Pubblico impiego: pioggia di condanne per ferie non godute

Dal primo dell’anno si contano oltre 130 condanne inflitte dai Tribunali di merito alle più svariate articolazioni pubbliche (Ministeri, Aziende Sanitarie ecc…..) al pagamento, in favore dei loro ex dipendenti, dell’indennità sostitutiva per i giorni di ferie annuali retribuiti e non goduti durante il servizio. Richiamata la più recente pronuncia della Corte di Cassazione, si osserva come anche i Tribunali del Lavoro siano ormai adeguati nel riconoscere gli indennizzi ai dirigenti medici, allorchè le amministrazioni sanitarie non adempiano all’onere probatorio (di natura prettamente documentale) a loro carico.

Sommario

  1. Il settore sanitario: la Cassazione detta le regole
  2. I giudici di merito si adeguano: medico anestesista risarcito
  3. Mobilità volontaria: ASL di provenienza condannata al risarcimento

Un inizio anno all’insegna delle sconfitte giudiziali per la pubblica amministrazione: la questione della monetizzazione delle ferie non godute, dopo i recenti pronunciamenti della CGUE nei confronti della normativa italiana, è sempre più spesso protagonista delle aule dei tribunali dove a farne le spese è la parte datoriale pubblica. Da inizio anno si contano, infatti, oltre 130 condanne inflitte dai Tribunali di merito alle articolazioni pubbliche (Ministeri, Aziende Sanitarie) al pagamento, in favore dei loro ex dipendenti, dell’indennità sostitutiva per i giorni di ferie annuali retribuiti e non goduti durante il servizio. 

Il settore sanitario: la Cassazione detta le regole

È ancora forte l’eco della recente ordinanza n. 5496/2025 con cui la Corte di Cassazione, dovendosi occupare del ricorso presentato da un dirigente medico, a cui era stato negato l’indennizzo per le ferie non godute dalla Corte di Appello di Napoli, ha puntualmente annullato la sentenza di merito, ricordando che non è lecito respingere tale pretesa quando, agli atti, non vi è prova del fatto che il datore di lavoro abbia effettivamente invitato il lavoratore a fruire delle ferie residue, verificando altresì che l’organizzazione e le esigenze di servizio di quest’ultimo non fossero tali da impedirne il godimento.

Aver posto a carico del medico l’onere di dimostrare che il mancato godimento del periodo annuale di riposo retribuito fosse dipeso ad esigenze eccezionali è stato quindi considerato – in linea con quanto costantemente affermato dalla stessa Cassazione - un errore giudiziale, dal momento che è la parte datoriale ad essere gravata della prova liberatoria, in difetto dovendo essere condannata al pagamento dell’indennizzo.

I giudici di merito si adeguano: medico anestesista risarcito

Un caso, deciso recentemente dalla Sez. Lav. del Tribunale di Catania, riguarda un Dirigente Medico Anestesia e Rianimazione che, in servizio continuativo dal 2011 al 2022 quando cessava dal rapporto per dimissioni volontarie, ha invocato il pagamento dell’indennizzo sostitutivo per 70 giorni di ferie arretrate non fruite.

A fronte di ciò, l’azienda datrice di lavoro contestava ogni pretesa sostenendo che l’ex dipendente non avesse fornito prova né della maturazione delle ferie, né della richiesta di godimento delle stesse. Decisamente respinte le obiezioni dell’Azienda.

La prova delle ferie arretrate è stata considerata insita nell’attestazione proveniente dalla stessa parte datoriale mentre, con riferimento alla questione della previa istanza di godimento, la risposta del Giudice è stata fin troppo agevole, laddove si è limitato a richiamare quel principio giurisdizionale, di fattura inizialmente europea ma poi accolto anche internamente, per cui non è possibile denegare il riconoscimento del diritto all’indennizzo, sulla sola scorta della mancata richiesta del lavoratore di poterlo esercitare, dovendosi invece verificare che egli sia stato effettivamente posto dal datore di lavoro, segnatamente con un’informazione adeguata da parte di quest’ultimo, in condizione di esercitare questo diritto.

È quindi emerso, dai soli documenti prodotti dalle parti, che l’anestesista non aveva goduto delle ferie maturate nel corso del rapporto di lavoro, residuandone 70 alla sua cessazione. Dall’altra parte, invece, l’azienda non ha fornito la prova di avere invitato il medico alla fruizione delle ferie, in tempo utile a garantire la funzione di ristoro delle energie psico–fisiche e in riferimento ai successivi momenti di maturazione del diritto – anno per anno – né di averla tempestivamente e formalmente informata che la mancata fruizione delle ferie successiva all’invito avrebbe determinato l’estinzione del diritto stesso, nonché l’estinzione del diritto alla relativa indennità sostitutiva. A nulla rilevando che la cessazione del rapporto avvenisse per dimissioni volontarie, il Tribunale ha quindi riconosciuto al medico anestesista un indennizzo pari € 15.743,11, oltre interessi legali, con il favore delle spese di giudizio.

Mobilità volontaria: ASL di provenienza condannata al risarcimento

Diverso, ma con analogo finale, il caso approdato alla Sezione Lavoro del Tribunale di Modena riguardante un dirigente medico che, a seguito di procedura di mobilità volontaria, era cessato dal servizio presso un’azienda sanitaria locale, con un arretrato di oltre 100 giorni di ferie. 

Riprendendo l’attività in continuità nell’ente di destinazione, si era visto riconosciuto, previo accordo delle aziende interessate e senza il suo consenso, un saldo ferie non godute di soli 15 giorni. 

Reclamato il pagamento dell’intero periodo di ferie non goduto, l’amministrazione convenuta si era quindi costituita in giudizio, opponendo dapprima l’impossibilità di ogni riconoscimento economico stante il divieto imposto dall’art. 5, comma 8, del D.L. 95/12, per poi sostenere che l’ex dipendente non avesse fornito la prova dell’impossibilità di fruire delle ferie prima dell’interruzione del rapporto di lavoro, dovendo quindi imputare ad una sua libera scelta il mancato godimento, concludendo per la prescrizione quinquennale del diritto.  

Respinta l’eccezione di prescrizione, siccome notoriamente decennale e non quinquennale, il Tribunale ha quindi rilevato come l’Azienda non avesse fornito la prova documentale dell’invito formulato al suo ex dirigente medico, né di aver esercitato tutta la diligenza necessaria per consentire la fruizione delle ferie prima della cessazione del rapporto di lavoro. 

Altrettanto infondata è stata poi considerata l’affermazione per cui, rivestendo la posizione di dirigente medico, avrebbe agevolmente potuto di pianificare in autonomia le proprie ferie. 

Su tale aspetto, il Tribunale ha confutato l’assunto ricordando che, per giurisprudenza consolidata, sia il dirigente medico di I o II livello che finanche i responsabili di struttura complessa, sebbene astrattamente facoltizzati ad autodeterminarsi le ferie, non per questo possono perdere automaticamente il diritto alla monetizzazione delle ferie, laddove l’azienda datrice di lavoro non fornisca prova di avere fatto tutto il possibile per consentire loro l’esercizio in concreto del diritto (Cass. n. 13679/2024 e Cass. n. 5496/2025). 

Ritenuto pertanto illegittimo il rifiuto al pagamento dell’indennizzo, il Giudice ha quindi concluso condannando, con sentenza n. 339/2025, l’amministrazione di provenienza al riconoscimento in favore del suo ex dipendente della somma di € 19.639,42, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria, con vittoria delle spese del processo. 

Di: Francesco Del Rio, avvocato

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