesso tempo, sia il livello dell’offerta sanitaria ai pazienti da parte del Ssn, sia le condizioni in cui si vedono costretti ad operare tantissimi professionisti sanitari.
Perché se il fine ultimo del Servizio sanitario è quello di garantire alti standard qualitativi ai cittadini, non si può non passare per un miglioramento delle condizioni lavorative del personale medico. Tra turni massacranti, contratti precari e stipendi non all’altezza dei Paesi esteri, il Ssn italiano rischia di risultare sempre meno attrattivo agli occhi dei nostri camici bianchi.
“Noi siamo per un Servizio sanitario nazionale equo e solidale – ha dichiarato il Vicepresidente Leoni –. Lo abbiamo celebrato di recente nei festeggiamenti per i 40 anni e speriamo si lavori in maniera tale da colmare sempre di più le disuguaglianze tra nord e sud, così che tutti possano essere uguali davanti alla possibilità di avere una risposta dallo Stato in termini di salute”. Il Veneto, da esempio, ha “300 medici in meno sui 7mila previsti per quanto riguarda la dipendenza ospedaliera. Ciò significa – continua Leoni – avere un’assistenza sanitaria in deficit. Bisogna colmarlo perché se paragoniamo questo dato al Sistema nazionale è presumibile che manchino, in questo momento, tra i 10mila e i 20mila medici dipendenti per quanto riguarda la controparte specialistica per le liste d’attesa. È questo un gap che deve essere colmato a livello nazionale aumentando il numero di iscritti alle scuole di specializzazione, in modo tale da ottenere un turnover adeguato di specialisti”.
Le soluzioni? “Allargare anche il Numero chiuso vuol dire avere 20-30mila medici che saranno pronti tra almeno sei anni, mentre in questo momento ci sono almeno 10mila medici laureati ma non specializzati e che devono concludere il loro percorso formativo. Dobbiamo puntare su questi per cominciare a colmare il gap dell’offerta specialistica”.
Per quanto riguarda invece le differenze tra nord e sud e i “viaggi della speranza” dei pazienti che spesso e volentieri si trasferiscono in altre Regioni per essere curati, secondo Leoni “è necessario un ‘Piano Marshall’ per quanto riguarda il sud. Bisogna adottare criteri standard per quanto riguarda ospedali, farmaci, formazione del personale e diffusione di quelli che sono i presidi con adeguate specialità anche al sud. Se ciò non accade acuiremo ancora di più la differenza tra le parti, perché è chiaro che ci saranno alcune regioni che avranno una concentrazione di investimenti per attirare ancora di più i pazienti, mentre altre regioni saranno messe peggio. Questo non è un sistema equo. È un sistema che, probabilmente, sul piano economico potrebbe anche funzionare – conclude Leoni –, ma noi non lo consideriamo adeguato dal punto di vista etico. Per questo dobbiamo cercare di colmare le disuguaglianze”.