Malati di Alzheimer: come richiedere il rimborso delle rette di degenza

Alla luce dei principi dettati dalla Corte di Cassazione diviene legittima la richiesta di rimborso delle rette di degenza sostenute per il ricovero dei pazienti affetti Alzheimer nelle RSA e strutture convenzionate.

Sommario

  1. Cosa prevede la normativa sul rimborso delle rette di degenza
  2. Le indicazioni della giurisprudenza di legittimità per il rimborso delle rette di degenza
  3. L’azione di rimborso per rette Alzheimer: come fare?

Si tratta di una problematica che riguarda un numero, purtroppo sempre più cospicuo, di persone che, affette da patologie gravi (come l’Alzheimer), devono essere ricoverate presso strutture RSA per poter ricevere adeguata assistenza sia a livello sanitario, con cure e trattamenti che consentano il prolungamento dignitoso della loro esistenza, che socioassistenziali, non essendo più in condizioni di gestire le ordinarie funzioni vitali in autonomia.

L’aspetto tanto dibattuto riguarda principalmente la prassi, generalmente invalsa, per cui la retta, richiesta dalle strutture sanitarie comunali o, comunque, convenzionate con il SSN, viene posta a carico (in toto o in parte) del malato o dei suoi familiari, senza possibilità di accedere a formule di gratuità, ovvero di rimborso perché non dovute.

Cosa prevede la normativa sul rimborso delle rette di degenza

Il malato non autosufficiente, che viene ricoverato presso una struttura RSA, viene assoggettato ad alcune prestazioni, definite sociosanitarie integrate, che risultano disciplinate dall’art. 3, septies, del D.Lgs. n. 502/1992, da leggersi in combinato disposto con il DPCM 14.02.2001, a cui è subentrato il DCPM 12.01.2017.

Queste prestazioni sono distinte in:

  • prestazioni sanitarie a rilevanza sociale di competenza e a carico delle aziende sanitarie locali;
  • prestazioni sociali a rilevanza sanitaria sono di competenza ed a carico dei comuni, con la compartecipazione alla spesa dell’utenza;
  • prestazioni sociosanitarie ad elevata integrazione sanitaria erogate ed a carico del Fondo Sanitario nazionale.

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Le indicazioni della giurisprudenza di legittimità per il rimborso delle rette di degenza

La Corte di Cassazione si è più volte pronunciata sulla questione del riparto degli oneri economici di degenza in queste situazioni, giungendo a formulare alcuni principi generali che, di fatto, dovrebbero presiedere la risoluzione di una disputa tanto delicata.

La sentenza n. 4558/2012 ha stabilito che, al ricorrere di condizioni specificatamente individuate e comprovate, la retta deve rimanere a carico integralmente del Servizio Sanitario Nazionale.

In estrema sintesi, per aversi diritto a non pagare (ovvero, qualora si tratti di rette già erogate, al rimborso di quanto indebitamente percepito dagli enti) è sempre necessario che, oltre alle prestazioni socioassistenziali, risultino erogate anche quelle sanitarie, che devono costituire il fulcro dell’attività fornita al soggetto ricoverato.

Trattandosi di principi garantiti dal presidio costituzionale dell’art. 32, questa pronuncia ha puntualmente osservato che “l'attività prestata in favore di soggetto gravemente affetto da morbo di Alzheimer ricoverato in istituto di cura è qualificabile come attività sanitaria, quindi di competenza del Servizio Sanitario Nazionale, ai sensi dell'art. 30 della legge n. 730 del 1983, non essendo possibile determinare le quote di natura sanitaria e detrarle da quelle di natura assistenziale, stante la loro stretta correlazione, con netta prevalenza delle prime sulle seconde”.

Le prestazioni socioassistenziali di rilievo sanitario rientrano, allora, in quelle a carico del SSN tutte le volte in cui risulti, in base ad un apprezzamento della situazione concreta, che tenga conto della patologia sofferta dal soggetto, del suo stadio al momento del ricovero e della sua prevedibile evoluzione futura, che le stesse siano necessarie per garantirgli un’adeguata tutela del diritto alla salute ed alla dignità personale.

