L’art. 3 quater del Decreto Legge n. 127 del 21/09/2021 (convertito in Legge n. 165 del 2021) come modificato dall’art 13 del Decreto Legge n. 34/2023 (convertito in Legge n. 56 del 2023) nasce dall’esigenza di adottare misure urgenti per affrontare quello che il settore sanitario ha vissuto come un vero e proprio stravolgimento rivoluzionario: la Pandemia da Sars-CoV-2. Un evento che ha preso alla sprovvista il Sistema Salute in Italia e nel mondo, e che ha sconvolto il mondo della politica, degli operatori sanitari e della popolazione tutta.
Sull’onda del panico prodotto dagli effetti della Pandemia si è cercato di raddrizzare il tiro sulle strategie sino ad allora adottate in materia di sanità pubblica. Tuttavia, pian piano che ci si allontanava dallo stupore iniziale, i buoni propositi e i fondi dedicati alla “ricostruzione post bellica” risultano sbiaditi e sembrano trovare farraginosa concretezza applicativa.
La normativa indicata, così come modificata, ha stabilito che sino al 31 dicembre 2025 agli operatori delle professioni sanitarie di cui all'articolo 1 della legge 1° febbraio 2006, n. 43, appartenenti al personale del comparto sanità, al di fuori dell'orario di servizio non si applicano le incompatibilità di cui all' articolo 4, comma 7, della legge 30 dicembre 1991, n. 412, e all'articolo 53 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165. Ne consegue che per i richiamati professionisti sarà possibile svolgere attività professionale al di fuori dell’orario di servizio presso altre strutture pubbliche o private, e presso privati non applicandosi le incompatibilità richiamate negli articoli citati, previa concessione di autorizzazione da parte dell’amministrazione di appartenenza.
Con la deroga al vincolo di esclusività, più precisamente con l’inapplicabilità delle incompatibilità in alcuni ambiti professionali, si è tentato di adottare una misura funzionale ad affrontare i limiti rivelati dal SSN nel corso della crisi pandemica, viste le difficoltà riscontrate rispetto alla necessità di presa in carico massiva e cura dei cittadini determinate dalla problematica legata all’atavica carenza di personale.
Si spera che le necessità presentatesi nel corso della pandemia non si ricreino più , ma le carenze sono ancora presenti e risultano ancora più gravi se si rapportano alle prospettazioni future.
Nello specifico, è necessario entrare nel merito dei “numeri”, partendo dalla stima fatta dall’Oms dalla quale emerge che il 44,9 % della popolazione in Italia necessita di cure riabilitative, e di queste il 61,2% riguarda le disfunzioni al sistema muscolo scheletrico di competenza fisioterapica. Si aggiunga che l’analisi della curva demografica spinge a ritenere che da qui al 2026 ci sarà un aumento di pazienti con patologie croniche, di cui il sistema sanitario pubblico non potrà farsi carico. Tant’è che l’ultimo rapporto Gimbe conferma un implemento delle richieste di salute che vengono incluse nel cosiddetto out of pocket.
Per quanto riguarda la Fisioterapia ci sono regioni in cui solo 1% dei professionisti è incardinato nel pubblico impiego, a fronte di una percentuale nazionale del 15%. È importante segnalare, inoltre, che oltre il 60% dei Fisioterapisti in Italia sono Liberi professionisti, (sul punto sarebbe necessario svolgere un ulteriore approfondimento sul problema delle “false partite iva” che grava sul servizio sanitario privato accreditato). Alla luce dei dati riportati appare evidente che il superamento del vincolo di esclusività, benché a tempo, è stata vista dalla Fisioterapia come una misura necessaria e indispensabile.
Ampliare la presenza dei Fisioterapisti nel pubblico e ampliare gli spazi di azione professionale sembra una scelta quasi obbligata a fronte della sempre maggiore richiesta di salute da parte dei territori, tuttavia la complessità della macchina normativa, organizzativa e burocratica ne impedisce la concreta attuazione.
Porre attenzione a questi temi resta un tema politico non più eludibile!
“Liberare” altra professionalità in Italia non è un “favore” ai professionisti sanitari, ma una necessità impellente della sanità pubblica al fine di fronteggiare il problema legato alla carenza di personale e alle sue conseguenze, la cui gravità è stata già (purtroppo) sperimentata.
Non vi sono progetti sostanziali per superare i limiti di cui si è già a conoscenza, non vi è normativa adeguata e quella vigente è confusa e – tanto spesso – contraddittoria.
