La televisita è una modalità di esercizio della telemedicina: si tratta di un atto medico durante il quale il professionista sanitario interagisce, a distanza e in tempo reale, con il suo paziente, da solo o con il supporto di un eventuale caregiver.
La televisita
Durante la televisita il medico può prescrivere farmaci o ulteriori approfondimenti clinici, senza che il paziente debba muoversi da casa, solo grazie a una dotazione tecnologica di base, che consenta di:
- Effettuare la videochiamata
- Consultare e scambiare a distanza dati clinici, referti medici, immagini, audiovideo e documentazione clinica.
Si tratta, in parole semplici, di una vera e propria visita medica, effettuata in modalità telematica.
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Cosa dice la normativa in materia di televisita
Secondo il Codice deontologico medico la televisita non può essere automaticamente considerata sostitutiva della prima visita medica in presenza, e non può mai essere considerata l’unico mezzo per portare avanti la relazione tra medico e paziente.
Spetta solo ed esclusivamente al medico il potere di decidere in quali situazioni e in che misura la televisita può favorire l’assistenza al paziente, utilizzando gli strumenti di telemedicina per le attività di rilevazione o monitoraggio a distanza dei parametri biologici e di sorveglianza clinica.
Le linee guida per la telemedicina, in conformità al Codice Deontologico, prescrivono che l’utilizzo della televisita sia limitato alle attività di controllo di pazienti la cui diagnosi sia già stata formulata durante una precedente visita in presenza; esse, inoltre, specificano che se il paziente non rispetta gli standard clinici o tecnici per effettuare la televisita, dovrà optarsi per la visita in presenza o tradizionale.
Secondo le recenti Linee guida organizzative contenenti il modello digitale per l’attuazione dell’assistenza domiciliare, all’esito di una televisita specialistica viene emesso un vero e proprio referto strutturato, che potremmo definire come telereferto.
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Televisita e telecertificato: i dubbi legali
Molti operatori del settore – a ragion veduta – lamentano il paradosso dell’impossibilità di emettere un valido telecertificato all’esito di una televisita e del connesso rischio di subire un’indagine per falso.
La questione è molto semplice e scaturisce da un difetto di aggiornamento della normativa in materia di certificazione della malattia di un pubblico dipendente: si tratta del cosiddetto decreto Brunetta, il decreto legislativo n. 165/2001.
L’art. 55 septies del decreto Brunetta stabilisce che il pubblico dipendente può giustificare la sua assenza dal lavoro solo mediante un certificato medico rilasciato da una struttura sanitaria pubblica o da un medico convenzionato con il SSN. Il certificato di malattia può essere inviato all’INPS esclusivamente attraverso il canale telematico, direttamente dal medico o dalla struttura sanitaria che lo rilascia. Una volta ricevuto il certificato, l’INPS lo invia immediatamente, sempre per via telematica, all’amministrazione di appartenenza del lavoratore.
L’inosservanza dell’obbligo di trasmissione telematica del certificato di malattia costituisce illecito disciplinare e – in caso di reiterazione di tale comportamento – comporta addirittura il licenziamento ovvero, per i medici convenzionati, la decadenza dalla convenzione.
Secondo la normativa vigente – e qui sta il paradosso – il certificato telematico può essere emesso solo all’esito di una visita tradizionale, in presenza, poiché è richiesto che il medico valuti personalmente il paziente.
Pertanto, nonostante la televisita si stia diffondendo sempre più nella pratica della medicina italiana, un medico non può emettere un certificato di malattia da trasmettere sul portale INPS all’esito della visita in telemedicina. Se lo facesse, emetterebbe un certificato non valido ai fini della giustificazione dell’assenza da parte del lavoratore, e rischierebbe un procedimento penale per il reato di falso ideologico, che va a punire chiunque, nell’esercizio di una professione sanitaria, attesti falsamente in un certificato fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità; la pena prevista per questo tipo di reato è della reclusione fino a un anno o del pagamento di una multa compresa tra euro 51 e 516, cui si aggiungono il notevole danno d’immagine e le conseguenze disciplinari derivanti dall’essere sottoposti a un procedimento penale, oltre allo stress derivante dal trovarsi in una situazione del genere non per propria colpa, ma semplicemente per un mancato adeguamento della normativa all’attuale contesto sanitario.
È pur vero che le Linee guida sulla telemedicina prescrivono che l’utilizzo della televisita sia limitato alle attività di controllo di pazienti la cui diagnosi sia già stata formulata durante una precedente visita in presenza: in linea di principio, perciò, il medico potrebbe visitare in presenza il paziente per valutarne le patologie che giustificano l’assenza dal lavoro, poi ricontrollarlo in televisita ed emettere il telecertificato. In questo caso (sempre in linea di principio, e con una notevole forzatura del sistema) non si potrebbe contestare al sanitario di non aver eseguito il controllo dal vivo del paziente.
Si tratterebbe, tuttavia, di un doppio lavoro, che il sanitario si ritroverebbe a svolgere solo per difendere una questione di principio, che invece la politica deve urgentemente risolvere per facilitare e snellire il lavoro dei medici e consentire loro di operare dove più ce n’è necessità anziché trasformarli in dei burocrati.
Allo stato attuale, nell’incertezza e arretratezza della normativa, è opportuno che un medico eviti di rilasciare un certificato attestante la malattia da trasmettere su portale INPS per la giustificazione dell’assenza dal lavoro di un lavoratore, onde evitare le conseguenze di cui abbiamo parlato sopra.
Il mancato adeguamento della disciplina sul certificato di malattia alla telemedicina è un vero e proprio paradosso e va a cozzare con le finalità del PNRR e con la digitalizzazione della pubblica amministrazione, tant’è che gli operatori del settore da più parti chiedono l’istituzione di un tavolo tecnico che possa ovviare a questa situazione; nonostante l’interessamento di alcuni politici (come ad esempio lo scorso anno la senatrice Daniela Sbrollini, che organizzò una giornata di studi sul tema), la situazione, purtroppo, non è cambiata.