Demansionamento sul lavoro: guida legale per tutelarsi

Il lavoratore ha il diritto di essere adibito alle mansioni lavorative per cui è stato assunto: se viene illegittimamente demansionato, può rivolgersi al Tribunale per chiedere il ripristino delle sue mansioni, nonché il risarcimento del danno. In questa guida tutto ciò che devi sapere su come difenderti dal demansionamento, con uno speciale focus finale sugli infermieri.

Sommario

  1. 1 - Il demansionamento: cos’è
  2. 2 - Cosa fare se si è vittima di un demansionamento illegittimo
  3. 3 - La prova del demansionamento
  4. 4 - Demansionamento e mobbing: qual è la differenza
  5. 5 - Il demansionamento dell’infermiere

1 - Il demansionamento: cos’è

Il lavoratore deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto, oppure a quelle che corrispondono all’inquadramento superiore che abbia successivamente acquisito, o a mansioni che siano riconducibili allo stesso livello e categoria legale di inquadramento delle ultime effettivamente svolte. Questo significa che se, ad esempio, un medico viene assunto per svolgere l’attività di ginecologo, non gli possono essere assegnate mansioni di ostetrico, ma potrà esercitare solo mansioni di pari categoria o di livello superiore (ad esempio il ruolo di dirigente del reparto).

Il datore di lavoro può legittimamente adibire il lavoratore a mansioni che corrispondono ad un livello di inquadramento inferiore, purché rientranti nella medesima categoria legale, solo nei seguenti casi:

1)           quando vi sia una reale modifica degli assetti organizzativi dell’azienda ospedaliera o della clinica privata, che possano avere incidenza sulla posizione del lavoratore,

2)           quando ciò sia previsto dalla contrattazione collettiva.

In tali casi il cambiamento di mansioni deve essere comunicato per iscritto, a pena di nullità, e il lavoratore ha comunque diritto a conservare il livello di inquadramento e il trattamento retributivo precedentemente dovuto.

L’attribuzione di mansioni inferiori, oltre che derivare da una scelta unilaterale del datore di lavoro, può scaturire da un accordo tra le parti (il cosiddetto patto di declassamento) nei casi in cui le mansioni inferiori vengano attribuite per:

-             conservare il posto di lavoro anziché essere licenziato,

-             conseguire professionalità diverse rispetto al lavoro svolto,

-             migliorare le condizioni di vita del lavoratore e/o del suo nucleo familiare.

In tali casi, la stipula dell’accordo deve avvenire in una sede protetta per il lavoratore, come la Commissione provinciale di Conciliazione (istituita presso la Direzione territoriale del lavoro), oppure in sede sindacale, ovvero davanti a una commissione di certificazione istituita presso le Direzioni territoriali del lavoro. Dato che il lavoratore, rispetto al datore di lavoro, è comunque una parte debole del contratto, nell’ipotesi in cui si concordi la stipula di un patto di declassamento ha diritto a farsi assistere dal rappresentante della sua associazione sindacale oppure da un avvocato o da un consulente del lavoro.

Nei casi sopra descritti, essendo assentiti dalla legge, al lavoratore adibito a mansioni inferiori è garantito il mantenimento della retribuzione relativa all’inquadramento precedente.

Al di fuori di tali ipotesi, quando il lavoratore è adibito a mansioni inferiori, tale condotta del datore di lavoro è da qualificarsi come illegittima e viene definita, in gergo tecnico, demansionamento. La condotta demansionante, al di fuori delle ipotesi espressamente autorizzate dalla legge (contrattazione collettiva o modifica degli assetti organizzativi aziendali), è degradante per il lavoratore, perché va a minare la sua dignità e la sua capacità professionale, proprio a causa dell’assegnazione di mansioni che non sono commisurate al ruolo per cui è stato assunto.

Nel caso in cui il lavoratore venga illegittimamente demansionato, ha diritto a chiedersi riconosciuta la qualifica corretta mediante un’azione giudiziaria, oppure può decidere di dimettersi per giusta causa – se il demansionamento rappresenta un ostacolo alla prosecuzione del rapporto di lavoro – nonché a chiedere il risarcimento per i danni subiti.

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Scopri cos’è il demansionamento e come si differenzia dal mobbing, e quali tutele adottare quando è l’infermiere ad esserne la vittima

2 - Cosa fare se si è vittima di un demansionamento illegittimo

Se un lavoratore ritiene di essere illegittimamente vittima di demansionamento, deve immediatamente rivolgersi a dei professionisti del settore – come quelli del team Consulcesi – per concordare la strategia mirata da adottare, personalizzata in base alle condotte attuate dal datore di lavoro.

