Giornata per la prevenzione delle aggressioni al personale sanitario: normative e tutele

Le attività attuate per la prevenzione delle aggressioni agli operatori sanitari sembrano essere ancora lontane dall’operatività che ci si aspettava con l’approvazione della l.113 del 2020. Nella giornata dedicata alla prevenzione dalle aggressioni facciamo il punto sulle promesse della politica, suggerendo però anche come tutelarsi in caso di aggressione.

Sommario

  1. L’analisi dell’Organizzazione Mondiale della Sanità
  2. Ma in Italia quali provvedimenti si stanno prendendo?
  3. Ma cosa devono fare i sanitari che subiscono aggressioni?
  4. La relazione con il paziente
  5. Supporto legale

A settembre del 2020, mentre gli italiani speravano in un autunno libero dal Covid e il mondo sanitario invece si preparava a gestire una nuova e inevitabile ondata senza la protezione dei vaccini, entrava in vigore la l. 113/2020. Nata con lo scopo di tutelare la sicurezza di tutti i lavoratori della sanità contro le aggressioni e che, fra le altre cose, aveva previsto anche l’istituzione di una “Giornata nazionale di educazione e prevenzione contro la violenza nei confronti degli operatori sanitari e socio sanitari”, che a gennaio dell’anno successivo veniva indicata da un decreto del Ministero della salute nel 12 marzo, in coerenza con quella già stabilita a livello europeo.

L’obbiettivo nazionale ed europeo nell’istituire questa giornata era evidentemente quello di sensibilizzare la cittadinanza ad una cultura che condannasse ogni forma di violenza nei confronti dei lavoratori della sanità già duramente provati da un anno di pandemia, ma anche quello di creare degli spazi di riflessione nell’ambito dei quali proporre soluzioni o comunque strumenti funzionali a migliorare la situazione.

A due anni dall’istituzione di questa importante ricorrenza è necessario fare un punto sulla situazione analizzando i dati e l’operatività delle normative specifiche poste in essere.

L’analisi dell’Organizzazione Mondiale della Sanità

Innanzitutto, va sottolineato che i dati raccolti sia a livello nazionale che internazionale sono tutti sottostimati poiché vi è un numero considerevole di soggetti che non denuncia le aggressioni.

L’OMS in un recente rapporto su questo tema ha rilevato che fino al 38% (ma comunque non meno dell’8%) degli operatori sanitari è destinato a subire ad un certo punto della propria carriera delle violenze fisiche, un dato allarmante a cui occorre aggiungere quello delle minacce e delle aggressioni verbali che colpiscono fino al 62% degli operatori sanitari.

Nella maggior parte dei casi le violenze provengono da pazienti e visitatori; perciò, secondo l’OMS gli interventi per prevenire la violenza in contesti non di emergenza dovrebbero concentrarsi su strategie per gestire meglio i pazienti violenti e i visitatori ad alto rischio, mentre quelli per i contesti di emergenza si dovrebbero occupare di garantire la sicurezza delle strutture sanitarie.

Ma in Italia quali provvedimenti si stanno prendendo?

Nella stessa normativa con la quale era stata istituita la giornata per la prevenzione contro le violenze nei confronti dei lavoratori della sanità (l. 113/20) era stata anche prevista la creazione di un Osservatorio nazionale sulla sicurezza degli esercenti le professioni sanitarie a cui, peraltro, proprio dopo alcuni recenti fatti di cronaca che avevano riportato il tema all’attenzione pubblica, aveva fatto riferimento il Ministro della Salute Orazio Schillaci precisando che avrebbe richiesto un monitoraggio più accurato e la sua volontà di rendere nuovamente operativo il Comitato nazionale per l’indirizzo e la valutazione delle politiche attive fermo ormai da luglio 2022.

Il 23 gennaio si è svolto un incontro fra il Ministro della salute, la Direzione generale delle professioni sanitarie del Ministero della Salute e alcuni rappresentanti dell’Osservatorio. In quella sede oltre a rimarcare l’aumento del 25% dei casi di aggressione dal 2021 al 2022 è stata richiesta la mappatura delle strutture più a rischio che verrà effettuata con il supporto del Ministero degli interni ed è stato precisato che verrà aperto un tavolo ad hoc che si occuperà del Pronto Soccorso che è il luogo dove si verificano il maggior numero di aggressioni.

Entro il 31 marzo l’Osservatorio invierà al Parlamento la sua relazione annuale nella quale verrà dato riscontro sulle principali tematiche che hanno affrontato i gruppi di lavoro:

  • monitoraggio, raccolta ed elaborazione dati;
  • campagne di sensibilizzazione;
  • formazione del personale sanitario

Ma cosa devono fare i sanitari che subiscono aggressioni?

