Giovani e tecnologie digitali: opportunità e rischi

Per un pediatra è essenziale comprendere quanto le tecnologie digitali stiano cambiando i più piccoli. In questo eBook, realizzato con il supporto del dottor Carlo Alfaro (pediatra SIMA), esaminiamo rischi e campanelli d'allarme nel comportamento del bambino e dell'adolescente.

Sommario

  1. Come la tecnologia cambia il funzionamento del cervello
  2. Web e “onlife” per gli adolescenti
  3. Uso di internet e diffusione tra gli adolescenti
  4. Impatto della pandemia sull’uso del digitale
  5. I vantaggi delle tecnologie digitali per i più giovani
  6. Le conseguenze negative delle tecnologie digitali
  7. Raccomandazioni per i pediatri

Si ringrazia per il contributo il dottor Carlo Alfaro, pediatra, membro della SIMA (Società Italiana di Medicina dell’Adolescenza)

I bambini delle ultime generazioni (Generazione Zeta, che comprende i nati dal 1995 al 2010, ed Alpha, dal 2010 ad oggi) si interfacciano sin da piccolissimi con la tecnologia (smartphone, tablet, pc, smart tv, assistenti vocali o “smart speaker”, videogiochi). Per questo vengono definiti “nativi digitali”: sono nati e cresciuti nell’era delle tecnologie digitali e le considerano un elemento naturale del loro ambiente di vita e parte integrante della propria cultura e del sistema di comunicazione. Ad essi si contrappongono le generazioni precedenti, chiamati “immigranti digitali” in quanto si sono trovati “catapultati” nel mondo delle tecnologie multimediali e hanno dovuto adattarsi al nuovo ambiente tecnologico, che non era quello della propria formazione. (Mark Prensky, Digital Natives, Digital Immigrants, 2001).

Nel corso della “rivoluzione digitale” della società, a partire dalla metà degli anni ‘70, gli individui, nei primi contatti col web, impararono a utilizzare interfacce testuali come e-mail, chat, newsgroup, sms; poi con la diffusione dei social media (“web 2.0”), dagli anni 2000, hanno connotato sempre di più la propria identità sociale e le proprie relazioni sul web, fino alla contemporanea “generazione touch”, in cui i bambini si rapportano con le interfacce touch screen già dal primo anno di vita (“screenagers”). Gli schermi touch screen attraggono molto i piccoli e sono di utilizzo immediato e intuitivo: con un solo gesto del dito riescono a scorrere pagine, accedere a schermi, video, immagini e suoni. Grazie alla tecnologia touch, l’età media in cui i soggetti acquisiscono autonomia digitale si è ridotto notevolmente (Giuseppe Riva, Nativi digitali. Crescere e apprendere nel mondo dei nuovi media. 2019).

Visualizza e scarica l'eBook

In questo eBook, realizzato con il supporto del dottor Carlo Alfaro (pediatra SIMA), esaminiamo rischi e campanelli d'allarme nel comportamento del bambino e dell'adolescente influenzato dalle tecnologie digitali.

Come la tecnologia cambia il funzionamento del cervello

L’esperienza precoce, sin dalla prima infanzia, con le nuove tecnologie, ha plasmato i circuiti neuronali delle nuove generazioni, grazie alla neuroplasticità cerebrale, cioè la capacità del cervello di modificare il proprio funzionamento in base alle esperienze, cambiando il loro modo di leggere, apprendere, pensare, ricordare, organizzare le informazioni o elaborare i concetti, persino sognare, gli stili di pensiero e comunicazione e la modalità di relazionarsi con gli altri. La cyber-generazione apprende in maniera molto più rapida rispetto alle precedenti, ma fa più fatica a fermarsi e approfondire, e manifesta una tendenza sempre maggiore alla comunicazione virtuale a discapito della reale. L’impatto dei media digitali sul cervello varia in funzione dell’età, dato che la plasticità cerebrale è massima in età prescolare. 

Questi cambiamenti funzionali corrispondono in realtà a vere e proprie modificazioni della struttura delle reti cerebrali. Studi di neuroimaging hanno evidenziato, negli individui più multitasking, unaquantità minore di materia grigia nella corteccia cingolata anteriore, l’area del cervello umano predisposta a controllare le funzionalità emotivo-cognitive, mentre l’abitudine ad usare il touchscreen dello smartphone accresce lo sviluppo della corteccia somatosensoriale, deputata alla ricezione degli stimoli tattili, nell’area che controlla i movimenti del pollice, come accade ai suonatori di violino. (Digitale: come e quanto influenza il cervello? Giorgia Lauro. Dialogues in Clinical Neuroscience, 2020).

Web e “onlife” per gli adolescenti

Inizialmente, l’uso del web si è configurato come “archivio digitale”, ossia deposito di informazioni e notizie, ma con l’avvento dei social media ha assunto per gli utenti una diversa dimensione: catalizzatore di relazioni, ambiente comunicativo integrato, piazza comune dove socializzare e condividere contenuti in modo semplice e immediato, album e diario personale condiviso col pubblico, strumento di espressione personale. I social network costituiscono una “tecnologia sui generis”, perché, a differenza dei media degli anni precedenti (televisione, computer e telefono cellulare ante-Internet), rappresentano una sorta di passe-partout verso una “second-life” parallela alla vita reale, grazie anche alla possibilità di una connessione ‘H24’. (Maurizio Tucci, presidente “Laboratorio Adolescenza”)

Attualmente, non esiste più una netta distinzione tra vita “offline” e vita “online”: le esperienze nella vita reale e virtuale sono integrate intimamente nell’attuale dimensione dell’esistenza, per cui si è coniato il neologismo “onlife”. (Floridi Luciano. The onlife manifesto: Being human in an hyperconnected era. Springer nature, 2015).

I massimi fruitori di internet, e dei social in particolare, sono gli adolescenti, che nel loro delicato passaggio di crescita caratterizzato da peculiari sfide evolutive quali l’emancipazione dalle figure degli adulti di riferimento, l’individuazione della propria personalità, l’apertura al gruppo dei pari, la creazione di un proprio sistema di pensieri e valori, trovano facilmente nel mondo virtuale una risposta alle loro angosce esistenziali. Da una parte, i genitori, sempre più impegnati, stressati e avvitati sui problemi irrisolti delle proprie esistenze, spesso appaiono concentrati ossessivamente sugli aspetti del benessere fisico e materiale dei propri figli, e non sanno rispondere alle istanze di accoglimento del loro malessere psichico, dall’altra la realtà circostante, le relazioni con i pari, il futuro appaiono minacciosi, complessi, frustranti: ne deriva per i giovani un senso di solitudine, incertezza, smarrimento, cui il mondo virtuale, proponendo copie del reale indolori, comode, facilmente accessibili, sembra offrire una rapida scorciatoia. 

Piuttosto che affrontare il contatto diretto col mondo esterno che li mette a nudo con i loro limiti e il loro senso di inadeguatezza e paura, e latitando una figura di adulto autorevole e affidabile, i ragazzi possono preferire costruirsi un alter ego virtuale, annullando il proprio corpo e cercando opportunità di espressione di sé e relazione sociale nei videogiochi o sui social network. Il che non è scevro da rischi, data la fragilità intrinseca dei loro sistemi neurobiologici, cognitivi e comportamentali, la sensibilità aumentata ai feedback sociali e la mancanza di esperienza della vita che li rende meno attrezzati a difendersi da rischi e lusinghe ingannevoli.

(Bozzola, E., Spina, G., Ruggiero, M. et al. Media use duringadolescence: the recommendations of the ItalianPediatric Society. Ital J Pediatr 45, 149, 2019)

Uso di internet e diffusione tra gli adolescenti

In Italia, come negli altri Paesi occidentali, il trend vede una continua crescita degli utenti del web, con sempre maggiore predilezione per lo smartphone come device, abbassamento dell’età del primo utilizzo, aumento delle ore passate in rete e progressiva diffusione dell’uso dei social. 

SAVE THE CHILDREN - Secondo i dati della “XIV edizione dell’Atlante dell’infanzia a rischio in Italia” di Save The Children, dal titolo “Tempi digitali”, diffusi nel 2023 e relativi al 2022, il 78,3% dei bambini tra gli 11 e i 13 anni utilizza internet tutti i giorni e lo fa soprattutto attraverso lo smartphone. Si abbassa sempre di più l’età in cui si possiede o utilizza uno smartphone: attualmente il 30,2% dei bambini tra i 6 e i 10 anni. Quasi la metà (il 47%) degli 11-19enni intervistati passa oltre 5 ore al giorno online e il 37% controlla lo smartphone più di 10 volte al giorno. Nonostante la legge preveda che un utente possa avere accesso ai social solo dopo aver compiuto 13 anni, il 40,7% degli 1113enni usa i social media, con una prevalenza femminile (47,1%) rispetto a quella maschile (34,5%). 

CENSIS 2023 - L’89,1% degli Italiani utilizza Internet, l’88,2%gli smartphone e l’82,0% i social network, con una spesa annua delle famiglie per i dispositivi digitali di 8,7 miliardi di euro. L’utilizzo dello smartphone da parte degli adolescenti ha raggiunto ormai il 95%, mentre il tempo medio passato sui device supera le 3 ore al giorno in circa la metà degli intervistati. Tra le piattaforme on line più gettonate tra i giovani, nell’ordine: WhatApp (93,0%), YouTube (79,3%), Instagram (72,9%) e TikTok (56,5%), in calo Facebook (50,3%), Spotify (49,6%) e Twitter (17,2%). 

SOCIETÀ ITALIANA DI PEDIATRIA- In Italia il 94% dei minori tra gli 8 e 16 anni utilizza abitualmente uno smartphone, il 68% ne possiede uno personale, il 28% lo ha ricevuto prima dei 10 anni. Ben 7 minori su 10 tra gli 8 e i 10 anni usano regolarmente i social e le piattaforme streaming, nonostante i limiti di età imposti dalle piattaforme siano di 13 e 14 anni. 

(Bozzola E, Staiano AM, Spina G, et al.; Italian Paediatric Society Executive Board. Social media use to improve communication on children and adolescent’s health: the role of the Italian Paediatric Society influencers. Ital J Pediatr 2021;47:171.28).

FEDERAZIONE ITALIANA MEDICI PEDIATRI (FIMP)- Dal Rapporto 2023 “Bambini

e Adolescenti in un mondo digitale” emerge che il 30% dei bambini di 10 anni trascorre da 1 a 2 ore al giorno davanti al cellulare. La percentuale supera il 40% tra i quattordicenni. Davanti allo smartphone trascorrono tra le 3 e le 6 ore al giorno il 12% a 10 anni e il 43% a 14.

ASSOCIAZIONE NAZIONALE DI.TE. (Dipendenze tecnologiche, GAP, cyberbullismo) in collaborazione con il portale degli studenti Skuola.net- Da un’indagine pubblicata nel 2023 su un campione di 1.668 giovani tra i 9 e 19 anni, è risultato che il 44% campione è iscritto almeno a 3 social network (Instagram, TikTok e YouTube i più gettonati) e li utilizzano per 2-3 ore al giorno, tutti i giorni. Il 73% sui social guarda i contenuti altrui che, solo nel 40% dei casi vengono discussi con i propri genitori, mentre solo il 6% pubblica ogni giorno dei contenuti propri. 