Di base, è bene ricordare che verba volant, scripta manent, per cui è opportuno sin da subito contestare al proprio datore di lavoro, per iscritto e con mezzi che forniscano la prova dell’avvenuta ricezione (come una raccomandata a.r. o una p.e.c.), ogni illegittima attribuzione di mansioni che non siano inerenti alla propria categoria professionale o comunque il ruolo assegnato in base al contratto di lavoro e alla contrattazione collettiva.

Nelle lettere di contestazione è opportuno riservarsi ogni azione legale, anche ai fini del risarcimento dell’eventuale danno subito, nonché chiedere il ripristino dello status quo ante, con riassegnazione alle mansioni per le quali si è stati assunti.

Se le lettere di contestazione non riescono a far desistere il datore di lavoro dalle proprie condotte illegittime, il lavoratore può rivolgersi al Tribunale del luogo, in funzione di giudice del lavoro, per chiedere il ripristino delle sue mansioni e il risarcimento del danno.

I tempi di un giudizio del lavoro sono nettamente inferiori rispetto a quelli di un giudizio ordinario, proprio per la particolare natura dei diritti in contestazione; naturalmente, per poter presentare un ricorso è necessario rivolgersi a un avvocato, al quale dovrà essere tempestivamente consegnata tutta la documentazione inerente il proprio contratto di lavoro e le mansioni inferiori illegittimamente assegnate, con indicazione dei testimoni che possano confermare le illegittime condotte del datore di lavoro (ad esempio i colleghi di lavoro).

Consulcesi mette a disposizione dei propri iscritti un pool di avvocati specializzati nelle controversie giuslavoristiche per aiutarli e assisterli nei momenti bui della vita lavorativa, come, appunto, un demansionamento.

3 - La prova del demansionamento

Come abbiamo spiegato poc’anzi, nell’ipotesi – molto comune – in cui un lavoratore venga impiegato, in maniera costante, in mansioni inferiori, può agire in giudizio per la tutela dei propri diritti. Secondo la più recente giurisprudenza (Cass. Civ. sezione lavoro n. 6275/2024) il danno da demansionamento non è in re ipsa (vale a dire automatico) e la sua prova può essere data anche attraverso l'allegazione di presunzioni gravi, precise e concordanti, che abbiano ad oggetto:

  1. la prova della qualità e della quantità dell’attività lavorativa svolta,
  2. il tipo e la natura della professionalità coinvolta,
  3. la durata dell’adibizione alle mansioni inferiori e di quelle precedentemente ricoperte,
  4. la diversa e nuova collocazione lavorativa assunta dopo un eventuale corso di formazione,
  5. i solleciti rivolti ai superiori per lo spostamento a mansioni più consone.

Possono sembrare delle banalità, ma la carenza di prova di uno di tali requisiti può indurre un Tribunale a rigettare la domanda di risarcimento del danno da demansionamento, perché non dimostrata.

Se un infermiere ritiene di essere vittima di demansionamento da parte del datore di lavoro, e vuole ottenere il risarcimento del danno, deve precostituirsi la prova per il processo, cioè iniziare a raccogliere, sin da subito, ogni elemento a proprio favore.

Un utile suggerimento può essere quello di annotare, a mo' di diario, le mansioni inferiori che vengono quotidianamente assegnate, i colleghi presenti al turno che hanno assistito e i nominativi dei pazienti assistiti, in modo da avere già disponibili i nomi degli eventuali testimoni per la futura controversia di lavoro.

È invece sconsigliabile realizzare dei video che riprendano il lavoratore demansionato mentre svolge il suo lavoro, specialmente in ambito medico, poiché in quanto il rischio di ledere la privacy dei pazienti o dei colleghi di lavoro è molto alto, salvo che chi realizza il video abbia il consenso esplicito di chi viene ripreso, sia orale (registrato nel video) che scritto.

Tutto ciò si rivelerà molto utile per la predisposizione del ricorso giudiziario con cui si chiederà al datore di lavoro di essere risarciti per il danno subito a causa del demansionamento.

Difatti, quando il lavoratore allega un demansionamento riconducibile ad un inesatto adempimento dell'obbligo gravante sul datore di lavoro ai sensi dell'art. 2103 cod. civ., è su quest'ultimo che incombe l'onere di provare l'esatto adempimento del suo obbligo di adibire il lavoratore alle mansioni per cui è stato assunto; il datore di lavoro, perciò, dovrà dare prova della mancanza in concreto del demansionamento, ovvero che l'adibizione a mansioni inferiori fosse giustificata dal legittimo esercizio dei poteri imprenditoriali oppure a causa di un'impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile.

