Sanzione per dentista che faceva pubblicità irregolare: il caso

È legittima la sanzione disciplinare irrogata ad un dentista che, operando sotto il nome di una società, a lui riconducibile e in realtà non autorizzata e inattiva, pubblicizzava la realizzazione di impianti, corone e protesi mobili, utilizzando termini - quali, per esempio, "servizio low cost" e "gratis" - tali da attrarre la clientela con costi molto bassi, incompatibili con la dignità e il decoro della professione

Sommario

  1. La normativa violata dal dentista
  2. Come è andata a finire: il procedimento disciplinare nei confronti del dentista

Una cittadina ligure viene letteralmente invasa da pubblicità relativa a servizi dentali erogati dalla società A. e offerti a prezzi infimi: volantini, cartelloni pubblicitari stradali, litografie sul retro dei mezzi pubblici per il trasporto urbano riportano un numero verde accompagnato dal nome di una società operante nel settore dentale e offrono ai pazienti la realizzazione di impianti, corone e protesi mobili come servizio low cost o addirittura gratis.

Gli ignari pazienti/consumatori, però, non sono a conoscenza di un dato fondamentale: la società A., riconducibile alla titolarità del dottor B. e pubblicizzata con così tanta enfasi, non è né autorizzata né attiva; i servizi offerti, inoltre, non sono dei servizi generici, ma necessitano di un’apposita prescrizione scritta di un medico qualificato e sono, per loro natura (oltre che per legge) personalizzati per ciascun paziente.

Le numerose pubblicità della società A. vengono trasmesse al Consiglio dell’Ordine dei Medici ove è iscritto il dottor B., che viene perciò accusato di aver violato il Codice Deontologico Medico.

La normativa violata dal dentista

Il dottor B. si è reso colpevole di gravi violazioni del Codice deontologico medico, nello specifico degli articoli 55 e 56 (nel testo vigente all’epoca dei fatti, nel 2014), afferenti rispettivamente all’informazione sanitaria e la pubblicità informativa sanitaria.

Secondo la normativa deontologica al medico è consentito promuovere e attuare un’informazione sanitaria accessibile, trasparente, rigorosa e prudente, fondata sulle conoscenze scientifiche acquisite. Il sanitario non deve divulgare notizie che alimentino aspettative o timori infondati o, in ogni caso, idonee a determinare un pregiudizio dell’interesse generale.

La pubblicità informativa sanitaria del medico e delle strutture sanitarie – sia pubbliche che private – può avere ad oggetto esclusivamente:

-             I titoli professionali,

-             Le specializzazioni,

-             L’attività professionale,

-             Le caratteristiche del servizio offerto,

-             L’onorario relativo alle prestazioni sanitarie offerte.

Lo scopo di fornire tali informazioni è quello di garantire ai pazienti una scelta libera e consapevole dei servizi professionali loro offerti dal medico.

La pubblicità informativa sanitaria può essere diffusa con qualunque mezzo (stampa, radio/tv, web, social), purché rispetti i principi propri della professione medica sia nelle forme che nei contenuti; ciò significa che la pubblicità informativa sanitaria deve essere:

-             Veritiera,

-             Corretta,

-             funzionale all'oggetto dell'informazione,

-             non equivoca,

-             non ingannevole,

-             non denigratoria.

Il medico (a differenza di altre categorie professionali, come ad esempio gli avvocati) può persino effettuare pubblicità sanitaria di tipo comparativo, mettendo cioè a confronto prestazioni mediche o odontoiatriche di altri professionisti, ma solo in presenza di indicatori clinici misurabili, certi e condivisi dalla comunità scientifica che ne consentano confronto non ingannevole.

Per evitare di alimentare speranze vane o attese infondate nei pazienti, il medico non deve diffondere notizie che riguardino eventuali passi in avanti nella ricerca biomedica o innovazioni in campo sanitario, se queste prima non siano state validate e accreditate dal punto di vista scientifico.

Il potere di controllare il rispetto delle regole deontologiche da parte del medico che effettua pubblicità informativa sanitaria spetta all’Ordine professionale territorialmente competente, che ha il potere di prendere i necessari provvedimenti disciplinari.