PROGETTO CONNESSIONI DELICATE - Da un’indagine condotta tramite questionario anonimo on line su 850 famiglie, nell’ambito del progetto “Connessioni delicate” che fa capo ad Associazione Culturale Pediatri (ACP), Federazione Italiana Medici Pediatri (FIMP) e Società Italiana di Pediatria (SIP), con Fondazione Carolina e Meta, è risultato che nella fascia di età 0-2 anni il 26% dei genitori permette che i propri figli utilizzino i device in autonomia, percentuale che sale al 62% per i bambini tra 3 e 5 anni. Nella fascia 0-2 anni inoltre il 72% delle famiglie usa social e chat durante l’allattamento e i pasti dei figli. 

Leggi anche

Impatto della pandemia sull’uso del digitale

La crisi globale determinata dalla pandemia da Covid-19 ha ampliato la diffusione dell’uso di device digitali e abbassato ulteriormente la fascia d’età di accesso, rafforzando una tendenza già in atto negli ultimi anni. Nei periodi dei lockdown, i dispositivi tecnologici sono stati necessari sia per consentire la prosecuzione della didattica e del lavoro (in modalità “a distanza”) sia per sopperire alla mancanza di interazioni sociali dirette, con un ruolo “adattivo” per informarsi, conservare le connessioni sociali, fornire intrattenimento e ridurre stress, ansia, umore depresso. Tuttavia, l’overdose di tecnologia non è rientrata dopo la fine dell’emergenza, rimanendo parte integrante della nuova quotidianità delle nuove generazioni. 

MOIGE - Dall’indagine del 2022 “Cyber-risk e pandemia” realizzata dall’Istituto Piepoli per conto del MOIGE (Movimento Italiano Genitori) emerge che da quando è scoppiata l’emergenza pandemica il tempo trascorso davanti ai device tecnologici dai giovani è aumentato del 67% (escluso l’impegno per la DAD). /https://www.ansa.it/sito/notizie/cronaca/2022/02/04/aumenta-ancora-il-tempo-trascorso-dai-ragazzi-davanti-a-computer-e-cellulari_5c097ea6-2ea5-4e5a-be78-013934d031d1.html).

PROGETTO “GENERAZIONI CONNESSE”- L’indagine dell’Università di Firenze insieme a Skuola.net col coordinamento del Ministero dell’Istruzione su 5.308 giovani di età compresa tra i 14 e i 20 anni informa che nel periodo del lockdown, pur partendo da basi già elevate, è letteralmente lievitato il numero di ore che i ragazzi hanno passato online: il 25% dice di essere stato sempre connesso (a gennaio 2020, gli “iperconnessi” erano appena il 7%), e il 54% ha trascorso online tra le 5 e le 10 ore al giorno (a gennaio era il 23%). 

SONDAGGIO SOCIETÀ ITALIANA DI PEDIATRIA/POLIZIA DI STATO/SKUOLA.NET: su 10 mila studenti di cui 6.500 tra 15 e 18 anni e 3.500 tra 9 e 14 anni, durante la fase acuta della pandemia, il 54% ha usato i media device per più di 3 ore al giorno, oltre alle circa 5 ore trascorse in DAD (il 50% nella fascia 9-14 anni, il 57% in quella 15-18 anni): incremento del 13% vs il 2019, ma l’aumento ha riguardato soprattutto i giovanissimi, ossia i 9-14enni, passati dal 32 al 57%. Nonostante l’elevato stato di connessione via web (il 36% dichiara di usare i device soprattutto per comunicare con gli amici), il 25% ha dichiarato di sentirsi più isolato, soprattutto la fascia 9-14 anni. 

I vantaggi delle tecnologie digitali per i più giovani

Le tecnologie digitali stimolano il cervello richiedendo una partecipazione attiva e interattiva (soprattutto i social media). Nei bambini, stimolano aree cerebrali quali il lobo frontale, deputato alle funzioni cognitive superiori, e il lobo parietale, collegato agli aspetti visuo-spaziali. Soprattutto utilizzando App studiate appositamente per l’infanzia e con la guida dei genitori, si possono sfruttare queste potenzialità del web in bambini in età prescolare per favorire lo sviluppo di abilità manuali, tecniche e cognitive: aumentare la coordinazione oculo-motoria, la capacità di imparare a riconoscere suoni e immagini, la stimolazione della creatività, l’integrazione delle conoscenze derivate dall’esperienza della vita reale, l’apprendimento di numeri, alfabeto, lingua straniera, l’abilità di problem solving in scenari diversi. Bambini in età scolare possono migliorare i processi di apprendimento, la capacità decisionale, l’intuitività, le competenze digitali, linguistiche, creative e critiche, utili per la formazione personale e professionale. (Korte M. The impact of the digital revolution on human brain and behavior: where do we stand?. Dialogues Clin Neurosci. 2020 Jun;22(2):101-111. doi: 10.31887/DCNS.2020.22.2/mkorte).

Anche i videogiochi possono essere utili in quanto, richiedendo la capacità di sviluppare processi decisionali veloci sulla base di segnali visivi stimolano le capacità di attenzione visuo-spaziale, di analizzare i dettagli del proprio ambiente fisico, di cambiare rapidamente punto di vista (“flessibilità cognitiva”), di variare l’attenzione da un’attività a un’altra (multitasking). (Video games as a tool to train visual skill. R.L. Achtman, C.S. Green, D. Bavelier. Neurology and Neuroscience. 2008. 26(4-5):435-46)

Gli sviluppi tecnologici hanno provocato un significativo cambiamento e arricchimento culturale: disponibilità immediata e per tutti di una grande mole di informazioni; democratizzazione del sapere con abbattimento dei divari culturali; connessione, confronto e integrazione di pensieri differenti e culture diverse; elaborazione e condivisione di idee, conoscenze e contenuti; conservazione e salvaguardia del patrimonio culturale; esistenza di piattaforme destinate a un vasto pubblico per l’espressione culturale e la creatività; amplificazione delle possibilità e pluralità di accesso alle notizie; stimolo alla curiosità di conoscere e approfondire; possibilità di ricerca e di valutazione critica dei dati con sviluppo di un proprio punto di vista

Internet rappresenta un potente facilitatore comunicativo-relazionale, per vincere la timidezza, interagire con minore inibizione che nella vita reale, confrontarsi, creare legami sociali, sviluppare senso di appartenenza, affinare le proprie capacità comunicative e abilità relazionali, sperimentare il contatto con persone di diverse culture, opinioni e esperienze, estendere la griglia abituale di amicizie con contatti da poter trasferire anche nella vita reale, trovare persone che condividono le stesse passioni e interessi, avere occasioni di inclusione senza differenze sociali e barriere fisiche e geografiche, annullando distanze e confini. (Hertlein, K. M., & Ancheta, K. (2014). Advantages and Disadvantages of Technology in Relationships: Findings from an Open-Ended Survey. The Qualitative Report, 19(11), 1-11. https://doi.org/10.46743/2160-3715/2014.1260)

I siti di social network avvantaggiano i loro utenti quando vengono utilizzati per creare connessioni sociali significative: connessione emotiva a ciò che accade nella vita degli altri, sensibilizzazione su temi sociali, partecipazione a iniziative di solidarietà e donazioni di beneficenza, attivismo e cittadinanza attiva, informazione su criticità e problematiche della vita comunitaria, partecipazione a forum, dibattiti, confronti. (Clark, J. L., Algoe, S. B., & Green, M. C. (2018). Social Network Sites and Well-Being: The Role of Social Connection. Current Directions in Psychological Science, 27(1), 32-37. https://doi.org/10.1177/0963721417730833)

Sono emersi quali vantaggi dei social network sul piano del benessere psicologico: sentirsi più accettati, miglioramento dell’autostima, del senso di competenza, dell’autoefficacia e dell’umore, sensazione di ricevere sostegno, appoggio, riconoscimento, supporto nella costruzione della propria identità, sperimentazione delle emozioni e della loro gestione, incoraggiamento a mostrare il proprio lato creativo, training a gestire la propria immagine pubblica e a promuovere i propri talenti.

Uno studio che ha analizzato, basandosi sui contributi della letteratura disponibile, gli effetti dei social sul benessere psicologico degli utenti, conclude che l’impatto complessivo è positivo, grazie principalmente all’effetto del capitale sociale di “legame” e di “collegamento”, nonostante dei fattori di rischio per effetti indiretti negativi (isolamento sociale e dipendenza da smartphone). La sensazione di essere collegati a qualcosa di significativo fuori di sé, determina rafforzamento del sentimento di appartenenza sociale, promuove il benessere soggettivo e migliora la qualità della vita. Maggiore è il numero di amici o followers, like e condivisioni, più gli individui si percepiscono come connessi a una comunità e aumenta il benessere psicologico. (Ostic D, Qalati SA, Barbosa B, et al. Effects of Social Media Use on PsychologicalWell-Being: A Mediated Model. Front Psychol.). 

Uno studio longitudinale sull’influenza dei social media sull’empatia degli adolescenti, attraverso una intervista a 942 adolescenti olandesi (10-14 anni) condotta per due volte, con un intervallo di un anno, ha trovato che l'uso dei social media è correlato a un aumento sia della loro capacità di comprendere gli altri (empatia cognitiva) sia di condividere i sentimenti dei loro coetanei (empatia affettiva).

Internet ha potenziato le possibilità di intervento nella riabilitazione di bambini con Bisogni Educativi Speciali (BES) quali disabilità motorie, cognitive e sensoriali, disturbi specifici dell’apprendimento, disturbo dello spettro autistico, attraverso strumenti compensativi, dispositivi di sintesi vocale per la Dislessia, interventi di Comunicazione Aumentativa Alternativa, ricorso alla LIM (Lavagna Interattiva Multimediale) per una didattica cooperativa e inclusiva, per esempio utilizzando immagini a dimensioni maggiori, video, sonori, o creando degli ambienti interattivi. (Hasselbring TS, Glaser CH. Use of computer technology to help students with special needs. Future Child. 2000 Fall-Winter;10(2):102-22).

Le conseguenze negative delle tecnologie digitali

Alterazione dello sviluppo neuro-cognitivo e delle funzioni esecutive

Un uso precoce e intenso di dispositivi digitali contribuisce allo sviluppo di abitudini azione-risposta immediata e al mancato allenamento della capacità di immagazzinare e recuperare informazioni. Queste attitudini possono impattare sullo sviluppo neurocognitivo, compromettendo la capacità di attenzione, concentrazione, memoria. 

Uno studio giapponese su circa 8.000 bambini di 1 anno di età monitorati nei loro primi 5 anni di vita e pubblicato su The Journal of the American Medical Association Pediatrics ha trovato un’associazione dose-risposta tra un maggiore tempo trascorso davanti allo schermo all’età di 1 anno e ritardo neurocognitivo all’età di 2 e 4 anni. In pratica, più aumentava la quantità di tempo che i piccini trascorrevano davanti a uno schermo quale tablet, cellulare, tv (meno di 1 ora, da 1 ora a 2, da 2 a 4 e più di 4 ore) più aumentava - a 2 e a 4 anni - il rischio di ritardo nello sviluppo di comunicazione, motricità grossolana e fine, capacità di risoluzione dei problemi, abilità personali e sociali. Dallo studio è emerso che il 4% dei bambini è stato esposto a schermi per 4 o più ore al giorno, il 18% per meno di 4 ore al giorno e la maggioranza per meno di 2 ore. I bambini esposti per più tempo davanti allo schermo facevano parte dei contesti sociali più svantaggiati, es. madri giovani alla prima gravidanza, redditi e livello di istruzione bassi, depressione post partum. Gli autori suggeriscono che probabilmente il problema non sia nei dispositivi in sé ma nel tempo sottratto alla relazione madre-bambino. (Takahashi I, Obara T, Ishikuro M, et al. Screen Time at Age 1 Year and Communication and Problem-SolvingDevelopmental Delay at 2 and 4 Years. JAMA)

Alterazione dello sviluppo del linguaggio

Diversi studi hanno trovato una correlazione tra il precoce utilizzo dello smartphone e ritardo o disturbi del linguaggio, povertà lessicale, probabilmente perché il tempo trascorso davanti allo schermo riduce la quantità e la qualità delle interazioni tra bambini e chi si prende cura di loro.