4 - Demansionamento e mobbing: qual è la differenza

Con il termine mobbing, che deriva dall’inglese to mob, cioè aggredire, attaccare; si tratta di tutto quell’insieme di comportamenti aggressivi e persecutori che vengono posti in essere sul luogo di lavoro per colpire ed emarginare la vittima. Il lavoratore che opera nel settore sanitario ed è vittima di mobbing potrebbe, ad esempio, venire escluso dalle riunioni periodiche di reparto, diventare bersaglio di battute, insulti e dispetti di vario genere da parte dei colleghi di lavoro, e potrebbe anche vedersi, gradualmente, impiegato a svolgere delle mansioni nettamente inferiori rispetto a quello che è il suo titolo di studio e la sua qualifica professionale, senza un motivo. In pratica, il demansionamento, se attuato con l’unico scopo di umiliare ed emarginare il prestatore di lavoro, è uno degli elementi costitutivi del mobbing.

La principale differenza tra mobbing e demansionamento, infatti, è proprio rappresentata dall’intento persecutorio del datore di lavoro, che nel caso di mobbing deve essere dimostrato dal lavoratore, su cui grava l’onere di provare il depauperamento qualitativo della sua prestazione lavorativa e la vessatorietà dell’intento da parte del datore di lavoro.

La giurisprudenza amministrativa più recente (Consiglio di Stato sezione II 12 marzo 2024 n. 2354), proprio in materia di mobbing e demansionamento, ha precisato che si tratta di due fattispecie distinte, il cui discrimen è rinvenibile nella mancata necessità di dimostrare, nel demansionamento, l'esistenza di un intento persecutorio da parte del datore di lavoro. Tale differenza concettuale può nella pratica non essere così chiara, in quanto il demansionamento costituisce uno dei possibili modi di atteggiarsi del disegno persecutorio che integra il mobbing: qualora ciò avvenga, la nozione di demansionamento applicabile si sostanzia nel depauperamento qualitativo della prestazione lavorativa, ove essa sia mossa da intento vessatorio, ancorché giustificata e giustificabile sul piano organizzativo e comunque rispettosa formalmente del livello e del ruolo precedentemente rivestiti dal dipendente.

Affinché si configuri una condotta lesiva da mobbing, il lavoratore deve dimostrare al giudice che si occuperà del suo caso la presenza di una pluralità di elementi costitutivi, quali:

  1. la molteplicità e globalità di comportamenti a carattere persecutorio, illeciti o anche di per sé leciti, posti in essere in modo appositamente sistematico e reiterato contro il dipendente secondo un disegno intenzionalmente vessatorio;
  2. l'evento lesivo della salute psicofisica o della personalità del dipendente;
  3. il nesso causale tra la condotta del datore o del superiore gerarchico e la lesione dell'integrità psicofisica del lavoratore;
  4. l'elemento soggettivo consistente nell'intento persecutorio ovvero nel perseguimento di un disegno unitario teso alla dequalificazione, svalutazione od emarginazione del lavoratore pubblico dal contesto organizzativo nel quale è inserito.

Quando si pensa di essere vittima di mobbing sul luogo di lavoro, è indispensabile rivolgersi tempestivamente a un professionista, perché le decadenze in materia sono molteplici, e rischiano di pregiudicare il riconoscimento di un diritto in capo al lavoratore. 

Qualunque prestatore di lavoro, infatti, ha una formazione mirata al proprio lavoro, non alla tutela legale dagli illeciti dei terzi, pertanto non può sapere, ad esempio, che la domanda di risarcimento dei danni discendenti da illecito demansionamento e mobbing non può essere accolta qualora il lavoratore non abbia tempestivamente impugnato i provvedimenti organizzativi, adottati dall’ospedale pubblico nell’ambito della sua attività gestionale, da cui è derivata la modifica in peggio del suo rapporto di lavoro.

Questi tecnicismi rischiano di pregiudicare in maniera irrimediabile le possibilità di richiedere un risarcimento del danno e di essere nuovamente adibiti alle proprie mansioni: per questo, il team Consulcesi è a disposizione dei suoi iscritti, per fornire consulenza specifica, mirata e personalizzata in caso di condotte persecutorie o dequalificanti dei datori di lavoro nei confronti dell’esercente la professione sanitaria.

5 - Il demansionamento dell’infermiere

In ambito sanitario, gli infermieri sono tra le principali vittime di demansionamento, poiché vengono loro spesso assegnate, per carenza di personale o per disorganizzazione dei reparti, mansioni inferiori relative all’attività dei barellieri o degli OSS. Cerchiamo di capire insieme quali sono gli effettivi compiti di un infermiere e come può difendersi se vittima di demansionamento.

