Come noto, dopo il primo monito lanciato con la sentenza n. 159/2019, la Corte Costituzionale è dovuta nuovamente intervenire sulla questione dei ritardi nella liquidazione ai pubblici dipendenti degli importi dovuti alla cessazione del rapporto di lavoro (TFR/TFS), anche perché nessun valido correttivo è stato nel frattempo attivato dal legislatore per sanare le criticità sottolineate dalla Consulta.
A tutt’oggi – e siamo a metà del 2024 - la situazione non è migliorata, perpetuandosi l’ingiustificata disparità di trattamento fra i dipendenti privati e quelli pubblici sui tempi e sui modi di erogazione dei trattamenti di fine rapporto.
Compila il Modulo di diffida per mancato pagamento del trattamento di fine rapporto/servizio, offerto da Consulcesi Club, con cui richiedere, oltre al pagamento dell’importo previsto per il TFR/TFS, anche gli interessi e la rivalutazione monetaria maturati, cui aggiungere il risarcimento degli ulteriori danni eventualmente patiti
L’elaborazione dei testi, anche se curata con scrupolosa attenzione, non comporta né sostituisce una prestazione professionale e non può comportare specifiche responsabilità per eventuali involontari errori e inesattezze. Per qualunque dubbio sull’utilizzo di questo modello contatta i nostri consulenti attraverso il servizio di consulenza di Mio Avvocato.
Mancata erogazione del TFR al dipendente pubblico: cosa succede
Il tema dell’evidente disparità di trattamento fra dipendenti pubblici e privati è stato spesso sottolineato, tanto da assurgere al vaglio costituzionale che già con la sentenza n. 159 del 2019, la Consulta aveva espresso diverse censure rispetto all’attuale quadro normativo, soprattutto riguardo al differimento del trattamento di fine rapporto in caso di pensione raggiunta per limiti di età o di servizio o per collocamento a riposo d’ufficio.
Pur considerando ammissibile la scelta operata dal legislatore di consentire il pagamento differito e dilazionato dell’indennità ai dipendenti pubblici nella motivazione della sentenza si aveva, infatti, modo di leggere che “La disciplina che ha progressivamente dilatato i tempi di erogazione delle prestazioni dovute alla cessazione del rapporto di lavoro ha smarrito un orizzonte temporale definito e la iniziale connessione con il consolidamento dei conti pubblici che l’aveva giustificata. Con particolare riferimento ai casi in cui sono raggiunti i limiti di età e di servizio, la duplice funzione retributiva e previdenziale delle indennità di fine rapporto….rischia di essere compromessa, in contrasto con i princìpi costituzionali che, nel garantire la giusta retribuzione, anche differita, tutelano la dignità della persona umana”.
Dopo questa motivata critica all’impianto legislativo ancora vigente, nessun intervento riformatore è stato concretamente attivato, tanto da doversi registrare un’ulteriore iniziativa, in questo caso proveniente dal Tar Lazio (ordinanza del 17/05/2022), che ha nuovamente sollevato questione di legittimità costituzionale della normativa che, prevedendo pagamenti rateizzati e dilazionati, conduce ad una compressione “irragionevole e sproporzionata i diritti dei lavoratori pubblici, in violazione dell’art. 36 Cost., non essendo sorretta dal carattere contingente, ma al contrario avendo carattere strutturale”.
Pur concludendo con la dichiarazione di inammissibilità delle questioni sollevate, ciò che desta attenzione sono, ancora una volta, le considerazioni davvero stringenti ed insuperabili fornite dalla Consulta rispetto a modalità di erogazione del TFS non più accettabili, né tantomeno sostenibili.
Come ricordato dalla Corte, “la legittimità costituzionale delle norme dalle quali possa scaturire una restrizione dei diritti patrimoniali del lavoratore è, infatti, condizionata alla rigorosa delimitazione temporale dei sacrifici imposti (sentenza n. 178 del 2015), i quali devono essere eccezionali, transeunti, non arbitrari e consentanei allo scopo prefisso”.
Leggi anche
Critiche della Corte Costituzionale sulla normativa vigente
Poste queste solide premesse, la Consulta ha quindi osservato come il precedente invito al legislatore di sanare questa situazione – definita espressamente di vulnus costituzionale – sia rimasto completamente inascoltato.
Anticipando possibili obiezioni, si è altresì aggiunto che neppure la disciplina dell’anticipazione della prestazione dettata dall’art. 23 del d.l. n. 4 del 2019, come convertito, ai sensi del quale è possibile richiedere il finanziamento di una somma, pari all’importo massimo di 45.000 euro, dell’indennità di fine servizio maturata, garantito dalla cessione pro solvendo del credito avente ad oggetto l’emolumento, dietro versamento di un tasso di interesse fissato dall’art. 4, comma 2, del d.m. 19 agosto 2020.
La Consulta , in modo chiaro e netto ha posto all’indice l’immobilismo del legislatore affermando che: “non ha, infatti, espunto dal sistema il meccanismo dilatorio all’origine della riscontrata violazione, né si è fatto carico della spesa necessaria a ripristinare l’ordine costituzionale violato, ma ha riversato sullo stesso lavoratore il costo della fruizione tempestiva di un emolumento che, essendo rapportato alla retribuzione e alla durata del rapporto e quindi, attraverso questi due parametri, alla quantità e alla qualità del lavoro, è parte del compenso dovuto per il servizio prestato (sentenza n. 106 del 1996)”.
Come compilare la diffida per mancato pagamento TFR/TFS
Come già riferito il TFR, al pari del TFS, dovrebbero essere quindi liquidati, come avviene nel privato, al momento della cessazione del rapporto di lavoro, ovvero nel diverso (e più breve) termine eventualmente previsto dal Contratto Collettivo applicabile al rapporto.
Purtroppo, la situazione è ancora tale da ingenerare una disparità di trattamento, con pregiudizio per il dipendente pubblico che, oltre a vedersi applicati termini di erogazione differenti, in molti casi deve subire il mancato rispetto anche di quest’ultimi, con ulteriore aggravamento della sua situazione patrimoniale sempre più esposta a rischi di insolvenza o disagio rispetti agli impegni economici assunti, o da assumere, nel corso della vita dopo la cessazione del rapporto di lavoro.
Orbene, qualora i termini non vengano rispettati dall’amministrazione competente, il lavoratore potrà dunque procedere con apposita diffida, da inoltrarsi all’amministrazione erogatrice a mezzo Pec o raccomandata r.r. con cui richiedere, oltre al pagamento dell’importo previsto per il TFR/TFS, anche gli interessi e la rivalutazione monetaria maturati, cui aggiungere il risarcimento degli ulteriori danni eventualmente patiti (nei limiti di quanto allegato e congruamente provato).
Il diritto fatto valere in giudizio è soggetto alla prescrizione quinquennale ex art. 2948, comma 5, c.c. a decorrere dalla data di cessazione del rapporto di lavoro.