La questione del demansionamento è particolarmente sentita nel mondo sanitario e, nello specifico, fra gli esercenti la professione infermieristica, che si trovano spesso a dover fronteggiare quelle carenze di organico, diventate nel tempo croniche, espletando mansioni non adeguate alle proprie competenze ed in modo perdurante negli anni.
L’iniziale disponibilità momentanea, sempre garantita dalla categoria, si è così trasformata in un vero e proprio declassamento che, in molti casi, ha provocato gravi danni al professionista sia in termini di immagine che morali, che stanno però trovando positivo accoglimento nelle aule giudiziarie.
La sentenza del Tribunale di Messina: una vittoria per la professione infermieristica
È di inizio anno la decisione adottata dalla Sezione Lavoro del Tribunale di Messina che, ritenendo dimostrato il denunciato demansionamento patito da un infermiere impegnato nel settore pubblico, gli ha riconosciuto con la sentenza n. 7/25 il danno non patrimoniale patito, liquidandolo nella misura del 20% della retribuzione globale percepita per tutti i giorni di effettiva presenza negli oltre 16 anni, in cui era stato adibito a prestazioni inferiori a quelle previste dal suo profilo professionale, oltre al rimborso integrale delle spese di giudizio sostenute.
Il caso dell’infermiere demansionato: 16 anni di mansioni inferiori
La pretesa veniva avanzata da un dipendente a tempo indeterminato, in servizio presso il reparto di Ostetricia e Ginecologia di un presidio ospedaliero, inquadrata al tempo dell’assunzione nella cat. D del CCNL Integrativo Sanità del 20/09/2001, con il profilo professionale di infermiere.
Fin dall’inizio gli venivano assegnati, in maniera sistematica e prevalente, compiti di assistenza alberghiera e sociosanitaria ai degenti, vista la quasi totale assenza nella dotazione organica di personale di supporto, invocando pertanto la nullità dell’assegnazione, ancorchè in via di fatto, allo svolgimento di mansioni inferiori riconducibili ai profili di operatore sociosanitario Cat. BS e di ausiliario Cat. A, con conseguente condanna al ripristino del suo coerente profilo professionale ed al risarcimento di tutti i danni patrimoniali e non patiti a causa dell’inadempimento datoriale.
Per contro, la difesa dell’ospedale, ricostruito il perimetro normativo della professione infermieristica, respingeva ogni richiesta sostenendo che l’infermiere è pur sempre responsabile della tutela della salute del paziente, anche quando ricorre all’ausilio assistenziale della figura dell’OSS, e che comunque le mansioni inferiori lamentate erano state espletate in misura residuale, ritenendole comunque confacenti al profilo professionale relativo alla funzione di infermiere professionale.
Il divieto di demansionamento nel pubblico impiego: cosa dice la legge?
Prima di entrare nel merito della questione, il giudice ha voluto ricordare che, anche nel pubblico impiego, è presente il principio, sancito dall’art. 52, comma 1, D.lgs. n. 165/2001, per cui il dipendente deve essere adibito alle mansioni, per le quali è stato assunto od eventualmente a quelle equivalenti nell’ambito dell’area di inquadramento.
La rigidità di questa indicazione è stata, nel tempo, erosa dalla giurisprudenza che ha consentito al datore di lavoro di richiedere prestazioni proprie di un livello inferiore, dovendo però mantenersi lo svolgimento prevalente delle proprie, mentre le prime dovevano svolgersi in forma residuale e temporanea.
Condizioni critiche in reparto: il racconto del professionista
Nel descrivere la situazione concretamente vissuta durante il servizio, l’infermiere affermava di aver svolto, per oltre la metà del proprio tempo lavorato, prestazioni afferenti l’assistenza alberghiera e igienico-sanitaria dei degenti (in gran parte non autosufficienti), espletando servizi di pulizia, gestione e riordino dei locali, trasporto dei pazienti e supporto alla loro alimentazione.
Soprattutto nel turno di notte era suo compito provvedere al trasporto dei pazienti dall’ambulatorio delle emergenze alla corsia, sistemarli a letto, aiutarli ad andare in bagno e, in alcune circostanze, provvedere ad interventi immediati e necessari di pulizia dei locali.
