“Condividere le informazioni, incoraggiare la ricerca e diffonderne i risultati, promuovere programmi di prevenzione a livello locale e globale: solo così si potranno combattere in modo efficace le prossime minacce globali per la salute e le conseguenze che potranno avere sull’economia e la società”: è questo l’appello lanciato dalle Nazioni Unite in occasione della Giornata internazionale di preparazione alle pandemie, celebrata lo scorso 27 dicembre.
Una Giornata proposta dalla stessa Organizzazione internazionale nel dicembre del 2020, nel pieno della pandemia Covid, la seconda di questo secolo dopo quella di influenza H1N1 del 2009. L’anno 2023, in Italia, si è chiuso con oltre 26.632.429 casi di Covid, tra cui quasi 41mila registrati solo nell’ultima settimana di dicembre (dati Gimbe)
Poco prima che cominciasse il nuovo anno si contavano quasi 226mila positivi, tra cui poco più di 218mila in isolamento domiciliare. Pur in presenza di un calo di oltre 500 unità di ricoveri, nell’ultima settimana di dicembre è aumentata l’occupazione di posti letto in terapia intensiva (+5) e il numero di decessi (+279), per un totale di 194.768 morti.
La campagna vaccinale
Nonostante durante la primavera del 2023 l’Organizzazione Mondiale della Sanità abbia decretato la fine della pandemia per l’Onu “c’è un urgente bisogno di avere sistemi sanitari robusti e resilienti, in grado di raggiungere chi è più vulnerabile o si trova in situazioni vulnerabili”. Così, per far fronte alla prevedibile impennata di casi, anche in Italia, all’inizio dello scorso autunno è stata inaugurata una nuova campagna vaccinale anti-Covid 2023/2024, tuttora in corso.
Alla fine del mese di dicembre erano 1.826.658 le dosi somministrate che si aggiungono alle somministrazioni effettuate dall’inizio della pandemia fino al 24 settembre del 2023, per un totale di 145.134.032 (fonte Ministero della Salute – Report Vaccini Anti Covid-19). A ricevere le ultime dosi di vaccino sono stati in prevalenza gli over 80 (585.380) e le persone con un’età compresa tra i 70 e i 79 anni (586.332). Seguono coloro che hanno tra i 60 e i 69 anni con poco più di 387mila somministrazioni. Nella fascia 12-59 anni sono stati inoculati i restanti 267.650 vaccini.
Il long Covid
Sotto i riflettori della Sanità mondiale non c’è solo il Covid, ma anche il long Covid, al quale sono dedicati numerosi studi internazionali, alcuni conclusi, altri tuttora in corso. Sono stati identificati fino a 200 sintomi correlati alla sindrome da long Covid, che possono mutare a seconda delle varianti del virus. Tuttavia, molti scienziati concordano sul fatto che ancora non sia chiaro cosa sia il long Covid e quanto sia davvero diffuso.
Alcuni ricercatori, dalle pagine del BMJ Evidence-Based Medicine, sostengono che il rischio del long Covid potrebbe essere stato addirittura sopravvalutato generando ansia e sperperando risorse sanitarie. La tesi di Vinay Prasad della University of California di San Francisco e colleghi è che gran parte della ricerca condotta finora sul long Covid, così come le definizioni usate per descrivere gli effetti post infezione acuta, sia stata carente da un punto di vista metodologico o troppo vaga.
Lo studio californiano
Citando alcune ricerche sul long Covid derivanti da fonti istituzionali, tra cui Cdc e Oms, gli scienziati sottolineano come nessuna di questa implichi un collegamento eziologico con il Sars-CoV-2, ma faccia piuttosto riferimento alla comparsa di sintomi dopo un’infezione confermata e sospetta. Per i ricercatori della University of California di San Francisco i gruppi di controllo dovrebbero “essere fatti con criterio, tenendo conto delle condizioni di salute fisica e mentale e l’età dei partecipanti”. Per esempio, agli inizi della pandemia quando i test disponibili erano pochi “le analisi del long Covid – aggiungono – hanno riguardato casi mediamente più gravi”. Il messaggio lanciato da questo gruppo di studiosi, dunque, non è “negare il long Covid, né banalizzarlo”. Al contrario, l’invito è “ad una ricerca più rigorosa”.
Esperta Oms: “Quinto anno di pandemia e il virus preoccupa ancora”
Intanto, con l’arrivo del nuovo anno anche Van Kerkhove, responsabile tecnico per il Covid-19 all’Oms ha esternato le sue preoccupazioni: “Stiamo entrando nel quinto anno di pandemia e sicuramente siamo in una fase diversa, caratterizzata da un virus in evoluzione, con i sottolignaggi XBB e BA.2 che circolano e JN.1 che diventa dominante”, dice. La situazione attuale per Van Kerkhove è “caratterizzata da un impatto ridotto rispetto al picco di Covid di qualche anno fa, ma ancora una minaccia per la salute globale. È ancora una pandemia che causa troppe (re)infezioni, ricoveri, morti e casi di Long Covid, quando esistono strumenti per prevenirli”, dalle mascherine, alla ventilazione degli ambienti, fino a test e vaccini. Per l’esperta dell’Oms, infine, non bisogna dimenticare “chi ha perso la vita e chi continua a perderla a causa del Covid”.