Se l’emergenza da Covid-19 e il conseguente lockdown avevano fatto registrare, almeno inizialmente, una riduzione dell’inquinamento atmosferico in molteplici parti del mondo, in particolar modo dei livelli di biossido di azoto (NO2), secondo molteplici studi, come quello dell’Istituto per la bioeconomia del Cnr pubblicato su
Environmental Pollution e relativo a diverse città italiane durante il periodo di chiusura, le
emissioni di polveri sottili (PM2.5 e PM10) sono diminuite solo in misura minore, mentre quelle di ozono (O3) sono rimaste invariate o addirittura aumentate. Inoltre, anche a causa di una
scarsa piovosità in alcuni mesi del 2020, dati provvisori diffusi dal sistema nazionale per la protezione dell’ambiente (Snpa), parlano di
livelli di inquinamento atmosferico complessivamente aumentati nel corso dell’anno.
“Le città italiane potevano uscire dalla pandemia trasformate in meglio: meno
inquinamento dell’aria, meno auto in circolazione, più bici e trasporto pubblico. Purtroppo, non hanno raccolto la sfida e spesso hanno fatto addirittura passi indietro” ha dichiarato
Claudio Magliulo, responsabile della campagna
Clean Cities in Italia, realizzata da una coalizione di organizzazioni che si batte per un impegno concreto dei sindaci europei al fine di raggiungere una mobilità a emissioni zero entro il 2030.
Secondo l’ultimo
report della Clean Cities Campaign infatti, le quattro città italiane sulle 36 analizzate in 16 Paesi europei si trovano tutte in fondo alla classifica per
mobilità urbana e
qualità dell’aria. Se ai primi posti troviamo Oslo con un punteggio complessivo pari al 71.50%, seguita da Amsterdam con un 65.50%, Helsinki (64.20%) e Copenaghen (62.30%), Milano si posiziona 20esima con un 51.10%, Torino 23esima (49.30%), fino a Roma in 32esima posizione (40.40%) e l’ultima su tutte Napoli con un 37.80% nel “Clean Cities” ranking.
“L’inquinamento atmosferico è
la più grande minaccia ambientale per la salute e una delle principali cause di malattie croniche, tra cui ictus, cancro e diabete”. A ribadirlo solo poche settimane fa è stata la
Commissione Europea in occasione della sua nuova
proposta relativa a
norme più severe sugli inquinanti atmosferici, superficiali e sotterranei e sul trattamento delle acque reflue urbane.
Inquinamento atmosferico: gli ultimi dati italiani
Contrariamente da quanto l’attuale meteo lascerebbe pensare, il 2022 è stato uno degli anni più caldi e meno piovosi nella storia del nostro Paese, con un conseguente aumento dei livelli d’inquinamento nelle città. Lo confermano diversi recenti studi: da quello di
Legambiente su 13 capoluoghi italiani che mostra come nessuna delle città analizzata rispetti i limiti di PM10 definiti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, a quello dell’associazione
Cittadini per l’aria secondo cui tutte “tutte le oltre mille
scuole nel territorio del Comune di Milano – fra asili nido, scuole materne, scuole elementari, medie primarie e secondarie, pubbliche e paritarie – sono esposte a concentrazioni di biossido di azoto (NO2) che superano la soglia indicata dalle linee guida sulla qualità dell’aria dell’Organizzazione Mondiale per la Salute. Oltre la metà di queste, supera addirittura il limite di legge di 40 µg/m³ stabilito per l’NO2”, riporta il TGCOM24.
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Secondo l’
ultimo rapporto dell’Agenzia europea per l’ambiente (EEA),
nel 2020 in
Europa ci sono state almeno
311 mila morti premature causate
dall’inquinamento atmosferico.
A preoccupare particolarmente in questo scenario è l’Italia, che con oltre 52 mila di
casi rappresenta oltre il 20% di tutte le morti premature rilevate nell’Ue.
Nel più grande quando mondiale poi, secondo le ultime stime dell’OMS,
9 persone su 10 respirano aria inquinata e ogni anno
7 milioni di persone muoiono a causa di
malattie cardiache, tumore ai polmoni e ictus, patologie sempre più confermate dalla ricerca essere strettamente legate all’inquinamento atmosferico.