5.1 - L’infermiere: quali sono le sue mansioni

L’infermiere è un operatore sanitario in possesso del diploma universitario abilitante e iscritto all’albo professionale: a lui è affidata la responsabilità dell’assistenza generale infermieristica preventiva, curativa, palliativa e riabilitativa, nonché relazionale ed educativa; la principale funzione dell’infermiere è la prevenzione delle malattie, l’assistenza dei malati e dei disabili di tutte le età, nonché l’educazione sanitaria.

L’infermiere:

  1. partecipa all'identificazione dei bisogni di salute della persona e della collettività;
  2. identifica i bisogni di assistenza infermieristica della persona e della collettività e formula i relativi obiettivi;
  3. pianifica, gestisce e valuta l'intervento assistenziale infermieristico;
  4. garantisce la corretta applicazione delle prescrizioni diagnostico-terapeutiche;
  5. agisce sia individualmente sia in collaborazione con gli altri operatori sanitari e sociali;
  6. per l'espletamento delle funzioni si avvale, ove necessario, dell'opera del personale di supporto;
  7. svolge la sua attività professionale in strutture sanitarie pubbliche o private, nel territorio e nell'assistenza domiciliare, in regime di dipendenza o libero-professionale.

L’infermiere, inoltre, fornisce il suo contributo per la formazione del personale di supporto, concorrendo in maniera diretta all’aggiornamento relativo al proprio profilo professionale e alla ricerca.

L’infermiere, dopo l’iniziale formazione base, può decidere di proseguire la sua formazione per la pratica specialistica, al fine di fornire ai colleghi di assistenza generale delle conoscenze cliniche più specializzate e delle capacità che permettano loro di fornire prestazioni infermieristiche specifiche nelle aree:

  1. Della sanità pubblica (c.d. infermiere di sanità pubblica),
  2. Della pediatria (c.d. infermiere pediatrico),
  3. Della salute mentale e della psichiatria (c.d. infermiere psichiatrico),
  4. Della geriatrica (c.d. infermiere geriatrico),
  5. Dell’area critica (c.d. infermiere di area critica).

5.2 - L’inquadramento professionale dell’infermiere

L’infermiere che opera presso una struttura pubblica o privata è un lavoratore subordinato: in quanto tale, deve essere esclusivamente adibito:

  1. alle mansioni per le quali è stato assunto,
  2. in subordine, a quelle corrispondenti all’inquadramento superiore che abbia acquisito,
  3. in ulteriore subordine, a mansioni che siano comunque riconducibili allo stesso livello e categoria di inquadramento delle ultime mansioni effettivamente svolte.

L’inquadramento professionale consiste nella categoria di classificazione in cui l’infermiere è stato inserito al momento dell’assunzione, o anche successivamente, in caso di scatti di carriera. Fino al 1 gennaio 2023 le categorie infermieristiche si differenziavano in livelli, identificati dalle lettere dell’alfabeto A, B, C, D; oggi, invece, i vecchi livelli A, B, C, D sono scomparsi e gli infermieri vengono classificati in base a cinque differenti livelli di conoscenze, abilità e competenze professionali:

  1. area del personale di supporto, che include le vecchie categorie A e B, come ad esempio l’operatore tecnico o il coadiutore amministrativo,
  2. area degli operatori, al cui interno sono ricomprese le vecchie categorie da BS a BS5, come l’operatore sociosanitario, l’operatore tecnico specializzato (cuoco, elettricista, idraulico, autista di ambulanza), il coadiutore amministrativo senior,
  3. area degli assistenti, che include le ex categorie C – C5, al cui interno troviamo l’assistente dell’informazione, l’assistente informatico, quello tecnico e quello amministrativo,
  4. area dei professionisti della salute e dei funzionari, dove sono classificati gli ex categoria D fino al livello economico Ds, come, a titolo esemplificativo, l’infermiere, l’infermiere pediatrico, l’ostetrico, il tecnico di laboratorio biomedico/di radiologia/ortopedico/audiometrista ecc., il professionista della riabilitazione (logopedista, ortottista, terapista, fisioterapista, ecc.), il tecnico della prevenzione, l’assistente sociale, il collaboratore tecnico professionale, lo specialista nella collaborazione istituzionale, il collaboratore amministrativo professionale,
  5. area del personale di elevata qualificazione, vale a dire quei lavoratori che hanno i requisiti per accedere a funzioni di elevato contenuto professionale e specialistico, come la laurea magistrale/specialistica associata ad almeno tre anni di esperienza, l’appartenenza alla categoria D o Ds del vecchio sistema, lo svolgimento di incarichi di funzione di media o elevata complessità.

