Di recente, la Corte di Cassazione è intervenuta sulla questione dell’omologazione degli autovelox, utilizzati dalle Autorità per i rilievi sul superamento dei limiti di velocità, definendo in particolare i requisiti che la distinguono dall’approvazione e che, in caso di assenza, rendono nulla la contravvenzione elevata nei confronti dell’automobilista.
La disciplina generale dei limiti di velocità
I limiti di velocità sulle nostre arterie stradali ed autostradali soggiacciono ai precetti imposti dall’art. 142 del codice della strada che, in estrema sintesi, stabilisce che per garantire la sicurezza della circolazione e la tutela della vita umana la velocità massima non può superare:
- 130 km/h per le autostrade,
- 110 km/h per le strade extraurbane principali,
- 90 km/h per le strade extraurbane secondarie e per le strade extraurbane locali,
- 50 km/h per le strade nei centri abitati.
Vengono poi consentite apposite deroghe, rispetto ai limiti suindicati, tutte le volte in cui l’amministrazione competente, previa individuazione o meno di caratteristiche strutturali e funzionali idonee, voglia adottare un provvedimento che introduca un aumento od una diminuzione, installando apposita segnaletica sul tratto viario individuato, e comunque nel rispetto delle direttive ministeriali vigenti.
Le caratteristiche degli autovelox
Sempre all’art. 142 cds, ma al comma 6, vengono individuati i criteri generali per la rilevazione dell’osservanza dei limiti di velocità, individuando come fonte di prova privilegiati l’uso di specifiche apparecchiature (vd. autovelox) regolarmente omologati, le registrazioni del cronotachigrafo installati in dotazione su specifici automezzi e, infine, i documenti relativi ai percorsi autostradali.
Con riferimento alle postazioni di controllo sulla rete stradale, il comma 6 bis specifica che queste devono essere ben visibili e preventivamente segnalate, mediante l’utilizzo di cartelli o di dispositivi di segnalazione luminosi, così come definiti dalle norme regolamentari, nonché utilizzate in conformità alle modalità stabilite dall’apposito decreto ministeriale vigente al momento della rilevazione.
Il caso
La questione giunta all’esame della Corte di Cassazione traeva quindi origine dall’impugnativa, proposta da un Comune soccombente, della sentenza del Giudice di Pace che, accogliendo il ricorso presentato da un automobilista avverso un verbale di accertamento di violazione dei limiti di velocità, aveva annullato il provvedimento sanzionatorio.
Anche in secondo grado, le motivazioni addotte dalla PA non trovavano accoglimento, ritenendo il Tribunale di dover confermare la decisione del magistrato di prossimità, atteso come la rilevazione fosse stata eseguita con una strumentazione non preventivamente omologata ai sensi di legge, ma soltanto approvata.
Impugnato il rigetto davanti alla Corte di Cassazione, la questione veniva quindi incentrata sulla risoluzione, in termini giuridici, della prospettata equipollenza della procedura di omologazione rispetto a quella di approvazione, da cui veniva dedotta la conformità rilievo eseguito dalle Autorità mediante lo strumento concretamente a disposizione.
La decisione della Corte
Con l’ordinanza n. 10505/24, la Corte non ha inteso avvalorare la tesi, sostenuta dall’amministrazione comunale ricorrente, per cui l’equipollenza fra le due procedure, omologazione ed approvazione, dello strumento di rilevazione sarebbe derivata dall’assenza di una specifica disciplina normativa al riguardo.
Premesso che l’apparecchio utilizzato per la rilevazione di velocità era certamente approvato, ma non omologato, si è quindi osservato come la contestata distinzione trovasse fondamento legislativo già nel richiamato art. 142, comma 6, c.d.s. che, difatti, si riferisce espressamente ad “apparecchiature debitamente omologate”.
Inoltre, il successivo art. 192 del regolamento di esecuzione e di esecuzione del c.d.s. disciplina, separatamente, le procedure di controllo ed omologazione, così confermando la distinzione esistente in quanto portatrici di caratteristiche, natura e finalità diverse.
È, quindi, condivisibile – afferma la Corte - la motivazione della sentenza impugnata, laddove ha operato la distinzione tra i due procedimenti di approvazione e omologazione del prototipo, siccome aventi caratteristiche, natura e finalità diverse fra loro.
Secondo la pronuncia di legittimità, mentre l’omologazione ministeriale autorizza la riproduzione in serie di un apparecchio testato in laboratorio, con attribuzione della competenza al Ministero per lo sviluppo economico, l’approvazione consiste invece in un procedimento che non richiede la comparazione del prototipo con caratteristiche ritenute fondamentali o con particolari prescrizioni previste dal regolamento.
La procedura di omologazione farà giurisprudenza
Da ciò, si comprende come la procedura di omologazione mantenga una funzione propriamente tecnica e di verifica della funzionalità della strumentazione utilizzata e che, peraltro, costituisce il punto nevralgico della prova richiesta all’amministrazione tutte le volte in cui l’utente formuli opposizione nei riguardi della contravvenzione elevata.
La Corte ha altresì ricordato come, anche di recente, sia stato ribadito l’onere del magistrato, in caso di contestazione dell’affidabilità dell’apparecchiatura di rilevazione della velocità, di verificare l’effettiva esecuzione degli accertamenti tecnici, rintracciando nel materiale probatorio reso disponibile dall’amministrazione il deposito o meno delle certificazioni di omologazione, a nulla rilevando quanto riportato nel verbale.
Confermata pertanto l’assenza del certificato di omologazione rispetto all’apparecchiatura utilizzata dalle Autorità per la rilevazione dell’eccesso di velocità, la Corte ha quindi respinto il ricorso presentato, trovando così conferma la pronuncia di annullamento del verbale di contestazione, con conseguente liberazione dell’automobilista da qualsiasi onere a suo carico.