Si tratta di prestazioni che non possono essere eseguite, se non congiuntamente a quelle di natura sanitaria, a cui sono quindi avvinte da un nesso di strumentalità necessaria, non rilevando in alcun modo la prevalenza delle une sulle altre, ma convergendo in un’unica assistenza integrata, che pertanto dovrà essere erogata a titolo gratuito senza che sia possibile porre a carico del paziente alcun contributo economico, neppure a titolo contrattuale.

Ancora di recente, con la sentenza n. 13714/2023, la Corte di Cassazione ha ripreso queste conclusioni ribadendo come non si possa operare alcuna distinzione delle prestazioni sanitarie erogate dalla struttura rispetto alla componente alberghiero-assistenziale, poiché il criterio rimane sempre quello “della integrazione tra le prestazioni, ovvero della unitaria ed inscindibile coesistenza dei due aspetti della prestazione, che ne produce l'integrale addossamento degli oneri economici sul Servizio Sanitario Nazionale”.

Pertanto, nell’individuazione dell’eventuale discrimine fra le distinte prestazioni, non deve farsi riferimento alla tipologia di struttura ma esclusivamente alle condizioni effettive del malato, per valutare se il piano terapeutico personalizzato risulti effettivamente necessario “in relazione alla patologia della quale risultava affetto (morbo di Alzheimer), dello stato di evoluzione al momento del ricovero e della prevedibile evoluzione successiva della suddetta malattia, di un trattamento sanitario strettamente e inscindibilmente correlato con l'aspetto assistenziale perché volto, attraverso le cure, a rallentare l'evoluzione della malattia e a contenere la sua degenerazione, per gli stati più avanzati, in comportamenti autolesionistici o potenzialmente dannosi per i terzi”.

Con ordinanza n. 26943/2024, la Corte ha ribadito che le prestazioni socio-assistenziali di rilievo sanitario devono essere incluse in quelle a carico del SSN, laddove risultino necessarie ad assicurare al paziente - in relazione alla patologia dalla quale è affetto, allo stato di evoluzione al momento del ricovero e alla prevedibile evoluzione successiva della suddetta malattia – la tutela del suo diritto soggettivo alla salute e alle cure, essendo strettamente correlate, con un nesso di strumentalità necessaria, alla attività di natura socio-assistenziale.

Viene meno, allora, la questione della prevalenza o meno delle prestazioni di natura sanitaria rispetto a quelle assistenziali, dovendosi unicamente apprezzare l’effettiva sussistenza del nesso di strumentalità necessaria, ovvero della unitaria ed inscindibile coesistenza dei due aspetti della prestazione che, secondo quanto sopra meglio chiarito, ne determina l'integrale addossamento del relativo onere economico sul SSN.

L’azione di rimborso per rette Alzheimer: come fare?

Ricorrendone i presupposti, l’azione diretta al recupero delle somme eventualmente erogate (e non dovute) per l’assistenza del paziente deve essere quindi presentata, mediante il patrocinio di un legale esperto in materia coadiuvato da un medico-legale, innanzi al Tribunale ordinario civile competente, avendo cura di produrre in giudizio la certificazione attestante la patologia del malato, l’autorizzazione al ricovero in RSA, la dichiarazione di soggiorno in RSA ed, infine, le ricevute dei pagamenti effettuati per conto del soggetto ricoverato.

Sarà poi opportuno, per completezza difensiva, avanzare istanza di ammissione delle Consulenza Tecnica d’Ufficio volta a dimostrare l’effettivo stato clinico del degente e la natura delle prestazioni di cui necessitava durante il ricovero presso la struttura, lasciando poi al magistrato la decisione circa l’opportunità, alla luce del materiale probatorio già disponibile, di procedere all’acquisizione di questo ulteriore approfondimento tecnico-scientifico. 

L’azione può essere intrapresa sia dal malato (qualora ancora dotato di capacità d’agire), sia dai soggetti cui è stata conferita la tutela, sia infine dai familiari (qualora siano a loro carico gli esborsi sostenuti per le rette di degenza).

La prescrizione dell’azione è decennale trattandosi di ripetizione di indebito ex art. 2033 c.c.

Di: Francesco Del Rio, avvocato

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