Uno studio longitudinale ha seguito 220 famiglie australiane tra il 2018 e il 2021, analizzando l’impatto dello screen time sul linguaggio dei bambini a diverse età, dai 12 ai 36 mesi. Grazie a tecnologie avanzate di riconoscimento del linguaggio, sono stati registrati ogni 6 mesi, in una giornata tipo a domicilio, le vocalizzazioni dei bambini, le interazioni con i genitori e, contemporaneamente, l’esposizione a televisione o device elettronici. L’analisi ha evidenziato una correlazione in senso negativo, dimostrando come, ad ogni minuto di screen time aggiuntivo, si riducessero il numero di parole degli adulti, le vocalizzazioni dei piccoli e le conversazioni tra adulti e bambini. (Brushe ME, Haag DG, Melhuish EC, et al. Screen Time and Parent-Child Talk When Children Are Aged 12 to 36 Months. JAMA).

Attraverso la somministrazione di sondaggio ai genitori sullo screen time dei bambini in età prescolare e test cognitivi ai bambini seguiti da imaging con tensore di diffusione MRI, che fornisce stime dell'integrità della materia bianca nel cervello, si è visto che l’uso precoce e intensivo di schermi digitali nella prima infanzia produce una minore integrità microstrutturale dei tratti della sostanza bianca, in particolare tra le aree di Broca e di Wernicke, che supportano le competenze linguistiche e di alfabetizzazione. (Hutton JS, Dudley J, Horowitz-Kraus T, et al. Screen-Based Media Use and Brain White MatterIntegrity in Preschool-Aged Children. JAMA)

Da diverse ricerche emerge che l’uso dei social network possa avere un impatto negativo su apprendimenti, prestazioni scolastiche e rendimento degli studenti. I motivi vanno dalla distrazione alla maggiore superficialità di lettura e minor comprensione del testo sugli schermi al minor impegno a memorizzare. I dati della ricerca condotta dalla GermanResearch Foundation, che ha esaminato 59 studi condotti su circa 30000 giovani di tutto il mondo sulla correlazione tra l’uso dei social e il rendimento scolastico ha trovato dati contrastanti e non conclusivi. I diversi risultati dipendono soprattutto dalla finalità con cui si usa il social, ad esempio chi utilizzava Instagram durante lo studio a casa aveva risultati peggiori, in quanto era impiegato per evasione e distrazione, mentre usare i social media per comunicare con altri studenti su argomenti scolastici addirittura migliorava le prestazioni. Secondo la ricerca, comunque, coloro che pubblicano regolarmente contenuti sui propri profili social non dedicano meno tempo allo studio rispetto a coloro che sono meno attivi sui social network e non sembrano avere un impatto negativo significativo sui voti scolastici.

Un’indagine nell’ambito del progetto Eyes Up (EarlY Exposure to Screens and Unequal performance), ideato e coordinato dal dipartimento di Sociologia dell’Università Bicocca di Milano con il sostegno di Fondazione Cariplo, conferma l’impatto negativo dei social sulle perfomance scolastiche. Il 30% degli studenti intervistati dice di aver creato il primo profilo in prima media (quindi tra i 10 e gli 11 anni), il 24,9 in seconda e il 17,2 in terza: alla fine della terza media oltre il 60% dei ragazzi ha un profilo social personale, cioè prima dei 14 anni che la legge italiana fissa come limite minimo per sbarcare sui social. Chi ha creato il proprio profilo prima della quinta elementare, all’esame di terza media ha avuto una valutazione inferiore di quasi un punto (0,9) rispetto a chi non ha un profilo social.

Secondo la ricerca Bicocca-Supsi (Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana), condotta analizzando dati Invalsi (Istituto nazionale di valutazione del sistema istruzione) su 1.672 studenti dai 10 ai 14 anni e pubblicata su Social Science Research, un uso dello smartphone per più di 2 ore al giorno a 10 e 11 anni può ridurre apprendimento in italiano e performance in matematica rispetto a chi comincia a utilizzarlo solo successivamente, a 12, 13 e 14 anni. (Tiziano Gerosa, Marco Gui.Earlier smartphone acquisitionnegatively impacts language proficiency, butonly for heavy media users. Results from a longitudinal quasi-experimental study. Social Science Research)

L’abuso di networking si assocerebbe anche a maggiori assenze da scuola. Una ricerca condotta in Finlandia e pubblicata sugli Archives of Disease in Childhood, che ha esaminato 86.270 studenti di età compresa tra 14 e 16 anni, rivela che chi passa troppo tempo online finisce per accumulare assenze a scuola, soprattutto il genere femminile (le ragazze hanno anche trascorso più tempo online rispetto ai ragazzi). Sono fattori protettivi dal trascurare la scuola per internet: dormire di più, fare esercizio fisico e avere un rapporto di fiducia con i genitori. 

Ci sono molti studi che suggeriscono che la forte permanenza di bambini e adolescenti sui social media possa compromettere la loro crescita psico-emotiva.

Riduzione del pensiero critico

Gli studiosi riscontrano che l’abuso di social può annullare la coscienza critica e la capacità di discriminazione e giudizio, fino a diventare una sorta di “protesi del pensiero”, da usare in maniera passiva, in quanto la diffusione in modo subdolo, sistematico e globale di messaggi uguali e preconfezionati tende a far sviluppare un “cervello collettivo”, che non elabora pensieri propri, ma si adegua a pensieri omologati e accoglie valutazioni rapide e impulsive, condizionate e pilotate da altri. (Lamberto Maffei L. Maffei, Se la civiltà perde l’uso della parola, «Vita e Pensiero», 102 (2019), n. 1, pp. 110-114)

Alterazione della percezione della realtà

È noto da tempo che l’abitudine a sentire continuamente il proprio cellulare squillare o vibrare può creare suggestioni di avvertire la suoneria o vibrazioni “fantasma”. (Deb A. Phantom vibration and phantomringingamong mobile phone users: A systematic review of literature. Asia PacPsychiatry). Attualmente, gli studi si sono concentrati sugli effetti sul cervello delle notifiche del telefono. Le frequenti interruzioni telefoniche aumentano il carico cognitivo, ovvero la quantità di informazioni elaborate dalla memoria di lavoro, con un forte impatto su concentrazione, autocontrollo, regolazione emotiva e addirittura percezione accurata del tempo e della realtà. Le persone multitasker digitali, che passano rapidamente da un’app all’altra, facendo più attività contemporaneamente, tendono a rispondere più facilmente alle distrazioni esterne irrilevanti, mostrando una ridotta capacità di filtrare le interferenze, minore precisione esecutiva e pazienza. (UncapherMR, LinL, Rosen LD, et al. Media Multitasking and Cognitive, Psychological,Neural, and Learning Differences.Pediatrics). 

In uno studio sul Journal of Behavioral and Experimental Economics , Rosenboim, 188 studenti universitari sosno stati divisi in tre gruppi che ricevevano messaggi ogni minuto, una volta ogni tre minuti o nessuno mentre compilavano un questionario: il numero di interruzioni ricevute condizionavano le risposte nel senso di maggiore impulsività, disattenzione e stress. Una ricerca della Ohio State University, su 26 volontari, pubblicata sul Journal of Experimental Psychology: Human Perception and Performance, ha dimostrato che le continue distrazioni quotidiane rappresentate da notifiche, messaggi, alert digitali creano una involontaria interruzione del pensiero che modifica la nostra percezione di ciò che è reale e spesso ci fa perdere il senso di ciò che stiamo facendo, anche senza rendercene conto al punto di sentirci sicuri che la percezione distorta creata dalla distrazione sia reale. (https://www.discovermagazine.com/technology/phone-notifications-are-messing-with-your-brain)

Senso di inadeguatezza e riduzione di autostima

Le persone sui social tendono a evidenziare e valorizzare gli aspetti positivi della loro vita, presentandosi perfetti, vincenti e soddisfatti. Ma chi ha la sensazione di non poter raggiungere quegli standard di positività può percepirsi in modo fallimentare, così da sminuire la propria autostima e favorire l’insorgenza di emozioni negative come gelosia, invidia, esclusione, autocopevolizzazione, tristezza e dolore. Un’indagine condotta dall’Università di York ha evidenziato che le giovani donne che si prendono una pausa dai social media, anche per una settimana, hanno un aumento significativo dell’autostima e dell’immagine del proprio corpo. Il fenomeno riguarderebbe soprattutto le donne più vulnerabili al perseguire l’ideale ‘magro’. Alla ricerca hanno partecipato 66 studentesse universitarie del primo anno. Alla metà è stato chiesto di continuare a utilizzare i social media come al solito, mentre all’altra metà è stato chiesto di astenersi dall’usare Instagram, Facebook, X, TikTok e altri social, per una settimana. 

Le partecipanti si sono sottoposte a test per determinare autostima e percezione del proprio corpo all’inizio e al termine dello studio, evidenziando i benefici della sospensione dai social, anche per un breve periodo. 

(Smith OE, Mills JS, Samson L. Out of the loop: Taking a one-week break from social media leads to better self-esteem and body image amongyoung women).

Secondo i ricercatori dell'Università del Queensland, la mancanza di “Mi piace” e feedback ai propri contenuti postati su Facebook potrebbe causare senso di solitudine, non appartenenza e perdita di autostima (https://www.tandfonline.com/doi/full/10.1080/15534510.2014.893924#.U13eT_mSw6Z). 

Indebolimento delle relazioni umane

Si è trovata una correlazione tra il tempo trascorso dai giovani sui media digitali e analfabetismo emotivo con una minore empatia con le altre persone, per mancanza di comprensione e immedesimazione in ciò che potrebbero pensare, difficoltà di riconoscimento delle loro emozioni o minor tempo trascorso assieme a favore di un eccessivo tempo speso online. (Beyari H. The Relationshipbetween Social Media and the Increase in Mental Health Problems. Int J Environ Res Public Health).

Il fenomeno del “phubbing” si riferisce allo snobbare il proprio interlocutore a favore del cellulare. Le ricerche dicono che il phubbing peggiora in maniera significativa la qualità di comunicazione e la relazione tra persone, caratterizzandosi come una vera e propria «forma di esclusione sociale», capace, quando lo si subisce, di «minacciare alcuni bisogni umani fondamentali, come l’appartenenza, l’autostima, il senso di realizzazione e il controllo». (Effects of Phubbing: Relationships With Psychodemographic Variables. Ergün N, Göksu İ, Sakız H.Psychol Rep. 2020 Oct;123(5):1578-1613)

Riduzione della felicità

Uno studio dell’Università dell’Essex in Inghilterra pubblicato su BMC Public Health ha indagato gli effetti dei social media sul benessere psicologico percepito in quasi 11mila giovanissimi tra i 10 e i 15 anni sul territorio nazionale. Mettendo in relazione il tempo speso sui social con un “punteggio di felicità”, è stato osservato un significativo rapporto tra uso dei social e infelicità percepita nelle ragazze, che peraltro usano i social più massivamente dei maschi. (Gender differences in the associations between age trends of social media interaction and well-being among 10-15 year olds in the UK. C. L. Booker, Y. J. Kelly & A. Sacker. BMC Public Health 2018)

Pessimismo

I sentimenti negativi e le difficoltà emotive possono alimentare sui social il “linguaggio digitale della sofferenza”: un esprimersi con toni dolenti, trattare temi di dolore, solitudine, abbandono, malinconia, desiderio di fine, usare una struttura particolare della lingua, caratterizzata da un maggiore utilizzo del pronome “io” e dei sostantivi e un uso ridotto dei verbi. Rientra in questo contesto anche il “vaguebooking”: scrivere sui social un messaggio intenzionalmente vago, con stile allusivo e di “non detto”, di non facile interpretazione per chi lo legge. È come un disperato grido di allarme, per invitare i lettori a chiedere all’autore qualche altra informazione. Parimenti esiste anche un “linguaggio visivo dell’angoscia”, come la tendenza all’uso dei filtri bianco e nero su Instagram.

