Stop al licenziamento del medico obiettore

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza 12 giugno 2023, n. 16551. In questo approfondimento una collezione della giurisprudenza sul recente stop al licenziamento del medico obiettore.

Sommario

  1. I fatti
  2. Deduzioni

La sentenza riafferma un principio oramai consolidato nella giurisprudenza.  In ordine alla proporzionalità del licenziamento disciplinare nel pubblico impiego contrattualizzato, è da escludere qualunque sorta di automatismo a seguito dell’accertamento dell’illecito disciplinare, sussistendo l’obbligo per il giudice di valutare la gravità dei fatti addebitati al lavoratore, in relazione alla portata oggettiva e soggettiva dei medesimi, alle circostanze nelle quali sono stati commessi e all’intensità del profilo intenzionale e, dall’altro, la proporzionalità fra tali fatti e la sanzione inflitta. 

La massima

“Ove la paziente, la quale abbia manifestato in anticipo gli effetti del processo abortivo farmacologico indottole il giorno precedente dal medico di fiducia, visitata dall'ostetrica sia risultata in stato di travaglio abortivo in atto, ed il medico presente in reparto abbia demandato al medico di fiducia - anch'egli appartenente al medesimo reparto, ma in quel momento fuori servizio – l'intervento, deve ritenersi sproporzionata la sanzione del licenziamento disciplinare comminata al medico se nessun danno reale vi sia stato per la paziente né si sia concretato un tangibile discredito per l'azienda sanitaria”. 

I fatti

La questione ha visto protagonista una donna che si è presentata in reparto senza passare per il pronto soccorso. Le cintervento medico si sono manifestati a seguito degli effetti dell’aborto farmacologico indotto da un altro medico, che in quel momento non era in servizio e che è stato costretto a raggiungere l’ospedale, perché il ginecologo di guardia notturna lo ha fatto chiamare dall’ostetrica, mentre la ragazza si trovava in travaglio abortivo, pronta per essere trasferita in sala parto.  

Il medico in servizio, dunque, era un obiettore e per il fatto di non essere intervenuto è stato licenziato, ma ha impugnato il provvedimento.  

Per i giudici di legittimità, il motivo è fondato e l’impugnazione è stata accolta. Gli stessi Giudici hanno ricordato che: “Manca, tuttavia, da parte della Corte d’appello di Napoli una valutazione di proporzionalità della sanzione rispetto alle norme del contratto collettivo di lavoro. La paziente non è in pericolo di vita e il rifiuto di provvedere non è del tutto incongruo: determina l’intervento del medico di fiducia della ragazza che conosce il caso e lo risolve positivamente. Non si può poi ignorare che il dirigente medico incolpato non abbia precedenti disciplinari”.

Deduzioni

Da quanto recepito, la giurisprudenza sancisce la mancanza di proporzionalità tra l’atto omissivo del medico obiettore e il provvedimento del licenziamento. Per i Giudici, infatti, per poter emettere un provvedimento così restrittivo e/o punitivo come quello del licenziamento, bisogna verificare se è possibile applicare al sanitario una sanzione meno grave secondo i parametri della contrattazione collettiva.  

La Cassazione ha dunque cassato con rinvio e ora gli atti di causa torneranno alla Corte d’Appello di Napoli che dovrà decidere sulla base delle indicazioni fornite in sede di legittimità, anche in base alla proporzionalità della sanzione rispetto alle norme del contratto collettivo nazionale di lavoro.  

Quanto è stato stabilito è che in materia disciplinare, il giudice deve accertare in concreto la proporzionalità tra sanzione e infrazione. Sotto il profilo oggettivo della condotta materiale e di quello soggettivo del relativo dolo o colpa vanno effettuate diverse valutazioni. A tale fine, è necessario considerare che il giudizio di gravità e proporzionalità rientra nell’attività sussuntiva e valutativa del giudice e quindi l’eventuale previsione nel contratto collettivo di fattispecie di licenziamento disciplinare è solo uno dei possibili parametri per riempire di contenuto la clausola generale dell’art. 2119 c.c., ma non è vincolate per il giudice.  

Inoltre, va considerata la sussistenza della giusta causa o del giustificato motivo soggettivo per un inadempimento o un comportamento del lavoratore contrario alle regole dell’etica o del comune vivere civile, oppure può essere escluso che l’addebito integri tale motivo disciplinare, pur essendo qualificato come tale dal contratto collettivo, in considerazione delle concrete circostanze oggettive e soggettive che lo hanno caratterizzato. 

La valutazione caso per caso, la proporzionalità e i parametri relativi alla clausola generale: queste sono le incognite da considerare tutte le volte che si ha davanti un licenziamento che si ritiene illegittimo. 

Di: Cristina Saja, avvocato e giornalista

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