5.3 - Demansionamento dell’infermiere: casi pratici

Al di fuori di questi casi, previsti dall’art 2103 comma 3 e 4, se l’infermiere viene adibito a delle mansioni inferiori al di fuori della sua categoria, si parla di demansionamento. Ad esempio, se un ostetrico viene adibito a mansioni di operatore tecnico, vale a dire da categoria 4. Area dei professionisti della salute e funzionari a categoria 1. Area degli assistenti, si parla di demansionamento, perché va a svolgere delle funzioni inferiori a quelle per cui è stato assunto.

In generale, quando a un infermiere vengono assegnati dei compiti che non comprendono la cura o l’assistenza alla persona e che potrebbero essere eseguiti da altre figure, si parla di atti di demansionamento; ad esempio, sono atti di demansionamento quelli che prevedono che l’infermiere, anziché curare i pazienti, si occupi di:

-             rifare i letti,

-             pulire i letti dei pazienti dimessi,

-             trasportare i degenti all’interno o all’esterno dell’ospedale,

-             distribuire il vitto,

-             svuotare e lavare le padelle e i pappagalli,

-             curare l’igiene personale dei pazienti non autosufficienti.

È bene precisare che il demansionamento non è sempre illegittimo, poiché la legge stabilisce che nell’ipotesi di modifica degli assetti organizzativi dell’azienda ospedaliera, l’infermiere può essere anche assegnato a mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore, purché queste rientrino nella stessa categoria legale: ad esempio il collaboratore amministrativo professionale di area 4. può essere legittimamente adibito all’attività di assistente amministrativo di area 3. o di coadiutore amministrativo senior di area 2., ma non può essere legittimamente impiegato a fare il cuoco o l’idraulico o l’autista.

È recente il caso del Policlinico di Foggia, condannata con sentenza n. 472/2024 dalla Corte d’appello di Bari a risarcire diversi infermieri demansionati con una somma di circa 30 mila euro a testa, poiché nonostante la loro qualifica professionale erano adibiti al rifacimento dei letti, alla distribuzione del vitto, a rispondere ai campanelli, imboccare i pazienti, eseguire le cure igieniche, trasportare le persone in barella e compiere attività di competenza di categorie inferiori, come l’OSS.

Sempre i giudici pugliesi (Tribunale di Bari, sezione lavoro n. 331/2023) hanno precisato che il lavoratore può essere adibito a mansioni inferiori qualora si tratti di impiego di breve durata e di carattere occasionale qualora, in ogni caso, tale adibizione non pregiudichi la possibilità di espletare le mansioni proprie della qualifica di appartenenza in modo prevalente ed assorbente; ciò posto, si ha demansionamento quando l’infermiere, stante la cronica carenza di personale OSS, ha dovuto svolgere mansioni igienico, alberghiere in maniera sistematica, con ripercussioni sulla possibilità di svolgere le mansioni invece tipiche del profilo professionale di appartenenza.

Il principio del costante e prevalente svolgimento di compiti afferenti ad un livello inferiore rispetto a quello per cui si è stati assunti è alla base della pronuncia della Corte d’appello di Roma (n. 8132/2015) che ha ritenuto legittima e non demansionante l’attribuzione occasionale agli infermieri, in forza di una circolare dell’azienda ospedaliera, del compito di chiudere e confezionare i rifiuti ospedalieri tossici in caso di assenza di personale ausiliario O.T.A. in servizio, in aggiunta alle mansioni tipiche che caratterizzano la figura professionale dell'infermiere e solo in ipotesi di carenza del personale ausiliario

Se un infermiere viene illegittimamente demansionato, ha diritto al risarcimento del danno, che deve essere specificamente descritto nell’atto con cui si richiede il risarcimento e provato dal prestatore di lavoro; il danno risarcibile può essere di varia natura, come ad esempio patrimoniale, professionale, biologico, esistenziale, alla vita di relazione, ma deve sempre essere dimostrato dal lavoratore, pena il rigetto della sua domanda.

Quando un infermiere, e in generale un professionista del mondo sanitario, è vittima di demansionamento, è in gioco la sua dignità di lavoratore, e spesso il suo posto di lavoro: per questo, agire per tempo interpellando dei professionisti del settore, come quelli del team Consulcesi, può rappresentare l’arma vincente per sconfiggere le ingiustificate angherie del datore di lavoro.

Di: Manuela Calautti, avvocato

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