Sindrome FOMO

Con l’acronimo FOMO (Fear of Missing Out) si indica la paura di essere isolato, escluso, tagliato fuori, di perdere qualcosa, di non essere nel posto giusto o di non aver visto, letto o ascoltato cose che si sarebbe dovuto, a differenza degli altri che lo hanno fatto. Si tratta di una forma di ansia sociale, alimentata dai social. Ne consegue l’iperconnessione: controllare ossessivamente eventi, post e attività sociali, “per non perdersi nulla”. Conduce a comportamenti compulsivi che inibiscono le interazioni sociali nella vita reale e il benessere emotivo. La condizione diametralmente opposta alla FOMO è la JOMO - Joy of Missing Out- quando volontariamente si sceglie di isolarsi da tutto e si spegne lo smartphone. (Qutishat MG, Al Dameery K, Al Omari O, Al Qadire M. CorrelationbetweenFear of Missing out and Night EatingSyndromeamong University Students. Iran J Psychiatry)

Disregolazione emotiva

Gli studi hanno trovato correlazioni significative dell’uso di internet e soprattutto dei social con disregolazione emotiva, irritabilità, impulsività e diminuzione della capacità di autocontrollo, sbalzi di umore, stress. (Gioia F, Rega V, Boursier V. Problematic Internet Use and EmotionalDysregulationAmong Young People: A Literature Review. ClinNeuropsychiatry). 

Uno studio pubblicato dai ricercatori dell’Università del Queensland (Australia) su Journal of Social Psychology ha trovato, su 138 partecipanti (18-40 anni), utilizzatori abituali di Facebook, che facendo sospendere per cinque giorni l’uso dei social si registra un calo dei livelli di cortisolo, ormone associato allo stress. (Vanman EJ, Baker R, Tobin SJ. The burden of online friends: the effects of giving up Facebook on stress and well-being).

Gli effetti sono tanto più gravi quanto prima inizia l’esposizione al web e quanto più è massiva. Secondo una ricerca pubblicata su JAMA Pediatrics su 422 genitori e 422 bambini dai 3-5 anni, condotta prima dell’inizio della pandemia da un team coordinato da Jenny Radesky, dell’Università del Michigan, negli Stati Uniti, l’uso frequente di dispositivi come smartphone e tablet per calmare bambini della fascia 3-5 anni è associato a un aumento dell’alterazione delle emozioni, soprattutto tra i maschi (reattività emotiva o disregolazione, come rapidi cambiamenti tra tristezza ed eccitamento, improvvisi cambi di umore e impulsività). Nel momento in cui viene tolto, per punizioni o altro, i figli hanno reazioni di rabbia forti, che è un indice di una dipendenza. (Radesky JS, Kaciroti N, Weeks HM, et al. LongitudinalAssociationsBetween Use of Mobile Devices for Calming and EmotionalReactivity and Executive Functioning in Children Aged 3 to 5 Years).

Un team di ricercatori in Ungheria e Canada in uno studio pubblicato su Frontiers in Child and AdolescentPsychiatry in cui hanno testato più di 300 genitori di bambini di età compresa tra 2 e 5 anni in un follow-up di 1 anno hanno dimostrato che se i genitori offrono regolarmente un dispositivo digitale ai loro figli per calmare attacchi di rabbia o per fermare i capricci, i bambini non imparano a regolare efficacemente le proprie emozioni più avanti nella vita, che causerà problemi di gestione della rabbia e della frustrazione.

Disturbi del sonno 

Numerosi studi documentano una relazione tra uso dei social media e scarsa qualità del sonno, riduzione della durata del sonno, difficoltà di addormentamento e risvegli, incubi, alterazione del ritmo sonno-veglia fino all’inversione del ritmo circadiano, con ripercussioni sulla qualità di vita, attenzione e perfomance durante la giornata. La cosiddetta “luce blu”, impercettibile all'occhio umano, emessa da tablet, pc e telefoni, incide negativamente sulla produzione di melatonina, attivando lo stato di veglia. La cattiva qualità del sonno aumenta il rischio di disturbi psichici, malattie cardiovascolari, disfunzioni metaboliche e peggiora la salute globale dell’individuo. (Disruption of adolescents' circadian clock: The vicious circle of media use, exposure to light at night, sleep loss and risk behaviors. Touitou Y, Touitou D, Reinberg A. J Physiol Paris. 2016 Nov;110(4 Pt B):467-479). 

La pandemia ha accentuato l’abitudine all’uso di dispositivi elettronici nelle ore che precedono il sonno, che è aumentato del 92,9%, e si è associato a diminuzione della qualità del sonno, aumento dei sintomi di insonnia, tempi di sonno totali più brevi, procastinamento dell’orario di addormentamento e di risveglio. (Changes of evening exposure to electronic devices during the COVID-19 lockdown affect the time course of sleep disturbances. Salfi, F, Amicucci G, Corigliano D et al. Sleep 2020; 44(9)2021 Sep 13).

I bambini in età scolare perdono l’equivalente di una notte di sonno ogni settimana a causa dell’uso eccessivo dei social media, secondo uno studio della De Montfort University Leicester, nel Regno Unito. Tra le abitudini più deleterie, dilazionare l’orario di addormentamento dilungandosi sullo smartphone e tenere accese le notifiche di messagistica istantanea durante il sonno. 

Deficit di attenzione con iperattività (ADHD)

L’ADHD rappresenta un disordine dello sviluppo neuropsichico caratterizzato da iperattività, impulsività, incapacità a concentrarsi, che si manifesta generalmente prima dei 7 anni di età. Si è ipotizzato che l’attività multitasking (passare rapidamente da un elemento all’altro) propria del mondo digitale possa favorirne l’espressione. 

Secondo uno studio canadese su oltre 2.400 bambini tra i 3 e i 5 anni della scuola materna, quelli che trascorrono più di 2 ore al giorno davanti a uno schermo (televisione, smartphone e tablet) manifestano un rischio di 6 volte maggiore di sviluppare un disturbo di attenzione con iperattività. 

Un gruppo di ricercatori Usa dell’Health, Emotion & Addiction Laboratory dell’University of Southern California di Los Angeles ha pubblicato su JAMA i risultati di uno studio in cui ha seguito più di 2.500 studenti delle scuole superiori di Los Angeles per oltre due anni informandosi, attraverso questionari, sui sintomi riconducibili ad ADHD e l’uso di device elettronici: è emersa una correlazione statisticamente significativa sebbene modesta tra una maggiore frequenza di utilizzo dei media digitali e i successivi sintomi di ADHD. (Ra CK, Cho J, Stone MD, et al. Association of Digital Media Use With SubsequentSymptoms of Attention-Deficit/Hyperactivity Disorder AmongAdolescents.)

Disturbi da insoddisfazione corporea

I social media sono sul banco degli imputati per la diffusione dei disturbi del comportamento alimentare e della dismorfofobia (ossessione sull’avere un difetto corporeo) in quanto il continuo confronto sociale e in particolare la tossicità dei modelli di successo assillantemente proposti dai web influencer di corpi esteticamente perfetti, innaturali e irraggiungibili, nutrono insicurezza, decadimento dell’autostima e sentimenti di frustrazione e insoddisfazione del proprio corpo che guidano scelte e condotte insane, in contrasto alla “body positivity”, il riconoscimento degli aspetti positivi del proprio corpo e accettazione di quelli che non piacciono.

Alle pressioni sulla forma, il web stesso offre soluzioni nefaste, attraverso la Fitinspiration, ossia lo stimolo all’ossessione per il fitness, con programmi di allenamento incontrollato, e la “Thininspiration”, ossia la spinta allo sviluppo di comportamenti anoressizzanti in nome di un ideale di assoluta magrezza, attraverso l’adozione di regole nutrizionali rigide e del tutto inadeguate, in quanto solitamente gli autori di contenuti sul cibo nei social non sono affatto esperti di alimentazione e possono consigliare diete non bilanciate, a volte anche estreme e dannose, basate su criteri ideologici e non scientifici. (Alberga, A.S., Withnell, S.J. & von Ranson, K.M. Fitspiration and thinspiration: a comparisonacrossthree social networking sites. J Eat Disord 6, 39 (2018).

Un trend recente è “What I eat in a day”: il racconto di cosa si mangia in un giorno. Spesso si tratta di contenuti realizzati da influencer con corpi magri che raccontano i loro pasti con commenti relativi alle porzioni, alle calorie o alla tipologia dei cibi scelti (e di quelli esclusi), senza nessuna validità scientifica.

Uno studio pubblicato suPlos One ha analizzato 1.000 video su TikTok in 10 popolari hashtag relativi al fitness o alla nutrizione, riscontrando una significativa “grassofobia” ed esaltazione della perdita di peso estrema e una serie di consigli su cibo e ricette per raggiungere la salute e la magrezza senza nessun apporto di esperti.

Un’indagine promossa dall’Associazione Nazionale Di.Te. (Dipendenze tecnologiche, GAP, cyberbullismo) in collaborazione con Skuola.net, il portale di informazione rivolto agli studenti – che ha raggiunto un campione di 1.668 giovani tra i 9 e 19 anni ha trovato che il 75% dei giovani utenti delle piattaforme confronta il proprio corpo con quello degli influencer o di altre persone che seguono con regolarità: tra questi, ben il 46% ha ammesso che il confronto ha influito sull’immagine di sé ed è stato motivo di una variazione nel proprio comportamento alimentare; il 31%, infine, ha provato diete o allenamenti proposti dagli influencer.

L’insoddisfazione per il proprio corpo è confermata dal boom di strumenti on line che permettono di ritoccare le proprie foto prima di postarle (il cosiddetto “Morphing”: modifica della propria immagine attraverso App). Circa il 30% delle adolescenti praticano un ritocco o usano filtri sulla propria immagine fotografica prima di condividerla sui social media. 

Secondo un sondaggio nazionale condotto online negli Stati Uniti da The Harris Poll per conto di The On Our Sleeves Movement For Children’sMental Health, il 69% dei genitori di bambini di età inferiore ai 18 anni pensa che le app e i filtri di modifica delle immagini dei social media abbiano un’influenza negativa sull’immagine del corpo che il proprio figlio ha nella sua mente, mentre il 65% dei genitori concorda sul fatto che i ‘trend topic’ dei social media legati all’aspetto fisico, come la dieta o l’esercizio fisico, hanno un’influenza negativa sull’immagine corporea dei propri figli.