Innanzitutto, occorre precisare che ci sono due ambiti da tenere in considerazione: quello piscologico e quello legale. Entrambi devono essere affrontati affinché le conseguenze già gravi delle aggressioni non producano nel lungo termine altre problematiche per chi l’ha subita.

Dunque, un supporto psicologico per affrontare il trauma generato dall’atto violento è necessario. Tutte le aziende sanitarie pubbliche e private dovrebbero avere un protocollo di gestione del supporto psicologico da attivare a beneficio del lavoratore ogni volta che si verificano tali casistiche a prescindere dalla gravità.

È stato stimato che fino al 36% dei soggetti aggrediti sviluppa disturbi psicosomatici dopo un’aggressione e che questo può portare a stati d’ansia, sensi di colpa, sentimenti di rabbia e di frustrazione, nonché a disturbi del sonno e ad una riduzione della motivazione all’attività lavorativa. Ma il dato diminuisce considerevolmente se viene effettuato un intervento psicologico tempestivo entro le prime 96 ore dall’evento.

La relazione con il paziente

Sebbene in tanti casi di aggressione del personale sanitario la situazione non sia prevedibile, e quindi prevenibile, dal singolo; esistono casistiche in cui la rabbia del paziente o del suo caregiver può essere gestita dal professionista prima di arrivare allo sfogo violento.

Il professionista sanitario sa che non tutte le patologie sono uguali. Esistono pazienti che sono consapevoli di poter guarire e altri che sanno invece che la loro malattia assumerà o ha già assunto un aspetto cronico. Sapere che alla guarigione non si arriverà mai può provocare reazioni inconsulte, sia nel malato che nel suo caregiver. Il curante o chi fornisce assistenza deve essere pronto a gestire questa forte emozione e a fornire al proprio paziente una strategia di gestione a breve e lungo termine della notizia ricevuta.

Il counselling aiuta curante e paziente a gestire la situazione di cronicità al meglio possibile, mantenendo anche uno stato d’animo positivo e senza creare attriti che non giovano al percorso terapeutico.


Consulcesi mette a disposizione due corsi ECM su questo tema. “La comunicazione efficace: gestire il primo incontro con il paziente” (3.9 crediti) e “Il counselling al servizio della relazione con il paziente” (46.8 crediti). Per garantire la completa presa in carico del paziente, in difficoltà anche psicologica.


Supporto legale

Quanto alle questioni puramente legali e burocratiche occorre innanzitutto:

  • recarsi subito in Pronto Soccorso per le cure e per refertare tutti i danni cagionati, sia ai fini INAIL (si tratta di un vero e proprio infortunio sul lavoro) che dell’eventuale richiesta di risarcimento danni all’aggressore;
  • comunicare l’accaduto al proprio responsabile e all’azienda, la comunicazione può essere fatta anche solo verbalmente, ma una comunicazione via e-mail, preferibilmente pec;
  • inviare una segnalazione all’Ufficio di Risk Management dell’azienda datrice di lavoro affinché possa attivare le procedure di segnalazione degli eventi sentinella. Questa specifica attività non è obbligatoria ma è utile ai fini statistici e serve per rendere più efficaci nel lungo termine le politiche di prevenzione da parte dello Stato.

In ogni caso per districarsi al meglio in questa complessità di questioni da gestire è sempre preferibile avvalersi del supporto di un legale specializzato, anche se la legge 113 del 2020 ha previsto che le casistiche più gravi non necessitino di una querela da parte della vittima affinché l’aggressore venga perseguito.

Oltre alla responsabilità inequivocabile dell’aggressore per i danni fisici che ha causato, potrebbe ravvisarsi una responsabilità a carico del datore di lavoro che non ha attivato tutti gli strumenti necessari a garantire la sicurezza del lavoratore, ma si tratta di profili risarcitori che è necessario vengano valutati sempre da un legale specializzato.


Dal 2020 Consulcesi ha attivato il telefono rosso 800.620.525 un supporto specializzato per tutti i lavoratori della sanità che hanno subito delle aggressioni e non sanno come tutelarsi.


Nell’attesa che la politica metta a disposizione dei professionisti della sanità strumenti concreti di tutela e prevenzione, sapere come muoversi e avere a disposizione un consulente qualificato può essere essenziale per ridurre al minimo le conseguenze di un evento traumatico come un’aggressione sul luogo di lavoro.

Di: Cristina Saja, giornalista e avvocato

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