Con il suo comportamento il dottor B. ha evidentemente violato gli articoli 55 e 56 del Codice Deontologico, in quanto ha diffuso tra la generalità dei pazienti un messaggio:

  1. a) non veritiero, poiché la società A. è stata presentata come operante nel settore dentale ma in realtà non è attiva,
  2. b) scorretto, equivoco e ingannevole perché ha offerto ai pazienti la realizzazione di impianti, corone e protesi mobili a prezzi bassissimi (servizio low cost) o in alcuni casi gratis, senza peraltro specificare che questo tipo di dispositivi sono realizzati solo su misura e fabbricati appositamente sulla base della prescrizione scritta da un medico qualificato e presenta caratteristiche di progettazione specifiche in quanto destinate ad essere usati da un singolo paziente.

Come è andata a finire: il procedimento disciplinare nei confronti del dentista

Il dottor B. è stato sottoposto a procedimento disciplinare dal suo Ordine di appartenenza, che gli ha irrogato la sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio della professione per quattro mesi per avere leso il decoro professionale attraverso la pubblicità incriminata.

Il dottor B. ha deciso di impugnare la sanzione disciplinare, rivolgendosi alla Commissione centrale per gli esercenti le professioni sanitarie, che ha respinto il ricorso e confermato la sanzione disciplinare, evidenziando che – contrariamente a quanto sostenuto dal professionista sanitario –l’insegna pubblicitaria della società A., inattiva ma comunque a lui riconducibile, non era mai stata autorizzata ed inoltre il dottor B. non era nuovo a tale tipo di condotte in quanto pochi anni prima era stato già sanzionato  con la censura per la mancata trasparenza di messaggi pubblicitari analoghi a quelli in contestazione.

Il dottor. B. decide quindi di giocare l’ultima carta a sua disposizione per tentare di ribaltare il giudizio disciplinare a suo carico, chiedendo alla Corte di Cassazione di annullare la sanzione: la Corte, tuttavia, non solo ha respinto il ricorso e confermato la sospensione dall’esercizio della professione per quattro mesi, ma lo ha anche condannato al pagamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello che aveva già versato per proporre il ricorso.

Nel promuovere il ricorso per Cassazione contro i provvedimenti disciplinari di primo e secondo grado il dottor B. ha lamentato l’intervenuta prescrizione della sanzione comminatagli, poiché la sua condotta era stata sanzionata prima con una delibera dell’Ordine territoriale del dicembre 2012 e successivamente con la delibera del novembre 2014 impugnata innanzi alla Cassazione.

In realtà, partendo dal presupposto che il termine di prescrizione degli illeciti disciplinari è di cinque anni dalla loro commissione, la Corte di Cassazione, correttamente, precisa che:

  1. a) il dottor B., con la delibera del dicembre 2012, è stato sanzionato dall’Ordine con la sanzione della censura per avere effettuato una pubblicità ingannevole di servizi dentali attraverso la società A.,
  2. b) la delibera del dicembre 2012 non è stata impugnata, perciò la sanzione della censura è diventata definitiva,
  3. c) il dottor B. si è dimostrato recidivo e ha perseverato nel porre in essere condotte deontologicamente scorrette, e nel 2013 ha realizzato nuovamente pubblicità ingannevole di servizi dentali attraverso la società A., che addirittura era inattiva all’epoca.

Le due condotte sono riferite ad annualità diverse (2012 e 2013) e comunque pur essendo analoghe non sono collegate tra di loro, poiché quella del 2012 è stata sanzionata con la delibera dell’Ordine che ha comminato la censura, mentre quella del 2013 è stata sanzionata con la delibera dell’Ordine che ha comminato la sospensione dall’esercizio della professione nell’anno 2014, nel rispetto del termine di prescrizione quinquennale, che comunque rimane sospeso durante l’esercizio del procedimento disciplinare.

I giudici della Cassazione, infine, con la loro decisione hanno espresso un principio che potrebbe rappresentare un precedente utile per decidere futuri ricorsi analoghi a quello del dottor B., stabilendo che è legittima la sanzione disciplinare irrogata ad un dentista che, operando sotto il nome di una società, a lui riconducibile e in realtà non autorizzata e inattiva, pubblicizzava la realizzazione di impianti, corone e protesi mobili, utilizzando termini - quali, per esempio, "servizio low cost" e "gratis" - tali da attrarre la clientela con costi molto bassi, incompatibili con la dignità e il decoro della professione.

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Di: Manuela Calautti, avvocato

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