Nuovo incarico di dirigente ma senza aumento di retribuzione: l’orientamento della Cassazione
17/05/2023
Per la Cassazione lo stipendio di un dirigente medico è omnicomprensivo: nulla esclude, però, il risarcimento del danno per la mancata graduazione delle funzioni dirigenziali. La giurisprudenza di merito e le valutazioni della Suprema Corte nei casi concreti.
Sommario
Il dott. Tizio svolge le funzioni di dirigente medico legale di primo livello presso l’Ufficio sanitario di un capoluogo siciliano. Nel periodo compreso tra il dicembre 1999 e il luglio 2001 gli vengono affidate le funzioni di dirigente medico legale di secondo livello, quale primario responsabile e coordinatore sanitario del gabinetto diagnostico dell’Ufficio sanitario del medesimo capoluogo siciliano presso cui svolgeva le mansioni precedenti.
Nonostante lo scatto di livello, al dottor Tizio viene erogato sempre lo stesso stipendio, senza alcuna maggiorazione economica per le mansioni superiori svolte. Il dott. Tizio si rivolge quindi al Tribunale per chiedere il pagamento della somma dovuta dal datore di lavoro a titolo di differenza retributiva, pari a circa ventimila euro.
Il Tribunale, ritenendo che il dottor Tizio abbia ragione, emette sentenza in suo favore, riconoscendogli le somme dovute per le mansioni superiori svolte negli anni 1999-2001. La sentenza viene appellata dall’INPS, ma la Corte d’appello rigetta il ricorso, confermando perciò il diritto del Dr. Tizio ad ottenere il pagamento della maggiorazione retributiva. L’INPS si rivolge, a questo punto, alla Corte di Cassazione, evidenziando che sia il Tribunale che la Corte d’Appello avrebbero applicato in maniera erronea sia la normativa sul pubblico impiego che quella sui medici del Servizio Sanitario Nazionale, oltre che la vigente contrattazione collettiva (EPNE).
Quale normativa è applicabile?
In generale, secondo l’art. 2103 del codice civile, qualunque lavoratore che venga adibito a mansioni superiori rispetto a quelle per cui è assunto, ha diritto al trattamento corrispondente all’attività svolta e l’assegnazione diviene definitiva, salvo diversa volontà del lavoratore, ove la medesima non abbia avuto luogo per ragioni sostitutive di altro lavoratore in servizio, dopo il periodo fissato dai contratti collettivi o, in mancanza, dopo sei mesi continuativi.
L’art. 24 del d.lgs. n. 29/93, contenente le norme generali sul pubblico impiego, stabilisce che la retribuzione del personale con qualifica di dirigente è determinata dai contratti collettivi per le aree dirigenziali, e prevede che il trattamento economico accessorio è correlato alle funzioni attribuite, alle connesse responsabilità e ai risultati conseguiti.
Sia il d.lgs. n. 29/93 che il successivo d.lgs. n. 165/2001, entrambi all’articolo 24, fissano inoltre il principio della onnicomprensività della retribuzione dei dirigenti pubblici. In poche parole, la retribuzione di un dirigente pubblico così come determinata dai contratti collettivi per le aree dirigenziali, comprende al suo interno:
- tutte le funzioni e i compiti attribuiti al dirigente,
- qualsiasi incarico conferito al dirigente in ragione del suo ufficio,
- qualunque incarico conferito dall’amministrazione presso cui il dirigente presta servizio,
- qualsiasi incarico conferito al dirigente su designazione dell’amministrazione presso cui presta servizio.
La qualifica di un dirigente pubblico, secondo la normativa vigente, non rappresenta più – come invece accadeva in passato – una posizione lavorativa espressione di uno scatto di carriera caratterizzato dallo svolgimento di determinate mansioni. Il dirigente pubblico, oggi, è solo un soggetto che ha le caratteristiche professionali idonee per ricoprire un incarico dirigenziale a termine, che viene conferito dal datore di lavoro con un espresso atto di gestione.
Questa norma, tuttavia, cozza con il principio costituzionale in virtù del quale la retribuzione deve essere proporzionata alla quantità e qualità del lavoro prestato (art. 36 Costituzione). Il principio dell’omnicomprensività dello stipendio del dirigente è poi contraddetto anche dall’art. 52 del d.lgs. n. 165/2001, che prevede il diritto del lavoratore adibito a mansioni superiori:
- ad essere definitivamente inquadrato nel livello successivo o comunque a vedersi riconosciuto il c.d. “scatto di carriera”;
- ad essere retribuito con il trattamento economico previsto per quella determinata qualifica.
Questa “confusione” normativa è alla base della grande differenza, in materia di retribuzione per mansioni superiori, tra le sentenze di primo e secondo grado e quelle della Cassazione.
I giudici di merito (primo e secondo grado) tendono, infatti, ad accogliere la domanda di un dirigente di essere retribuito a mansioni superiori, sulla base della contraddittorietà della disciplina e comunque del principio per cui qualunque lavoratore debba essere retribuito con il trattamento economico previsto per l’attività che svolge.
