La Corte di Cassazione, con la recente ordinanza n. 27427/2024, ribaltando l’esito delle pronunce di merito, ha individuato l’inadempimento contrattuale dell’azienda sanitaria, che aveva adibito un proprio dipendente ad un numero di turni superiori al limite massimo previsto dalla contrattazione collettiva, riconoscendo così la possibilità di accedere al risarcimento del danno provocato.
Reperibilità e riposi compensativi: limiti contrattuali e tutela del lavoratore
La questione nasce dalla domanda giudiziale presentata da un infermiere nei confronti della propria azienda sull’assunto, da un canto, di aver svolto un numero di turni di reperibilità maggiore rispetto a quello indicato dall’art. 7, comma 10, del CCNL integrativo del 20/09/2001 e, dall’altro, di non aver potuto godere dei riposi compensativi per i turni di pronta disponibilità coperti in giornate festive.
Da qui la richiesta risarcitoria nella misura di euro 100 per ogni turno superiore al limite contrattualmente previsto, oltre al ristoro del danno psicofisico sofferto ed, infine, al controvalore economico di una giornata lavorativa per ogni riposo non goduto.
Sia in primo che secondo grado, le domande del sanitario venivano interamente respinte motivando, in estrema sintesi, che il solo superamento del limite di turni previsto dalla contrattazione collettiva non potesse comportare, per ciò solo, il riconoscimento della condotta inadempiente del datore di lavoro, dovendosi altresì dimostrare un effettivo esercizio abusivo di tale strumento organizzativo contrario a principi di buona fede e correttezza.
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Convinto delle proprie ragioni, il dipendente ha quindi presentato ricorso davanti al Supremo Collegio, sostenendo cinque motivi di censura rispetto alla sentenza di rigetto della Corte di Appello.
Nello specifico del tema del superamento dei turni di reperibilità, veniva rimarcato nel secondo articolato di critica come l’inadempimento dell’Azienda, disconosciuto in sede di merito, fosse in realtà eclatante come dimostrato dal fatto che, per ragioni di carenza di personale, l’infermiere fosse stato adibito per circa 10 anni ad una media di 9-11 turni mensili di pronta disponibilità a fronte dei 6 stabiliti dal CCNL in vigore al tempo dei fatti.
Questo utilizzo smodato dello strumento contrattuale confermava, pertanto, la condotta abusiva tenuta dall’azienda in contrasto con i principi di correttezza e buona fede.
Inoltre, con il quarto motivo di censura, veniva altresì contestata la decisione di merito nella parte in cui aveva respinto tutte le istanze istruttorie mirate alla prova del danno, ritenendolo comunque comprovato, mediante il ricorso alle presunzioni semplici, dalla sistematica violazione della disciplina collettiva e del diritto al riposo.
Cassazione: limiti alla reperibilità e diritto al riposo
Nel considerarle ammissibili, la Cassazione ha quindi riconosciuto la fondatezza delle critiche mosse dal ricorrente con il secondo ed il quarto motivo, ritenendoli peraltro agevolmente risolvibili facendo ricorso, ai sensi dell’art. 118 att. C.p.c., ai principi già affermati, in un caso del tutto simile, con la precedente ordinanza n. 21934/2023.
Nel ricostruire, dagli atti processuali, la vicenda vissuta dal lavoratore, che in pratica asseriva di aver svolto, in un arco di tempo dal 2009 al 2016, ben 432,5 turni di pronta disponibilità in più rispetto a quanto sarebbe stato dovuto secondo il CCNL applicabile, la Corte è quindi passata a rievocare i principi già espressi, in altre occasioni, con riferimento all’area medica.
È stato quindi ribadito che la previsione, contenuta nella contrattazione collettiva, per cui "di regola non potranno essere previsti per ciascun dirigente più di sei turni di pronta disponibilità al mese” (passati ora a 7 secondo l’ultima versione del CCNL), deve essere considerato un “precetto di natura programmatica e non come limite temporale invalicabile, fatto salvo il diritto alla retribuzione per i turni eccedentari ed il risarcimento del danno nel caso di pregiudizio per il recupero delle energie psico-fisiche del lavoratore”.