Impatto sulla salute mentale

Secondo una stima del 2024 pubblicata su JAMA Psychiatry la prevalenza di disturbi della salute mentale supera l’11% nei bambini e nei giovani tra 5 e 24 anni. I ricercatori hanno utilizzato i dati dello studio Global Burden of Disease (GBD) del 2019 per stimare sia la prevalenza globale sia gli anni vissuti con disabilità (YLD) associati a disturbi mentali e da uso di sostanze (SUD) in quattro gruppi di età (5–9, 10–14, 15–19 e 20–24 anni). Le analisi hanno mostrato che, a livello globale, 293 su 2.516 milioni di individui di età compresa tra 5 e 24 anni avevano almeno un disturbo mentale e 31 milioni avevano un disturbo da uso di sostanze, con una prevalenza media rispettiva di 11,63% e di 1,22%. (Kieling C, Buchweitz C, Caye A, et al. Worldwide Prevalence and Disability From Mental Disorders AcrossChildhood and Adolescence: Evidence From the Global Burden of Disease Study. JAMA Psychiatry. 2024)

Diversi studi internazionali hanno evidenziato un link tra l’incremento di patologie neuropsichiatriche e la diffusione dell’uso dei social media. Questo è diventato particolarmente evidente con la pandemia: la sostituzione della relazione vis a vis con la comunicazione digitale e l’utilizzo di spazi virtuali al posto del contatto empatico diretto ha fatto impennare i casi di ansia, depressione, ideazione suicidaria. D’altro canto, le persone con maggiore vulnerabilità psichica sono indotte a tuffarsi di più nei social media, alimentando un circolo vizioso. (Beyari H. The Relationshipbetween Social Media and the Increase in Mental Health Problems. Int J Environ Res Public Health).

Secondo uno studio coordinato dall'Università della California, che ha preso in esame 9.204 bambini tra i 9 e i 10 anni, pubblicato su Journal of Adolescent Health, i bambini che passano troppe ore davanti a uno schermo hanno un rischio più alto di sviluppare il disturbo ossessivo compulsivo, con un aumento del rischio del 13% per ogni ora al giorno passata a giocare ai videogiochi e dell’11% per ogni ora passata a scorrere video. (Nagata JM, Chu J, Zamora G, Ganson KT, et al. Screen Time and Obsessive-Compulsive Disorder Among Children 9-10 Years Old: A ProspectiveCohort Study. J Adolesc Health).

Una revisione sistematica condotta nel gennaio 2023 utilizzando le parole chiave: “tempo sullo schermo”, “adolescente” e “salute mentale” sui database PubMed, PsycINFO e Scopus ha selezionato 50 articoli, la maggior parte dei quali ha documentato associazione tra durata di esposizione agli schermi e peggioramento della salute mentale negli adolescenti. Il dispositivo più utilizzato dagli adolescenti è risultato lo smartphone. In particolare, il suo utilizzo nei giorni feriali è stato associato a un diminuito benessere mentale. L’uso dei social media era associato negativamente al benessere mentale e, nelle ragazze, anche a un rischio più elevato di depressione.

(Santos RMS, Mendes CG, Sen Bressani GY, et al. The associationsbetween screen time and mental health in adolescents: a systematic review. BMC Psychol).

Molti studi hanno trovato una correlazione dose-risposta tra il tempo impiegato on line e i sintomi a carico del sistema nervoso. 

Secondo uno studio della Bloomberg School of Public Health alla Johns Hopkins University pubblicato su JAMA Psychiatry, svolto su oltre 6.000 adolescenti tra 12 e 15 anni, passare sui social più di 3 ore al giorno si associa a un raddoppio del rischio di disturbi della salute mentale: sintomi internalizzanti come isolamento, ritiro sociale, depressione, ansia, e sintomi esternalizzanti come aggressività e comportamenti antisociali. (Riehm KE, Feder KA, Tormohlen KN, et al. AssociationsBetween Time Spent Using Social Media and Internalizing and ExternalizingProblemsAmong US Youth. JAMA Psychiatry).

Da uno studio dell’Hanyang University Medical Center in Corea, condotto su oltre 50.000 adolescenti e pubblicato sulla rivista Plos One, gli adolescenti che utilizzano lo smartphone per più di 4 ore al giorno hanno un rischio maggiore di sviluppare disturbi di salute mentale.

Si è stimato che ogni ora aggiuntiva di attività di social networking al giorno aumenta il rischio negli studenti di depressione, ansia e tendenze suicidarie, tanto che parla di “depressione da Facebook”.

Effetti negativi sono stati documentati anche negli adulti: uno studio americano ha messo in evidenza la stretta correlazione tra esperienze negative vissute sui social e depressione in 1.179 universitari di età compresa tra 18 e 30 anni: per ogni aumento del 10% delle esperienze negative sui social network ci sarebbe un aumento del 20% della probabilità di andare incontro a sintomi depressivi. (Dejonckheere E, Bastian B, Fried EI, et al. Perceiving social pressure not to feel negative predicts depressive symptoms in daily life. DepressAnxiety).

Ricercatori del Massachusetts General Hospital, Boston hanno svolto una ricerca sugli effetti dei social media sugli adulti condotta tramite la somministrazione di un questionario online, i cui risultati sono stati pubblicati su JAMA Network Open. Il questionario è stato compilato da ognuno dei soggetti arruolati nello studio una volta al mese per circa un anno (tra maggio 2020 e maggio 2021). Sono state analizzate le risposte fornite da 5395 soggetti dai 18 anni in su, con un’età media di 56 anni, nessuno dei quali presentava sintomi depressivi significativi all’inizio dello studio, ma in base ai punteggi ottenuti nel Patient Health Questionnaire di 9 items (PHQ-9) l’8.9% dei soggetti ha riportato un peggioramento di 5 o più punti al PHQ-9 durante il periodo di studio. Sono risultati gli utenti nell’ordine di Snapchat, Facebook e TikTok quelli che hanno manifestato più probabilità di riscontrare un aumento di sintomi depressivi. In particolare, l’uso di TikTok e Snapchat è stato associato a un aumento dei sintomi depressivi nei soggetti di età maggiore ai 35 anni, Facebook nei soggetti di età minore di 35 anni.

Esisterebbero anche delle differenze di genere nell’impatto dei social sulla salute mentale.

Secondo una ricerca britannica dell’UK Economic and Social Research Council (ESRC) che ha analizzato dati provenienti da quasi 11.000 giovani, le ragazze sono molto più esposte dei maschi a ripecussioni negative dall’ultilizzo dei social media: molestie online, ansia, depressione, scarsa autostima, disturbi del sonno; in parte potrebbe dipendere dal fatto che passano più tempo on line. 

(Kelly Y, Zilanawala A, Booker C, Sacker A. Social Media Use and AdolescentMental Health: Findings From the UK Millennium Cohort Study. EClinicalMedicine).

Gli studi si sono anche interrogati sui meccanismi attraverso cui i social impattano sulla salute mentale. 

Uno studio pubblicato sulla rivista Nature Reviews Psychology ha identificato quattro meccanismi cognitivi che entrano in gioco quando si interagisce sui social media:

  1. Il concetto di sé, definito come le credenze e le valutazioni di una persona riguardo alle proprie qualità e caratteristiche.
  2. Il confronto sociale, che attiene al confronto con gli altri utenti, che porta a classificarsi socialmente.
  3. Il feedback sociale: in base ai feed-back che si ricevono su come si viene percepiti (approvazione, rimproveri, cyberbullismo) si consolida la percezione di sé. 
  4. Inclusione sociale: dalla percezione globale della propria vita social la persona deriva il proprio senso di appartenenza, significatività, autostima e riconoscimento.

Sono stati poi sottolineati dei comportamenti a rischio dei giovani sui social media, che possono indicare la loro vulnerabilità a incorrere in problemi di salute mentale: 

-Un comportamento di “posting” rischioso, definito come tendenza a postare immagini, attività o pensieri estremi, provocatori, pericolosi, esagerati, volti principalmente ad accaparrarsi like o stupire, interessare, scandalizzare i followers. 

-Pubblicazione eccessiva di informazioni personali, anche come stati d’animo e situazioni familiari, che espone al rischio di cyberbullismo, molestie online e vittimizzazione. 

-Tendenza a voler dare di sé una diversa impressione di quello che si è davvero, con pericoloso sdoppiamento della personalità che può spingere l’adolescente a volersi mostrare anche dal vivo come si è descritto sui social, anche se la propria natura è diversa.

(Orben A. 2024. Mechanisms linking social media use to adolescentmental health vulnerability. Nature Reviews Psychology).

Uso problematico dello smartphone (Psu)

L’uso problematico dello smartphone (Psu) è una nuova entità clinica psichiatrica che si riferisce alla condizione in cui l’utilizzo dello smartphone si accompagna a uso compulsivo del dispositivo che provoca varie forme di danno fisico, psicologico o sociale con aumento delle probabilità di soffrire di cattiva salute mentale. 

Secondo una revisione sistematica e metanalisi su 41 studi, 3 di coorte e 38 trasversali, per un totale di 41.871 individui, in circa 1 minorenne su 4 si verifica Psu (23,3%). L’analisi ha mostrato associazione tra Psu e aumento delle probabilità di depressione (Or=3,17), ansia (Or=3,05), stress percepito (Or=1,86) e scarsa qualità del sonno (Or=2,60).

Il Psu è legato all’utilizzo di social media e videogiochi, che hanno le caratteristiche per indurre dipendenza negli utilizzatori. (Marino C et al. The overlap between problematic smartphone use and problematic social media use: a systematic review. Current Addiction Reports (2021): 1-12)

Secondo la ricerca realizzata dall’Istituto Demoskopika, sono circa 1,1 milioni gli Italiani con meno di 35 anni che hanno un elevato rischio di dipendenza da social media: 430 mila tra i 18 e i 23 anni, 390 mila tra i 24 e 29 anni, 308 mila tra i 30 e i 35 anni. L’uso problematico si caratterizza per alcuni comportamenti: hanno bisogno di usare sempre di più i social, nonostante i tentativi non riescono a smettere di impiegarli, hanno comportamenti ansiosi o agitati legati al mancato utilizzo, sacrificano ore di studio o di lavoro per dedicarvisi. L’utilizzo eccessivo e pervasivo dei social finisce per limitare i rapporti interpersonali e compromettere la salute mentale. 

Secondo il Report sulle tecnologie digitali all’interno della popolazione adolescenziale 2022, pubblicato dall’Iss nell’ambito dello studio multicentrico internazionale HBSC (Health Behaviour in School-aged Children) svolto in collaborazione con l’Ufficio regionale per l’Europa dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), che ha coinvolto 89.321 ragazzi e ragazze tra gli 11 e i 17 anni di età da tutta Italia, circa 4 adolescenti su 5 utilizzano i social ogni giorno, e 1 su 10 è a rischio di sviluppare uso problematico, di cui più le ragazze: il 10,3% dei maschi e il 16,9% delle femmine. I segnali di uso problematico dei social sono stati considerati: ansia di accedere al web; volontà di passare sempre più tempo online; sintomi di astinenza quando si è offline; fallimento nel controllo del tempo passato on line; trascurare altre attività; litigi con genitori a causa dell’uso; problemi con gli altri; mentire ai genitori; usare i social per evadere da sentimenti negativi. 

L’analisi ha studiato anche l’utilizzo dei videogiochi: il 25% degli adolescenti utilizza i videogiochi quotidianamente, con rischio di uso problematico maggiore per i ragazzi: il 22,1% dei maschi e il 14,8 delle femmine. Tra i segnali di uso problematico: “sentirsi assorbiti dai videogiochi”.

Uno studio longitudinale che esaminato gli effetti diretti e indiretti dell’uso problematico dello smartphone da parte degli adolescenti sulle capacità comunicative in ambito familiare e sui conflitti con i genitori sull’uso dello smartphone, analizzando un campione di 284 adolescenti (59,4% ragazze), di età compresa tra 10 e 15 anni, ha mostrato un significativo effetto indiretto dell’uso problematico dello smartphone sulle capacità di comunicazione, la comunicazione familiare, i conflitti tra genitori e adolescenti riguardo al tempo trascorso utilizzando gli smartphone, concludendo che l’uso eccessivo ed estensivo degli smartphone può rappresentare un fattore di rischio per frequenti conflitti tra genitori e adolescenti, scarsa comunicazione familiare e scarse capacità comunicative degli adolescenti. 