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Cosa dice l’orientamento in tema di dirigenza medica
Secondo la sentenza in commento, in tema di dirigenza medica e veterinaria del Servizio Sanitario Nazionale, per il periodo successivo all’entrata in vigore del Contratto Collettivo del 08/06/2000 non configurano lo svolgimento di mansioni superiori né la sostituzione nell’incarico di dirigente medico di struttura, né la copertura dell’incarico vacante.
Al sostituto non spetterebbe il trattamento accessorio del dirigente che va a sostituire, ma solo la cosiddetta indennità sostitutiva prevista dall’art. 18 del Contratto Collettivo del 8 giugno 2000.
Nel caso esaminato dalla Corte di Cassazione, la normativa collettiva applicabile è costituita dall’art. 94 del contratto collettivo EPNE del 11 ottobre 1996 e dal successivo accordo attuativo dell’art. 94, sottoscritto il 14 aprile 1997. Questa normativa divide i medici previdenziali, gli altri medici e i veterinari in due fasce funzionali.
Alla prima fascia funzionale corrispondono:
- funzioni di supporto e collaborazione, con riconoscimento di precisi ambiti di autonomia e responsabilità nella struttura di appartenenza,
- funzioni di coordinamento e/o di direzione di strutture di minore complessità, da attuarsi nel rispetto degli obiettivi e delle priorità stabilite dalla dirigenza responsabile della struttura e delle direttive ricevute.
Alla seconda fascia funzionale, invece, corrispondono:
- incarichi apicali di coordinamento e organizzazione dell’attività sanitaria e conseguenti direttive al personale ivi operante;
- incarichi apicali di direzione della struttura complessa preposta all’attività sanitaria, da attuarsi mediante direttive a tutto il personale ivi operante.
La seconda fascia funzionale richiede la presenza di un minimo di quindici medici in organico.
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La soluzione del caso
La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 22047 del 22 luglio 2022, nel risolvere il caso, nonostante il contratto collettivo di riferimento fosse diverso rispetto a quello solitamente richiamato nei precedenti giurisprudenziali, ha ritenuto di sovvertire il giudizio unanime dei giudici di primo e secondo grado, ritenendo che non configurano lo svolgimento di mansioni superiori né la sostituzione nell’incarico di dirigente medico di struttura, né la copertura dell’incarico vacante.
Ciò proprio perché sia la sostituzione che la copertura dell’incarico vacante avvengono nell’ambito del ruolo e livello unico della dirigenza sanitaria, così come determinata dalla contrattazione collettiva (prima e seconda fascia). In applicazione di questo principio, la Corte di Cassazione ha ritenuto che i giudici di primo e secondo grado abbiano errato nel riconoscere le differenze retributive al Dott. Tizio, annullando le due precedenti sentenze e rigettando la domanda originaria del sanitario.
In pratica, in virtù di questa ordinanza, il Dott. Tizio, dirigente medico di livello 1, non ha diritto ad alcuna remunerazione ulteriore per l’incarico temporaneo di dirigente medico di livello 2 svolto nel periodo 1999-2001.
Conclusioni
È bene precisare che il caso del Dott. Tizio è estremamente particolare: in materia legale, infatti, è estremamente rischioso e sconsigliato appellare una “doppia conforme”, cioè una sentenza che, sia in primo che in secondo grado, si sia espressa a favore di una delle parti. Le norme che regolano la procedura, infatti, impediscono la proposizione di un ricorso del genere, salvo che per dei motivi estremamente tecnici, come, ad esempio:
- l’essersi rivolto al giudice sbagliato o a quello non competente per legge,
- aver errato nell’applicazione delle norme,
- nullità della sentenza.
Evidentemente, il ricorso dell’Azienda Sanitaria era scritto in maniera tale da aggirare tutti questi divieti, altrimenti non si spiega il motivo per cui la Corte lo abbia esaminato, dato che solitamente dichiara l’inammissibilità di ricorsi per doppia conforme.
Esistono centinaia di sentenze di merito, definitive perché mai impugnate dalle Aziende Sanitarie, di senso letteralmente opposto rispetto a quella che ha visto soccombere lo sfortunato dottor Tizio. Una goccia nel mare, quindi, non deve far desistere il dirigente che sia stato adibito a mansioni superiori dal chiedere il riconoscimento del suo sacrosanto diritto ad essere retribuito per questo tipo di lavoro.
Unitamente al diritto alla retribuzione, il sanitario – quindi anche lo sfortunato Dott. Tizio – può sempre e comunque agire in giudizio per chiedere il risarcimento del danno (da perdita di chance) derivante dall’inadempimento, da parte dell’Azienda Sanitaria, dell’obbligo di attivare e portare a compimento le procedure necessarie per graduare le funzioni dei dirigenti medici, così come previsto dalla contrattazione collettiva (Cassazione lavoro n. 8663/2023).
Le Aziende sanitarie che, ad oggi, non hanno concluso le procedure relative alla graduazione delle funzioni e al riconoscimento della retribuzione di posizione variabile sono innumerevoli, a discapito dei sanitari. Rivolgersi a un avvocato specializzato in questa materia è fondamentale per rivendicare i propri diritti ed evitare che vengano ingiustamente calpestati.
Manuela Calautti, avvocato