Un medico su 2 in Italia viene aggredito, il 70% è donna. La responsabilità ricade anche sulle strutture sanitarie se non tutelano dipendenti
11/12/2018
Consulcesi & Partners, il network legale d’avanguardia nato sulla scia delle ventennali vittorie di Consulcesi nei tribunali di tutta Italia al fianco dei medici, spiega come ci sia una responsabilità concreta del datore di lavoro pubblico o privato che non tuteli adeguatamente i camici bianchi
Secondo un’indagine della Federazione nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e Odontoiatri (FNOMCeO), solo nell’ultimo anno il 50% dei medici e operatori sanitari sono stati oggetto di aggressioni, e il 4% è stato vittima di violenza fisica. Gli episodi di violenza si susseguono in tutta Italia, e i dati FNOMCeO evidenziano come più del 56% di chi ha subito violenza ritiene che l’aggressione potesse essere prevista, anche se il 78% degli intervistati non sa se esistano o meno procedure aziendali per prevenire o gestire gli atti di violenza. Ad allarmare è anche il dato di genere: il 70% delle aggressioni contro gli operatori sanitari, secondo dati Inail, colpisce le donne, un fenomeno che deve essere portato all’attenzione dell’opinione pubblica soprattutto all’indomani della Giornata mondiale contro la violenza sulle donne e della campagna di sensibilizzazione “Non è normale che sia normale“.
“Al fianco delle consuete iniziative, penali e civili, che di regola vedono imputato solo l’aggressore – spiega Consulcesi & Partners, network legale d’avanguardia nato sulla scia delle ventennali vittorie di Consulcesi nei tribunali di tutta Italia al fianco dei medici – la giurisprudenza ha delineato la possibilità di individuare una responsabilità concreta proprio a carico del datore di lavoro pubblico o privato che, non garantendo l’incolumità del lavoratore, concorre a generare situazioni che agevolano fenomeni di aggressione da parte di pazienti o dei loro familiari”.
In particolare, la sentenza 14566/17 della Corte di Cassazione, in riferimento al caso di un infermiere aggredito mentre prestava servizio al Pronto Soccorso che aveva chiesto la condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno biologico, morale e professionale, ha sancito che proprio al datore di lavoro spetta “l’onere di provare di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno, ovvero di aver adottato tutte le cautele necessarie per impedire il verificarsi dell’evento medesimo”.
“In sostanza – sottolinea Consulcesi & Partners – il lavoratore che lamenti di aver subìto, a causa dell’attività lavorativa svolta, un danno alla salute, ha l’onere di provare l’esistenza di tale danno, come pure la nocività dell’ambiente di lavoro, nonché il nesso tra l’uno e l’altro elemento. Una volta dimostrato ciò, sarà poi il datore di lavoro a dover dimostrare di aver fatto tutto il possibile per evitare il realizzarsi dell’evento, ovvero di aver adottato le cautele più adeguate per evitare che il proprio lavoratore venga incolpevolmente esposto ad aggressioni di terzi durante lo svolgimento della propria prestazione lavorativa”.
La responsabilità dell’Azienda Sanitaria, quindi, è una conseguenza della mancata protezione del lavoratore che non si riscontra solo nell’applicazione delle norme di sicurezza previste dalla Legge, ma anche nella prevenzione legata alla specificità e peculiarità di alcune mansioni lavorative.
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