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Il ruolo dell’infermiere secondo la normativa vigente
Volendo delineare specificatamente le aree di competenza delle due figure professionali, il giudice ha quindi ritenuto opportuno soffermarsi sul testo del D.M. n. 739/1994, per il quale l’infermiere professionale coincide con l’operatore sanitario che, in possesso del diploma universitario abilitante e dell’iscrizione all’albo professionale, è responsabile dell’assistenza generale infermieristica.
Ciò significa che l’infermiere partecipa all’identificazione dei bisogni di salute della persona e della collettività, ne identifica i bisogni di assistenza infermieristica e formula i relativi obiettivi, pianifica, gestisce e valuta l’intervento assistenziale infermieristico, garantisce la corretta applicazione delle prescrizioni diagnostico-terapeutiche.
Lo stesso provvedimento ministeriale fa presente che l’infermiere può agire sia individualmente che in équipe con gli altri operatori sanitari e sociali, potendosi avvalere di personale di supporto per l'espletamento delle funzioni.
Il CCNL Comparto Sanità 1998-2001, nel richiamare il succitato DM, inquadra gli infermieri nella categoria D, cui appartengono “i lavoratori che ricoprono posizioni di lavoro che richiedono, oltre a conoscenze teoriche specialistiche e/o gestionali in relazione ai titoli di studio e professionali conseguiti, autonomia e responsabilità proprie, capacità organizzative, di coordinamento e gestionali caratterizzate da discrezionalità operativa”.
Le figure di supporto: chi fa cosa in corsia?
Sono poi delineate le altre figure professionali di supporto, individuando nella categoria A quei lavoratori che svolgono prestazioni essenzialmente manuali generiche, mantenendo la loro autonomia organizzativa ed esecutiva (fra questi si annoverano gli ausiliari specializzati, che si occupano dell’accompagnamento o allo spostamento dei degenti)
In quella contrassegnata dalla lett. B, rientrano invece gli operatori socio sanitari (O.S.S.) che, regolamentati secondo la disciplina contenuta nell’accordo conferenza Stato-Regioni del 2001, si occupano dell’assistenza diretta e aiuto domestico alberghiero, intervento igienico-sanitario e di carattere sociale, supporto gestionale, organizzativo e formativo.
Nello specifico di questa figura, si rimarca come sia a suo carico l’assistenza della persona nelle sue quotidiane esigenze primarie, soprattutto quando non autosufficiente ed allettata, ponendosi a supporto del personale sanitario, medico ed infermieristico, nello svolgimento delle loro attività, dedicandosi particolarmente ai bisogni primari del paziente, nonché alle attività igienico-domestico-alberghiere.
Come si riconosce il demansionamento: criteri e valutazioni
Nel pervenire alla decisione, il magistrato ha quindi preliminarmente stabilito che, visto quanto previsto dalla normativa applicabile, le mansioni di assistenza igienica, trasporto, mobilizzazione ed accompagnamento dei pazienti non rientrano fra i doveri degli infermieri professionali.
È poi necessario stabilire, per ritenersi integrata un’ipotesi di demansionamento, se l’attività denunciata sia stata effettuata in maniera continuativa e prevalente rispetto a quella propria del profilo di appartenenza.
Scrutinate le prove testimoniali raccolte in fase istruttoria, nonché la produzione documentale agli atti, il giudice ha quindi ritenuto dimostrata la circostanza per cui l’infermiere veniva adibito, in modo prevalente e continuativamente, allo svolgimento di compiti inferiori rispetto alla propria qualifica, così da realizzare un concreto mutamento di mansioni.
Di interesse, infine, la dissertazione relativa all’individuazione del termine da cui far decorrere il termine di prescrizione per l’azione risarcitoria da demansionamento che, trattandosi di condotta illecita di natura permanente, ha inizio soltanto nel momento in cui quest’ultima viene definitivamente a cessare.
La sentenza: risarcimento e reintegro nelle giuste mansioni
Accertato l’avvenuto demansionamento a danno dell’infermiere ricorrente, il giudice del lavoro ha quindi condannato l’ospedale a:
- riassegnare il dipendente allo svolgimento, in modo prevalente e assorbente, delle mansioni tipiche al profilo professionale di assunzione
- pagare il risarcimento del danno non patrimoniale patito, calcolandolo nella misura del 20% della retribuzione globale di fatto, oltre interessi legali dal dovuto al soddisfo.