Se si guarda alla disposizione normativa sul “superamento delle incompatibilità” non può non rilevarsi che la stessa nel giro di pochissimo tempo ha già subito modifiche importanti e sostanziali, con successivi interventi sostitutivi che hanno eliminato il limite del monte ore settimanali e prorogato (già più volte) l’inoperatività del regime delle incompatibilità, portandolo ad oggi al 31 dicembre 2025. Oltre alle modifiche è stato necessario anche l’intervento della Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome di Trento e Bolzano che, con un documento adottato a luglio 2023, ha cercato di superare il carattere “generico e lacunoso della previsione legislativa” per fornire un contributo utile per raggiungere un’interpretazione omogenea e coerente della norma. In particolare, il Documento ha individuato le tipologie di attività extra officio esercitabili dal personale delle professioni sanitarie del comparto sanità e inquadrato gli ambiti delle incompatibilità che sono inapplicabili ai professionisti sanitari, specificando gli adempimenti che devono essere posti in essere dai dipendenti interessati e dalle aziende ed enti del Servizio sanitario nazionale.
Gli interventi normativi sin qui adottati non determinano un definitivo superamento del vincolo di esclusività che grava sul rapporto di lavoro del personale del comparto sanità, sebbene abbia il merito di riconoscere (nei limiti previsti), al professionista che ne faccia richiesta, la possibilità di esercizio di altra attività esterna all’ente di appartenenza.
La norma, tuttavia, è caratterizzata da transitorietà e individua una serie di limitazioni eccessivamente stringenti per i professionisti.
La transitorietà emerge sia dalla determinazione di un termine finale della sua efficacia applicativa (allo stato 31 dicembre 2025), sia dall’ultimo periodo inserito al comma 1 secondo il quale “Il Ministero della salute effettua annualmente il monitoraggio delle autorizzazioni concesse e dei tassi di assenza e dei permessi fruiti dal personale autorizzato”.
La deroga fino al 31 dicembre 2025 appare incomprensibile in un’ottica di proficua riorganizzazione del sistema sanitario nazionale e, per alcuni professionisti, anche fortemente limitativa. Sul punto è necessario segnalare la lentezza e la difficoltà riscontrata nell’adozione dei regolamenti, documenti necessari secondo la previsione normativa al fine di determinare gli elementi per la richiesta e la concessione delle autorizzazioni. Risulta, addirittura, che in alcune aziende i regolamenti non siano stati ancora adottati, mentre in altre sono stati adottati solo di recente. Ciò ha impedito, nei fatti, ai Fisioterapisti appartenenti alle predette strutture di poter usufruire della possibilità offerta dalla normativa con conseguente creazione di una ingiusta disparità di trattamento nell’applicazione di norme nazionali. È opportuno, inoltre, segnalare che gli Ordini professionali dei Fisioterapisti sono concretamente operativi solo dal dicembre 2022, in virtù del decreto ministeriale 183 del settembre 2022.
Si è già accennato alla necessità, prevista dalla norma, della preventiva autorizzazione da parte del vertice dell'amministrazione di appartenenza al fine di garantire le esigenze organizzative del Servizio sanitario nazionale e per non pregiudicare l'obiettivo aziendale relativo allo smaltimento delle liste di attesa. Questo elemento va senz’altro ritenuto una limitazione al concreto esercizio della possibilità offerta, specie se si considerano gli elementi che caratterizzano le modalità di concessione.
Non v’è chi non veda la sussistenza di un certo margine di incertezza legato al momento valutativo, ed in quanto tale discrezionale, dell’istanza di autorizzazione da parte dei vertici dell’amministrazione e i vincoli che subordinano la “concessione” dell’autorizzazione alle misure adottate per lo smaltimento delle “liste di attesa”. Ancora una volta si vuol far ricadere la conseguenza di un problema organizzativo e di carenza sul professionista!
Altra problematica legata alla discrezionalità la si riscontra nel campo di valutazione degli eventuali conflitti di interesse e nella possibilità concessa all’ente di appartenenza di poter sospendere o revocare le autorizzazioni concesse, benché sulla scorta di provvedimenti adeguatamente motivati.
Infine, la normativa impone (senza alcun dettaglio sul punto) anche la verifica del rispetto della normativa sull'orario di lavoro, con prevedibili conseguenze applicative dettate dalla mancanza di chiarezza.
Le criticità brevemente evidenziate rilevano la incertezza di una previsione normativa che contrasta con la necessità di ottenere un’organizzazione forte che possa fronteggiare le necessità sempre più esigenti ed impellenti della collettività.
Si evidenzia, dunque, la necessità di ampliare la portata applicativa del disposto normativo e di chiarire le procedure operative e le modalità di autorizzazione per l’esercizio della professione extra officio, al fine di garantire una corretta applicazione della norma e tutelare sia i professionisti che i pazienti. Inoltre, si rende indispensabile un’interpretazione uniforme e coerente delle disposizioni legislative, quale elemento fondamentale per evitare discrepanze tra le strutture sanitarie delle diverse regioni.