Addiction

Per “Internet Addiction Disorder” si intende la dipendenza comportamentale dal web, associata a disagi nell’ambito relazionale, scolastico-lavorativo e familiare, con sintomi quali disturbi dell’umore, dell’appetito e del sonno, stanchezza cronica, ansia e depressione, cancellazione dei rapporti reali, anaffettività, paura della realtà, segni fisici da astinenza. fino a disturbi psichici come iperattività, aggressività e comportamenti antisociali, ansia, depressione, suicidalità.

Sono descritte diverse entità psicopatologiche:

      • “Social network addiction”: ossessione di aggiornamento e controllo del proprio profilo.
      • “Friendship addiction”: spasmodica ricerca di nuove amicizie virtuali.
      • “Dipendenza da videogioco”.
      • Vamping”: trascorrere numerose ore notturne sul web.
      • Nomofobia” o “Cellularomania”: fobia di restare senza connessione col proprio smartphone.

Il meccanismo della dipendenza sembra risiedere nei circuiti cerebrali del piacere e della ricompensa, come per le dipendenze da sostanze. 

Secondo uno studio austriaco pubblicato su Cyberpsychology, Behavior, and Social Networking i social creano astinenza come nelle dipendenze da sostanze: a oltre 1.000 individui dai 18 anni in su è stato proposto di stare lontani dai social per 7 giorni ma solo 152 (meno del 15%) è riuscito ad aderire, e di questi quasi il 60% del campione è contravvenuto alla regola di non usare Facebook e WhatApp prima dello scadere dei 7 giorni. Tra i partecipanti è stato registrato un elevatissimo incremento del desiderio (voglia eccessiva, quasi un bisogno psicofisico) di usare i social durante il periodo di astinenza. (https://www.liebertpub.com/doi/abs/10.1089/cyber.2018.0070).

Una ricerca del Great Ormond Street Institute of Child Health pubblicata su Plos Mental Health, che ha esaminato 12 precedenti studi, per un totale di 237 giovani tra i 10 e i 19 anni cui è stata diagnosticata la dipendenza da internet, conclude che più tempo si trascorre connessi a internet e maggiore sarà la voglia di restare in rete. Il meccanismo che innesca la dipendenza risiede, come ha dimostrato la risonanza magnetica funzionale sia in una condizione di riposo sia mentre i giovani svolgevano attività connessi ad internet, nei cambiamenti in diverse reti neurali del cervello che influenzano il comportamento e lo sviluppo di un adolescente: si è verificata in particolare una diminuzione complessiva della connettività funzionale nelle parti del cervello coinvolte nel pensiero attivo, la memoria e il processo decisionale. (M. L. Y. Chang, I. O. Lee. Functionalconnectivitychanges in the brain of adolescents with internet addiction: A systematic literature review of imaging studies. Plos Mental Health).

La Commissione europea ha avviato un'indagine approfondita nei confronti di Meta per la possibile violazione delle norme Ue contenute nel Digital Services Act (Dsa) a tutela dei minori. L’Ue paventa che i sistemi di Facebook e Instagram, compresi i loro algoritmi, possano sfruttare le debolezze e l'inesperienza dei minori e stimolare dipendenze comportamentali nei minori e creare effetti di isolamento e depressione rischiosi per la loro salute mentale. Sotto la lente anche i metodi di verifica dell’età messi in atto da Meta per impedire l’accesso di bambini e adolescenti a contenuti inappropriati. Per chi viola le norme, il Digital Services Act prevede multe fino al 6% del giro d'affari annuo globale delle società e, in caso di recidiva, il divieto di operare in Europa. Il 22 aprile scorso l'Ue, mossa dagli stessi timori relativi alla tutela degli adolescenti, aveva aperto un'indagine nei confronti di TikTok, portando pochi giorni dopo il popolare social cinese a sospendere il suo programma a premi sulla app Lite in Francia e in Spagna per il rischio che il sistema possa indurre dipendenza negli utenti, in particolare gli adolescenti.

Ritiro sociale

L’abuso di internet può arrivare all’isolamento, la riduzione dei rapporti con i pari e il ritiro sociale, se diventa un pericoloso surrogato della realtà quotidiana che proietta il soggetto in un sistema sociale alternativo, un mondo irreale, narcisistico e autoreferenziale protetto dal confronto diretto con gli altri.

Il quadro estremo è la sindrome dello “Hikikomori” (“recluso”), I criteri per la diagnosi, mutuati dalle linee guida giapponesi, prevedono la persistenza per almeno 6 mesi di 4 sintomi: 

      1. Trascorrere la maggior parte del giorno e la maggior parte dei giorni a casa. 
      2. Evitamento di situazioni sociali (scuola, lavoro). 
      3. Evitamento di relazioni sociali (amici, famiglia). 
      4. Disagio e mancanza relativi alla sensazione di isolamento sociale.

Non è una malattia psichiatrica, tanto è vero che non rientra in nessuna categoria del Manuale diagnostico dei disturbi mentali DSM. Deve essere piuttosto interpretato come una variante di comportamento, una scelta di vita. Il nucleo psicopatologico di questo stile di comportamento è una ribellione silenziosa contro il modello imposto da società, scuola e famiglia che è basato sulla realizzazione sociale, la competitività, la produttività. Per una sua insicurezza, bassa autostima o eccessiva sensibilità, il giovane si sente inadeguato, rifiutato e respinto da questo modello sociale. un luogo sicuro dove non essere osservato, giudicato, coinvolto. È dunque un isolamento difensivo in un “suicido sociale”. 

Il disturbo ha una prevalenza maschile di circa 4:1 (le femmine rispondono alle stesse sollecitazioni più spesso con disturbi alimentari). Il disagio insorge tipicamente tra i 14 ei 25 anni, gli anni in cui un individuo è sollecitato ad assumere decisioni importanti per la propria vita sociale, affettiva e lavorativa. Il momento più critico è il passaggio dalle scuole medie alle superiori. Ma ci sono Hikikomori di tutte le età, anche anziani. Si parla di Hikikomori primario se non sussistono altri disturbi che spieghino l’auto-reclusione, di Hikikomori secondario quando i soggetti sono affetti da una patologia mentale (es. depressione, ansia, disturbo ossessivo-compulsivo, schizofrenia). Per molto tempo si è pensato che il ritiro sociale fosse la conseguenza dell’uso sfrenato di internet e videogiochi. Invece, il mondo virtuale è l’unica alternativa che resta a questi ragazzi quando decidono di ritirarsi dalla società.

Estremizzazione delle posizioni

Sui social si verifica il fenomeno della “polarizzazione” nel senso che quando si trovano contenuti su cui si è d’accordo e persone che li sostengono, il proprio punto di vista si rinforza (“confirmation bias”) e si è portati a difendere la propria tesi con furore ideologico a dispetto di tutto. Si creano così le “echo chambers”, o “camere d’eco”, spazi online, in cui le proprie idee e opinioni vengono rafforzate e confermate. Nei gruppi social per la “legge della polarizzazione dei gruppi”, si tende a diventare sempre più estremisti, assolutisti e violenti nelle proprie posizioni a dispetto di ogni razionalità e rispetto per le opinioni degli altri. 

Perdita della privacy

Soprattutto nei più giovani, lo spirito e il desiderio di comunicare, conoscersi e confrontarsi, il falso senso di protezione fornito dalla mancanza di contatto diretto, il narcisismo, hanno spesso il sopravvento sulla razionale esigenza della privacy e si cade nella trappola di diffondere in rete informazioni e foto personali senza nessuna prevenzione, esponendosi al voyuerismo collettivo dei social. Si va così incontro al rischio di iperesposizione, perdita dei confini pubblico-privato-intimo, self-spectacularization. Peraltro, la pubblicazione di fotografie, video e contenuti sulle piattaforme ne fa perdere il controllo: chiunque può appropriarsene senza che il proprietario ne abbia contezza. Chi viene a conoscenza di dati personali degli utenti può farne uso per marketing, manipolazioni, persuasione occulta, furto d’identità, molestie sessuali, cybergrooming (pratiche di adescamento di minori da parte di adulti con intenti sessuali, che si avvalgono di false identità e di tecniche di manipolazione psicologica), ricatto, violenza, persecuzione (stalking), cyberbullismo, phishing (truffa effettuata su Internet attraverso la quale un malintenzionato cerca di ingannare la vittima convincendola a fornire informazioni personali, dati finanziari o codici di accesso, fingendosi un ente affidabile), doxing (divulgazione senza permesso di dati personali, immagini, video o informazioni sensibili).

Social Challenge 

Le “sfide on line” possono indurre negli utenti azioni pericolose e nocive, atti di autolesionismo fino all’omicidio e al suicidio, come riportato da tragici fatti di cronaca. Si tratta di sfide lanciate sui social fatte di piccoli step con rischi sempre più elevati, come accadde nel 2015 con la cosiddetta “Blue Whale Challenge”: un elenco di 50 sfide o “regole” che andavano dalla più innocua alla più drammatica: l’ultima era un esplicito invito al suicidio.

Secondo l’Istituto superiore di sanità, in base a uno studio epidemiologico realizzato nell’ambito del Progetto dipendenze comportamentali nella Generazione Z dal Centro Nazionale Dipendenze e Doping con il supporto del Dipartimento delle Politiche Antidroga della Presidenza del Consiglio dei Ministri, su più di 8.700 studenti italiani di età tra gli 11 e i 17 anni intervistati nell’autunno del 2022, il 6,1%, in tutto circa 243mila ragazzi, ha partecipato almeno una volta nella vita a una sfida social pericolosa. Sono più coinvolti i maschi e i più giovani. 

Tra le challenge venute di recente alla ribalta della cronaca:

      • “Skullbreaker challenge” (“spacca cranio”): la sfida vede due complici sfidare la vittima a imitare i loro movimenti e a compiere un salto. In un primo momento i due complici si mettono ai lati della vittima e saltano contemporaneamente. In seguito, sfidano la vittima dello scherzo, posta al centro, a fare lo stesso. Nella fase aerea del salto i due complici colpiscono con un calcetto all'altezza dei polpacci il povero malcapitato per far cambiare il baricentro della vittima e farla cadere al suolo di schiena. La caduta, che a quel punto non si può più controllare a causa dell’inaspettato cambio del punto di equilibrio, fa impattare violentemente la vittima al suolo, facendole sbattere la schiena e la nuca. Una caduta del genere potrebbe causare gravissimi danni a chi subisce lo scherzo: perdita di coscienza, traumi cranici che possono portare a danni cerebrali permanenti, traumi alla colonna vertebrale, fino alla paralisi.
      • “Knock out challenge”: aggressioni ai danni di un passante con l’intento di “metterlo fuori combattimento”, con un solo colpo: schiaffi, pugni o oggetti contundenti. L’aggressore si avvicina al malcapitato, per chiedere l’ora, e colpisce all’improvviso con violenza in testa, fino a lasciarlo tramortito a terra, mentre avviene la videoregistrazione dell’aggressione fisica da parte dei complici, per la pubblicazione del filmato nei social network.
      • “Balconing challenge”: saltare da un balcone o da una finestra posti a un piano elevato su un altro balcone. Tale attività viene solitamente effettuata sotto l’effetto di alcool e droghe, e il salto viene filmato per poi essere caricato su siti web. La moda del balconing ha avuto inizio nelle isole Baleari di Ibiza e Maiorca nei primi anni duemila: dal 2005 al 2009 sono stati registrati almeno 10 casi di balconing ad estate. La massima diffusione si è però avuta nell'estate 2010, con oltre 30 casi di balconing, 6 morti e 11 feriti. 
      • “Tide Pods Challenge”: ci si filma mentre si morde e si finisce per mangiare le capsule trasparenti contenenti detersivo per la lavatrice. Che sono notoriamente tossiche.
      • “BirdBox Challenge”: compiere azioni da bendati, su ispirazione di Bird Box, film diffuso a dicembre 2018 da Netflix, con protagonista Sandra Bullock, i cui protagonisti stanno bendati per evitare un'entità misteriosa che induce al suicidio chiunque la guarda.
      • “Food challenge”: esempio mangiare una quantità enorme di cibo in un tempo limitato (“speed eating”, “competitive eating”) come 10 kg di carne o 1,5 kg di pizza o pasta in 30 minuti, oppure,la sfida del “Fear Food Jar” , mangiare un cibo che prima era tabù per la persona, o i “Girl Dinner” su Tik Tok in cui le ragazze si sfidano su pasti a basso contenuto calorico. 