Inquinamento e salute: i rischi
Non solo tumore ai polmoni. Se il nesso tra il carcinoma polmonare e inquinamento può dirsi unanimemente riconosciuto dagli esperti, solidi su ricerche che confermano la correlazione tra
infiammazione dei polmoni e lo sviluppo della patologia, un crescente numero di studi oggi dimostra come le
polveri sottili aumentano il rischio anche di altri
tumori.
Tra i più recenti studi, quello realizzato dal Rush University Medical Center e presentato durante il Meeting annuale dell’American Head and Neck Society lo scorso ottobre secondo cui, come racconta più approfonditamente
Sanità Informazione, vivere in aree con elevati livelli di inquinamento atmosferico può aumentare il rischio di sviluppare alcuni tipi di
tumori testa-collo (in particolare il cancro del cavo orale, della laringe e della faringe)
fino a due volte e mezzo.
Questo va ad aggiungersi a un precedente studio tedesco del 2018, fatto su due milioni di persone, che mostrava come all’aumentare di 10 μg/m3 di PM10 il rischio di
tumore alla bocca e alla
gola aumenta del 53%, del
tumore della pelle diverso dal melanoma del 52%, seguiti da tumori della
prostata (nella misura del 23%) e del
seno (19%).
Un nuovo studio appena pubblicato su
Current Problems in Cardiology e coordinato dagli esperti del King's College di Londra sembra confermare definitivamente
l’inquinamento come
fattore di rischio cardiovascolare, modificabile. Secondo la ricerca
“Association of Ambient Air Pollution with Blood pressure in Adolescence: A Systematic-Review and Meta-analysis” condotta su circa 15 mila giovani compresi tra i 10 e i 19 anni, la prolungata esposizione a
particolato fine comprometterebbe i meccanismi di controllo della
pressione arteriosa fin dall’età giovanile, con una tendenza ad
aumentare la pressione minima soprattutto tra gli adolescenti in
sovrappeso e obesi.
“Sebbene la ricerca oggi ci permette di quantificare come sempre più precisione il
danno dell’inquinamento sulla salute umana, come anche sull’ambiente e sugli ecosistemi, è bene ricordare che non vi sono davvero ‘safe limits’, ossia limiti al di sotto dei quali l’effetto nocivo di particolato fine e degli altri inquinanti svanisce”, commenta Cinzia De Vendictis, Medico Anestesista, esperta in Medicina Ambientale Clinica e sicurezza sul lavoro e responsabile del corso di formazione ECM di Consulcesi “
Covid-19, ambiente e salute. Elettrosmog, inquinamento domestico e sovraesposizione alla tecnologia”.
Ad avvalorare le parole dell’esperta vi sono, per esempio, gli
incrementi di cancro al polmone registrati anche in gruppi esposti a un livello di inquinamento inferiore ai limiti massimi di norma secondo l'attuale legislazione europea (pari a 40 μg/m3 di PM10 e a 25 μg/m3 di PM2,5), limiti che peraltro, come ribadisce anche l’AIRC “vengono facilmente superati per molti giorni di seguito in molte città italiane”.
In questo contesto, risulta di indubbio valore se non necessaria la recente proposta di
revisione delle direttive sulla qualità dell'aria mossa dalla Commissione europea che prevederebbe, tra le tante misure, una riduzione di oltre la metà del valore limite annuale dell'inquinante principale, particolato fine (PM2,5).
“Raggiungere gli obiettivi stabiliti per il 2030 e portare l’inquinamento atmosferico a zero al più tardi entro il 2050 è possibile, ma servono
strategie concrete e azioni collettive come del singolo”, aggiunge la De Vendictis. “Dal canto nostro, in quanto professionisti della salute, possiamo, e dobbiamo, fare la nostra parte partendo dalla
prevenzione e dall’
informazione sul territorio, per fare ciò però sono necessari formazione e aggiornamento continuo”, conclude l’esperta che nel corso ECM - disponibile fino al 31 dicembre (termine ultimo per l’acquisizione dei crediti obbligatori previsti per tutti i professionisti sanitari secondo la normativa vigente) - fornisce un approfondimento sull
’inquinamento atmosferico domestico, i rischi legati agli apparecchi elettronici e alle particelle che si accumulano negli ambienti domestici e lavorativi.