Detto ciò, si è però aggiunto che, seppur non possa configurarsi un inadempimento contrattuale per il solo fatto del superamento del limite di turni previsto dalla contrattazione, occorre comunque soffermarsi sulle modalità con cui questa situazione viene concretamente a svolgersi, onde valutare se vi sia un’interferenza tale nella vita del lavoratore da pregiudicarne il diritto al riposo.
Con una sintesi chiarissima, la Corte afferma che “il superamento dei limiti di turni normali, ovverosia quello previsto come di regola, non è in sé ragione di inadempimento datoriale, ma lo può diventare se in concreto si determini un'interferenza tale, rispetto alla vita privata del lavoratore, da far individuare un pregiudizio al diritto al riposo; tale pregiudizio, proprio per la natura elastica della norma collettiva, per essere individuato, necessita di un superamento significativo di quel limite, fino al punto di poter dire che la vita personale del lavoratore, in ragione di ciò, sia stata inevitabilmente compromessa”.
Errata è parsa allora la motivazione di rigetto assunta in sede di appello, non avendo adeguatamente indagato le modalità con cui l’azienda sanitaria avesse fatto ricorso allo strumento dei turni di pronta reperibilità, omettendo così di accertare l’inadempimento allorchè si sia andati oltre ogni tollerabile dimensione quantitativa.
Degna di rilievo la notazione con cui la Corte intende ricordare che non esiste, neppure a livello di contrattazione collettiva, un diritto tout court dell'ente sanitario di richiedere prestazioni con abnormi modalità quantitative, dovendo sempre incontrare il limite della correttezza e buona fede contrattale.
Il danno da violazione del diritto al riposo è automatico
Passando poi alla valutazione dell’aspetto del danno patito a seguito degli eccessivi turni ricoperti dal sanitario ricorrente, la Corte ha ribadito che, al di là dell’eventuale insorgere di un pregiudizio di natura psicofisica, qualora si lamenti la violazione del diritto al riposo e dunque della personalità del lavoratore, il danno è sempre in re ipsa.
Sono, quindi, le stesse caratteristiche della condotta inadempiente tenuta dall’azienda, che aveva per 6 anni adibito il dipendente ad una media di turni per periodi di tempo pari ad un terzo di ogni mese, a far ragionevolmente presumere una compressione illecita della sua vita personale, venendo limitato il libero godimento dei propri interessi personali durante il tempo del riposo.
Nessuna ulteriore prova o allegazione era quindi necessaria da parte del lavoratore che, vista l’entità dell’impegno assegnato con le modalità dianzi descritte, ha certamente patito un danno alla personalità morale, peraltro ampiamente riconosciuto sia a livello costituzionale (art. 2, 35 e 36 Cost.) che comunitario (direttiva 2003/88/CE), come tale direttamente liquidabile con un equivalente monetario valutato in via equitativa.
Tutela legale e risarcimento per violazione dei limiti di reperibilità
Confortati dal nuovo pronunciamento favorevole della Cassazione, sarà quindi percorribile, ogni qual volta sia possibile dimostrare la reiterata e costante violazione dei limiti di turni di pronta reperibilità previsti dal CCNL applicabile, la strada della contestazione all’Azienda dell’inadempimento contrattuale, con l’obbiettivo sia di ripristinare la situazione di legalità compromessa (qualora il dipendente sia ancora in servizio), che di richiedere il legittimo ristoro del pregiudizio patito per ogni turno prestato in eccedenza.
Da ricordare che, in ogni caso, il termine di prescrizione applicabile è di dieci anni a decorrere dal momento in cui la violazione è stata singolarmente commessa dall’azienda sanitaria inadempiente.