Esposizione a contenuti aggressivi e violenti

L’esposizione online, sotto forma di messaggi, immagini, video, giochi, a contenuti inappropriati, soprattutto per i giovani, di ostilità e odio, rabbia, violenza, aggressività o materiale pornografico, può indurre disagio, turbamento, ansia, depressione, e aumenta il rischio, per imitazione, di condotte a rischio e sessualizzazione precoce. I giovani fino a 21 anni sono più a rischio di fronte a contenuti forti in quanto non hanno ancora uno sviluppo adeguato della corteccia pre-frontale, responsabile del controllo degli impulsi e della consapevolezza delle conseguenze delle azioni proprie e altrui, che comincia a maturare a partire dai 12 anni. 

Lo studio Unicef “L’esposizione dei bambini e degli adolescenti a messaggi di odio e immagini violente online” dell’UNICEF Global Office of Research and Foresight, basato su analisi svolte su 31.790 bambini e adolescenti di età compresa tra 12 e 16 anni di 36 Paesi (anche l’Italia) che hanno partecipato a uno dei sondaggi Disrupting Harm, EU Kids Online o Global Kids Online tra il 2016 e il 2021 e su dati secondari sull’accesso individuale a Internet provenienti dal database degli indicatori ICT dell’Unione Internazionale delle Telecomunicazioni (2022), ha trovato che l’esposizione dei bambini e dei ragazzi a messaggi di odio varia, a seconda dei Paesi, dall’8% (Indonesia e Vietnam) al 58% (Polonia), mentre l’esposizione a immagini violente ha mostrato una gamma simile, compresa tra il minimo in Indonesia (15%) al massimo in Polonia (55%). In Italia circa il 37% dei bambini e giovani sono esposti a messaggi di odio e oltre il 34% a immagini cruente e violente. 

Cyberbullismo

L’uso problematico dei social media, tra cui Tumblr e Snapchat, è stato riconosciuto dalla letteratura quale un importante fattore di rischio per cyberbullismo, soprattutto nei ragazzi di età compresa tra i 13 e i 15 anni. Il “cyberbullismo” o “bullismo online” è l’attuazione di qualunque forma di pressione, aggressione, molestia, discriminazione, ricatto, ingiuria, denigrazione, diffamazione, furto d’identità, acquisizione illecita, manipolazione, trattamento di dati personali in danno di minorenni, realizzata per via telematica, grazie ai mezzi informatici e le correlate opportunità di comunicazione, condivisione e scambio di informazioni, mediante social network, forum, chat, messaggistica oltreché alle piattaforme di gioco, nonché la diffusione di contenuti on line aventi ad oggetto anche uno o più componenti della famiglia del minore, il cui scopo intenzionale e predominante sia quello di danneggiarlo. (Peebles E. Cyberbullying: Hidingbehind the screen. Paediatr Child Health).

Secondo i dati del Centro nazionale anti-cyberbullismo (CNAC), nella fascia di età 11-17 anni in Italia 1 ragazzo su 4 in Italia è stato coinvolto in episodi collegati a cyberbullismo. 

Secondo i dati del 2022 dell’indagine “Tra digitale e cyber risk: rischi e opportunità del web”, che è stata realizzata oltre 1.300 soggetti dai 6 ai 18 anni di età dal MOIGE (Movimento Italiano Genitori) in collaborazione con l’Istituto Piepoli, dal 2020 sono aumentati dell’8% gli episodi di cyberbullismo (dal 23% al 31%).

Il cyberbullismo può esprimersi in diverse forme: “Flaming” (pubblicazione di messaggi dal contenuto aggressivo, violento, volgare, denigratorio, allo scopo di suscitare liti e battaglie verbali in un sistema informatico, in danno di un utente online); Molestie o “Harassment” (invio ripetuto e continuativo di messaggi di natura insultante, volgare, aggressiva o minatoria volti a irritare e ferire psicologicamente la vittima); “Denigrazione” (diffusione per via informatica di notizie, immagini, vere o artefatte che siano, con lo scopo di ledere l’immagine, la reputazione e la riservatezza di qualcuno); Sostituzione di persona o “Impersonation” (accesso non autorizzato nel profilo online di una persona, fingendo di essere lei per realizzare attività con lo scopo di nuocerle); Inganno (ottenere la fiducia di qualcuno per poi pubblicare o condividere sui mezzi elettronici le informazioni confidate); Rivelazione o “Exposure” o “Outing” (rendere pubblici segreti o informazioni private o imbarazzanti riguardanti la vittima, senza la sua approvazione o contro la sua esplicita volontà, per metterla in cattiva luce o farla vergognare); “Esclusione” (escludere deliberatamente una persona da un gruppo online per provocare sentimenti di emarginazione); Persecuzione online o “Cyberstalking” (molestie e denigrazioni ripetute e minacciose, mirate ad incutere paura nella vittima); “Trolling”: pubblicazione di contenuti provocatori, con la conseguenza di innescare un conflitto o causare angoscia.

Gli spettatori in rete acquisiscono un ruolo attivo, di propagatori della diffamazione, attraverso diffusione, like e condivisioni. 

Comportamenti a rischio

Il web e in particolare i social veicolano una subcultura digitale talvolta portata alla normalizzazione della violenza, del degrado, della sessualità senza limiti (anche attraverso finestre pop-up o pubblicità), promuovendo comportamenti trasgressivi o dannosi per la salute quali abuso di alcool, tabacco e droghe, gioco d’azzardo, uso di violenza fisica e verbale (comportamenti antisociali), “cybersex” (sesso on line), “transactional sex” (sesso in cambio di regali), sessualità materialistica e anaffettiva, distacco emotivo, assenza di empatia, sessismo e misoginia. 

Una revisione sistematica di 73 studi che tra il 1997 e il 2022 hanno complessivamente coinvolto circa 1,4 milioni di bambini e ragazzi di età compresa tra i 10 e i 19 anni a cura dei ricercatori dell’Università di Glasgow, pubblicata sul BMJ, ha trovato una stretta correlazione tra comportamenti a rischio ed esposizione ai contenuti mediatici, in accordo con la teoria dell’apprendimento osservazionale.

Diffusione incontrollata di notizie fallaci

Il web può fornire fake news (“bufale”), che, spesso a causa del loro contenuto emozionale, possono innescare comportamenti sbagliati o dannosi nell’accesso alle cure, nell’uso di farmaci o nell’adozione di diete, abitudini (es, fumo, alcol) o stili di vita. Queste notizie false possono essere presentate volontariamente in maniera faziosa o distorta, manipolate o decontestualizzate (“disinformation”), o involontariamente diffuse in maniera non corretta per errori alla fonte (“minsinformation”), o vere ma diffuse appositamente per creare danno es. il cyberbullismo e i discorsi d’odio (“malinformation”).

Rischi da onde elettromagnetiche

Non sono ancora chiari gli effetti da interazione del campo elettromagnetico dei cellulari con il corpo, che, causando aumento delle temperature in caso di esposizioni prolungate e intense, può comportare morte delle cellule con necrosi dei tessuti. 

Cefalea

La cefalea da uso prolungato di social o videogames può riconoscere diverse cause: posturale (cervicogenico), di tipo visivo (la luce blu), di tipo tensivo, da stimolazione luminosa (emicrania), da stress emotivo. Nella scoping review della Società Italiana di Pediatria, pubblicata su “International Journal of Environmental Research and Public Health”, che ha analizzato 68 lavori scientifici condotti dal 2004 al 2022 con l’obiettivo di indagare i rischi correlati all’uso dei social media negli under 18, in particolare nel pre e post Covid-19, è emerso che gli adolescenti che trascorrono più di 3 ore davanti allo schermo hanno un rischio significativamente maggiore di presentare mal di testa rispetto a quelli che utilizzano i dispositivi per meno di 2 ore. In particolare, il rischio sembra essere superiore in caso di un utilizzo “problematico” dei social media, rispetto ai coetanei con un utilizzo “non problematico”. (Bozzola E, Spina G, Agostiniani R, Barni S, Russo R, Scarpato E, Di Mauro A, Di Stefano AV, Caruso C, Corsello G, et al. The Use of Social Media in Children and Adolescents: Scoping Review on the Potential Risks).

Obesità

È stato documentato un forte legame tra i livelli di obesità nei Paesi europei e l’esposizione a tv, computer, tablet e cellulare nell’infanzia, tanto che si parla di “Obesità da schermo”.

Il link è che l’uso dei media e in particolare dei social può avere ripercussioni negative sullo stile di vita (sedentarietà) e sulle abitudini alimentari. L’utilizzo crescente di dispositivi elettronici con la pandemia ha ulteriormente ampliato l’esposizione dei minori alla pubblicità on line dell’industria alimentare, con il conseguente incremento di acquisto di cibo e bevande ipercaloriche che hanno fatto aumentare la diffusione di sovrappeso e obesità (la cosiddetta “covibesity”, obesità da Covid). Il marketing digitale per la promozione di “cibo spazzatura” ha un potente effetto persuasivo sui minori. I fondi stanziati dai governi per programmi di educazione sono molto inferiori a quelli spesi da industria alimentare per reclamizzare i propri prodotti. Già in età pre-scolare, l’esposizione per più di 2 ore al giorno ai social media rappresenta un fattore di rischio per incremento ponderale.

Il marketing digitale è il più pervasivo in quanto mentre le pubblicità televisive hanno un intervallo a loro dedicato tra un programma e un altro, nel digitale l’annuncio è incorporato in un contenuto online e necessita quindi di un’elaborazione cognitiva minima. 

Le imprese alimentari tentano di influenzare il comportamento d’acquisto delle famiglie attraverso messaggi pubblicitari rivolti ai figli in quanto i bambini attualmente hanno un ruolo sempre più partecipe e determinante nelle scelte dei consumi e nelle abitudini di acquisto di tutta la famiglia e mostrano particolare vulnerabilità delle proprie scelte in base ai messaggi pubblicitari. L’advertising rivolto ad un pubblico di mini-consumatori è studiato con specifiche caratteristiche, esempio scene caratterizzate da molta azione, effetti sonori e musica, colori, colpi di scena. Obiettivo è che il bambino si ricordi della pubblicità e, al ripetersi dello stimolo, si rinforzino l’affezione al prodotto e il bisogno di possederlo.

Molto utilizzati anche i “kid-influencers”. Uno studio ha dimostrato che i bambini consumano quantità significativamente maggiori di alimenti del marchio sponsorizzato da testimonial famosi rispetto a prodotti uguali di marchi alternativi.

