Turni massacranti: inevitabili licenziamenti e dimissioni
13/09/2023
I turni massacranti come “giusta causa” per motivi di dimissioni o licenziamenti, rientranti anche nella fattispecie del lavoro da stress.
Sommario
È tempo di grandi dimissioni. In tutti i campi, nel mondo, l’80% della popolazione occupata sembra odiare il proprio lavoro. Un sondaggio della Gallup già prima dell’era pandemica lo aveva predetto, comparando i dati di 140 paesi del globo. Poi è scoppiata la pandemia e solo negli USA a licenziarsi sono stati in 50 milioni, mentre in Italia le dimissioni volontarie hanno superato la soglia dei 2 milioni.
A cambiare è stata prima di tutto la mentalità: sulla base del sacrificio a cui sono stati sottoposti gli operatori sanitari che hanno incarnato l’idea del “lavoratore essenziale”, si è pensato che nessuna persona dedita al lavoro – anche se questo ha un peso sociale – vale la sopravvivenza e che al lavoratore deve essere riconosciuto un adeguato riconoscimento, economico e sociale.
Tutti principi di diritto che, di certo, esistevano già in società ma che non erano stati ancora considerati così sostanziali e applicabili dalla società civile.
“Non c’è solo il lavoro nella vita”: una convinzione emergente
A raccontarcelo sono i fatti di cronaca, soprattutto con riguardo ai professionisti sanitari. “Oltre 2000 tra infermieri e OSS hanno dato le dimissioni dal SSN nel 2021”; “Dimissioni e licenziamenti: un aumento rilevante”; “Pronto soccorso, la fuga dei giovani medici”; e altri innumerevoli titoli di giornale di questo tenore raccontano la realtà italiana che negli ultimi tre anni ha visto la fuga degli operatori sanitari dal nostro SSN.
La realtà? Lo specchio della sanità lasciata senza risposte
Il fenomeno ritrae un settore, quello della sanità, lasciato senza risposte. Condizioni di lavoro, mancanza di retribuzione adeguata, carenza di personale, turni massacranti anche post pandemia: sono queste le cause individuate alla base della fuga dei nostri professionisti sanitari e resi noti ai più anche dai sindacati. I dai sulle dimissioni dal 2020 al 2022 spaventano, ma anche quelli che riguardano gli specializzandi: il 50% dei contratti d’emergenza-urgenza del concorso di specializzazione non viene assegnato perché non viene scelto. I motivi? Turni massacranti per mancanza d’organico, retribuzioni più basse rispetto al resto d’Europa, rischio più alto di contenziosi medico legali e aggressioni, poca flessibilità nell’attività libero professionale. Tra le ultime notizie, 400 camici bianchi dimessi soltanto a Modena.
Qual è la differenza tra licenziamenti e dimissioni?
Il grado di emergenza è impareggiabile e sia che siano licenziamenti, sia che si tratti di dimissioni, la situazione pare comunque essere gravissima.
Sia il licenziamento che le dimissioni pongono fine ad un rapporto di lavoro. Il licenziamento è un atto di interruzione del rapporto di lavoro da parte del datore di lavoro, motivato da ragioni attinenti al datore stesso o a motivi disciplinari. Le dimissioni, invece, sono un atto di interruzione del rapporto di lavoro da parte del lavoratore che decide di porre fine al rapporto.
La giusta causa, il giustificato motivo soggettivo, il giustificato motivo oggettivo e collettivo differenziano i tipi di licenziamento, il quale è regolato con la legge n. 604/1966 e la n. 300/1970 ovvero lo Statuto dei lavoratori.
Le dimissioni, invece, prevedono che in maniera spontanea si ponga fine al rapporto di lavoro e si tratta di un’azione unilaterale del lavoratore senza che vi sia una ragione specifica attribuibile al datore di lavoro. Anche le dimissioni vanno comunque presentate in forma scritta e con congruo preavviso. Il nostro ordinamento non prevede le c.d. “dimissioni in bianco” ossia quelle programmate in anticipo o estorte, ma devono essere frutto di una libera scelta del lavoratore.
Un altro aspetto importante è che in caso di licenziamento, al lavoratore spetta la NASPI cioè l’indennità di disoccupazione. Ci sono dei casi in cui questa è prevista anche in caso di dimissioni. Quando avvengono per giusta causa (ad esempio per ritardo o mancato pagamento dello stipendio), per mobbing, abusi, altri comportamenti gravi e oggettivi. La normativa di riferimento è l’art. 2118 c.c..
Licenziamento o dimissioni per turni massacranti
Questo tipo di interruzione di lavoro, sia nell’uno che nell’altro caso, rientra in quelli per “giusta causa”. In questo caso, infatti, il lavoratore può dare le dimissioni senza preavviso al datore di lavoro e, in caso di contratto a tempo determinato, può recedere prima della scadenza senza preavviso. In tal caso, va da sé che al lavoratore spetterà la NASPI. Nel caso in cui il datore di lavoro neghi l’esistenza di una giusta causa alla base del recesso del lavoratore e si rifiuti così di versare l’indennità sostitutiva del preavviso, il lavoratore potrà agire in giudizio per chiedere l’accertamento della giusta causa delle dimissioni, e vedersi riconosciuto il diritto a percepire tale indennità, oltre che per la restituzione dell’importo eventualmente trattenuto a titolo di mancato preavviso.
Rientrano nella nozione di “giusta causa”:
- mancato o ritardato pagamento della retribuzione;
- omesso versamento dei contributi (purché non sia stato a lungo tollerato dal lavoratore);
- comportamento ingiurioso del superiore gerarchico verso il dipendente;
- pretesa del datore di lavoro di prestazioni illecite da parte del lavoratore;
- mobbing;
- aver subito molestie sessuali nei luoghi di lavoro;
- modificazioni peggiorative delle mansioni lavorative;
- spostamento del lavoratore da una sede all’altra senza che vi siano “comprovate ragioni tecniche organizzative e produttive” come richiesto dall’articolo 2103 del codice civile.
I turni massacranti, tra l’altro, rientrano nei casi di stress a cui sono sottoposti i dipendenti e per i quali è previsto che il dipendente si assenti anche a tempo indeterminato, senza essere soggetto ai limiti imposti dal CCNL per il massimo di malattia oltre il quale scatta il licenziamento.
Tra l’altro, questo è stato ribadito innumerevoli anche dalla Corte di Cassazione. Secondo il Tribunale, il lavoratore ha diritto al risarcimento ogniqualvolta sia stato soggetto a turni di lavoro eccessivi dal punto di vista psicofisico. In pratica, ciò accade quando la causa della malattia è il superlavoro, purché non sia causato dall’atteggiamento personale del dipendente a “fare le cose” o dalla sua ansia, ma da un comportamento doloso o negligente del datore di lavoro o, nel caso di cui stiamo parlando, dal sistema.
Ogni datore di lavoro ha il dovere primario di evitare di superare la normale tolleranza a danno dei propri dipendenti (“normale tolleranza” deve intendersi secondo le regole della comune esperienza). Pertanto, per ricevere il compenso per gli “straordinari” occorre riconoscere la responsabilità del datore di lavoro.
Una domanda soltanto, a questo punto è d’obbligo se consideriamo l’importanza e il valore della professione svolta dagli operatori sanitari: e se fosse assolutamente necessario, per la carenza di organico, il loro superlavoro? Solo cambiando il sistema si può correre ai ripari.
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Cristina Saja, giornalista e avvocato