Un altro studio ha trovato che alcuni post di vlogger su Instagram nei quali apparivano alimenti HFSS (High Fats, Sugars and Sodium), hanno aumentato di gran lunga il consumo di questi ultimi da parte dei bambini di età compresa tra i 9 e gli 11 anni che seguivano i loro profili.

(Coates, A. E., Hardman, C. A., Halford, J. C. G., et al. The effect of influencer marketing of food and a “protective” advertising disclosure on children's food intake. Pediatric obesity, 2019, 14(10), e12540).

Una revisione di 123 studi sul marketing dei prodotti alimentari per bambini e adolescenti pubblicata sul New England Journal of Medicine evidenzia una significativa correlazione tra la pubblicità rivolta ai minori e le loro scelte alimentari poco salutari. L’Istitute of Medicine (IoM), responsabile di questa revisione, lancia un’accusa precisa alle industrie alimentari, le quali con il loro marketing poco etico “intenzionalmente si rivolgono a bambini troppo piccoli per distinguere la pubblicità dal vero, inducendoli a mangiare cibi spazzatura poveri di nutrienti ma elevati in calorie (e molto redditizi)”. Secondo l’Iom, già a 2 anni la maggior parte dei bambini è in grado di riconoscere un prodotto al supermarket e di chiederlo insistentemente ai propri genitori. 

Esistono anche dei video su yotube che stimolano gli utenti a pratiche alimentari scorrette e iperfagiche, ad esempio:

      • Video «Mukbang»: il termine deriva dal coreano ed è costituito dall’unione fra la parola “mangiare” e la parola “trasmettere”. Gli youtuber che realizzano questa tipologia di video solitamente siedono a tavola e consumano il loro pasto davanti alla videocamera, mostrando ciò che stanno per mangiare e conversando con i potenziali spettatori del video come se fossero seduti a tavola insieme a loro. In alcuni video realizzano delle abbuffate di cibo e talvolta danno il via a challenge social. 
      • «Eating sounds ASMR»: la parola ASMR è un acronimo che sta per “risposta autonoma del meridiano sensoriale” e indica una sensazione di rilassamento mentale, spesso accompagnata da un formicolio dietro la nuca, provocata da stimoli esterni, principalmente di tipo uditivo, ma anche visivo. Lo youtuber può provocare questo effetto nello spettatore con diverse tecniche, es. parlando con voce sussurrata davanti alla videocamera; nella versione che coinvolge il cibo vengono proposti suoni che provengono dalla masticazione del cibo, mentre lo youtuber mangia rumorosamente cibi croccanti, pane, frutta fresca, aloe vera, miele direttamente dal favo. 

(Vargas Meza X, Yamanaka T. Food Communication and itsRelated Sentiment in Local and Organic Food Videos on YouTube. J Med Internet Res. 2020).

Disturbi della vista

Descritti: fastidi da luce blu (rossore, secchezza, lacrimazione, bruciore, prurito, sensazione di corpo estraneo, affaticamento, ammiccamento), aumento della miopia nei bimbi e ragazzi tra i 6 i 16 anni, danni alla retina (degenerazione maculare), strabismo da smartphone (“esotropia concomitante acuta”). 

Problemi ortopedici

Sono stati descritti: disturbi posturali, quali rachialgia cervicali e lombo-sacrali da posizioni viziate protratte (“Text Neck”); tendinite del polso o del pollice (“pollice da sms” o “da smartphone”), accorciamento della muscolatura posteriore delle cosce da protratta postura seduta, dolori muscolo-scheletrici. 

L’utilizzo eccessivo del cellulare già in gravidanza potrebbe avere delle ripercussioni negative sul feto. Uno studio spagnolo pubblicato nel 2017 su Environment International, che ha esaminato oltre 80 mila coppie di madri e figli di età dai 5 ai 7 anni in Danimarca, Spagna, Norvegia, Paesi Bassi e Corea, ha riscontrato che i bimbi nati da mamme “cellulare dipendente” nel periodo gestazionale avevano oltre il 28% in più di possibilità di avere bimbi iperattivi.

Nel bambino piccolo, l’uso frequente di strumenti digitali da parte delle madri che ne limita e interrompe il tempo dedicato alla relazione con i figli (“Technoference”) riduce la qualità della comunicazione madre-bambino con impatto sullo sviluppo neurocognitivo ed emotivo del bambino, che si fonda sull’intersoggettività con i genitori. 

Da una indagine condotta nell’arco del 2022 dall’Associazione Nazionale Dipendenze Tecnologiche e Cyberbullismo (Di.Te) in collaborazione con la Sipec, la Società Italiana di Pediatria Condivisa, coinvolgendo 198 pediatri sul territorio nazionale e 13.049 persone, tra genitori, adolescenti, pre-adolescenti e bambini, compresi tra gli 0 e i 4, 4 e 9 e 9 e 14 anni è emerso che nella fascia 0-4 anni, i genitori usano lo smartphone durante le poppate (54%), intrattengono i figli con i device durante la giornata (60%), li usano in loro presenza (67%), glieli offrono quando sono fuori casa (30%), quando sono stanchi (25,5%) o agitati per calmarli (27%) e il 33% dei bambini si lamenta o protesta perché gli adulti tolgono loro attenzione per dedicarla agli strumenti digitali. Nella fascia di età 4-9 anni, invece, addirittura l’88% del campione dichiara di intrattenere i figli durante il giorno con smartphone, di usarli in loro presenza (95,7%), di concederne l’uso prima di dormire (37%), quando sono stanchi o agitati (30%), e di intrattenerli durante i pasti (41,5%). Inoltre, il 42% dei genitori ammette che per l’utilizzo dei device si è ridotto il tempo di gioco all’aria aperta, che i figli si annoiano quando non li usano in casa (55%) e anche fuori casa (30%), e che hanno reazioni esagerate quando si chiede loro di disconnettersi (56%).

Infine, nella fascia di età 9-14 anni, il 98,2% dei ragazzi interpellati usa i device durante la giornata, il 42,4% mentre mangia, ben il 61,7% prima di addormentarsi, il 9,4% addirittura durante la notte. L’80,9% dichiara di annoiarsi in casa quando non li usa e il 32,4% anche fuori casa, più della metà (56,7%) preferisce rimanere connesso piuttosto che uscire all’aria aperta. Il 77% di sentirsi molto arrabbiato quando lo fanno disconnettere e la metà (50,5%) chiede e sente il bisogno di andare online quando è stanco o agitato. Anche i figli più grandi, infine, il 48%, si sentono trascurati dagli adulti che sono online in loro presenza.

Uno studio dell’Università Milano-Bicocca, pubblicato sul Journal of Social and Personal Relationships 2020, dal titolo “Mom, dad, look at me: The development of the Parental Phubbing Scale”, ha sviluppato il questionario per misurare il phubbing che i figli subiscono da madre e padre, raccogliendo dati su un campione di oltre 3000 adolescenti (età compresa tra i 15 e i 16 anni). I figli snobbati dai genitori a favore del cellulare hanno ripercussioni negative sul proprio benessere psicologico, con svalutazione della relazione e possibile insorgenza di sintomi depressivi. 

(Pancani, L., Gerosa, T., Gui, M., & Riva, P. (2021). “Mom, dad, look at me”: The development of the Parental Phubbing Scale. Journal of Social and Personal Relationships)

Raccomandazioni per i pediatri

Non è la tecnologia in sé a poter essere dannosa per bambini e adolescenti, ma l’uso improprio che se ne può fare. Per questo motivo, è importante, in ogni fascia di età, la presenza e la guida dell’adulto che aiuti il minore a operare scelte consapevoli su tempi e modi di esposizione agli schermi e contenuti consumati sulle piattaforme. Nei primi 2 anni di vita, l’Organizzazione mondiale della Sanità nelle linee guida del 2019 sconsiglia l’esposizione agli apparecchi elettronici. 

Dopo i 2 anni, raccomanda di limitare l’uso dei device a massimo 1 ora al giorno, preferibilmente frazionata in 2 o più periodi di 20-30 minuti l’uno. In età prescolare, comunque, l’uso della tecnologia è concepibile solo come uno dei tanti strumenti disponibili nell’ambiente di vita per l’interazione genitore-bambino, scegliendo contenuti educativi validi per l’età e di qualità elevata in termini educativi e di apprendimento, e proponendo un utilizzo attivo e limitato, secondo tempi e modalità ben strutturate e precise, in maniera aggiuntiva a tutte le altre esperienze di gioco e conoscenza. 

È importante anche che i genitori non utilizzino lo smartphone durante i momenti di relazione intima con i bambini: non devono esserci interferenze esterne. Va assolutamente evitato l’uso dello smartphone per calmare o distrarre o zittire il bambino: se la gestione delle emozioni del bambino viene affidata a un mezzo tecnologico lo si priva della capacità di imparare a riconoscerle e regolarle. In età scolare, i bambini vanno progressivamente educati alla gestione dell’ambiente digitale con responsabilità e senso critico, con piena consapevolezza di rischi e limiti. Internet deve essere usato per fare ricerche, trovare letture interessanti, cercare disegni da stampare e colorare, sviluppando l’apprendimento e la creatività dei bambini con un approccio attivo. Al bambino non va consentita la navigazione autonoma in rete. Non va consentita nessuna console di videogiochi fino ai 6 anni e dopo con limiti temporali precisi. Bisogna anche dare il buon esempio: se si dice al bambino di non usare il cellulare non devono usarlo nemmeno gli adulti.

Dopo i 12 anni si può consentire al bambino di fruire da solo l’esperienza digitale, ma sempre sotto sorveglianza e con limitazioni per quanto riguarda i tempi e i modi di utilizzo, decidendo prima quali sono i contenuti visionabili e poi condividendoli e commentandoli assieme. 

Dai 13 anni sì allo smartphone, ma preferibilmente niente social prima dei 15 anni, Instagram e TikTok non prima dei 18. 

I genitori di figli minorenni devono sapersi dotare anche dei mezzi di parental control.

Prima di avere il permesso di navigare su internet, i ragazzi devono essere istruiti su come gestire privacy e sicurezza per proteggere i propri dati e la propria identità online, su come rispettare e far rispettare le regole di netiquette, ovvero le norme di buona educazione e civiltà che regolano la comunicazione online, come il rispetto, la cortesia, la tolleranza, su come sia tassativo non accettare richieste di amicizia o messaggi da sconosciuti, e segnalare subito eventuali comportamenti sospetti o molesti o contenuti inappropriati. È giusto porre dei limiti temporali ma ancor più importante trasmettere al figlio la capacità di autoregolarsi nell’utilizzo del dispositivo.

I genitori devono porre domande ai propri figli sull’esperienza online per stimolare riflessioni su quello che hanno visto o letto, in un fattivo rapporto di confidenza e alleanza. 

Ad ogni età, controllare il tempo dedicato agli schermi (screen time), e assicurarsi che sia alternato con altre attività offline, come lo studio, la lettura, la musica, l’attività fisica e sportiva, il gioco, le attività creative, la scoperta della natura e dell’arte e il dialogo con la famiglia e gli amici. Mai usare i device durante i pasti, mai prima di dormire.

La funzione di guida dei genitori deve estrinsecarsi anche nel monitorare l’utilizzo dei dispositivi e verificare l’eventuale dipendenza dagli schermi, che è spesso il sintomo e non la causa di un malessere psicologico.

Di: Isabella Faggiano, giornalista professionista

Argomenti correlati

La soluzione digitale per i Professionisti Sanitari

Consulcesi Club

Contatti

Via G.Motta 6, Balerna CH
PEC: consulcesisa@legalmail.it

Social media