Minacce, aggressioni verbali e fisiche: in tutti gli
ospedali italiani la sicurezza è ormai divenuta un problema quotidiano.
Non è necessario guardare molto indietro per trovare casi di aggressioni al personale sanitario negli ospedali italiani. Se durante il
Covid-19 la situazione era perfino peggiorata, scontri verbali e non solo non sono mai cessati.
Troppi, gravi, casi che da Nord a Sud fiaccano ulteriormente il morale dei professionisti della salute, già alle prese con un carico di stress importante e
turni di lavoro spesso eccessivi per compensare la carenza di personale.
Tra gli ultimi, innumerevoli incidenti l’aggressione al pronto soccorso dell'
ospedale di Civitanova Marche dove alcuni infermieri sono rimasti feriti dopo essere stati aggrediti da un giovane la sera del 3 settembre.
Un altro caso che fa da cartina tornasole quello del
Niguarda di Milano dove
nel 2021 sono stati segnalati “
almeno 80 episodi conflittuali” di cui quasi la metà hanno riguardato
aggressioni fisiche. A questi numeri che, come riporta
la Repubblica, sono “sicuramente sottostimati perché non tutti gli episodi vengono segnalati dal personale”, si aggiungono quelli raccolti durante quest’anno e che fanno già presagire un aumento dei casi.
L’importanza di un’efficace comunicazione medico-paziente
Per cercare di arginare questi incidenti si torna allora a ridiscutere di
presidi fissi di polizia in ospedale,
sorveglianze di guardie giurate e
telecamere ma anche sistemi per segnalazioni anonimi “così gli operatori possono sentirsi liberi di raccontare quel che succede in Pronto soccorso”, ha dichiarato a
la Repubblica Giorgia Saporetti, direttrice della Struttura complessa qualità e rischio clinico, oltre che direttrice di presidio ad interim parlando delle misure già attivate nell’ospedale milanese.
Accanto a queste misure, che sicuramente possono mettere gli operatori sanitari in una condizione di maggiore sicurezza, è necessario
lavorare anche sulle modalità di comunicazione e sull’approccio che questi possono mettere in atto per cercare di reprimere possibili atteggiamenti di aggressività. A dirlo è
Lucilla Ricottini, formatrice specializzata nei campi della comunicazione in sanità e della gestione dei conflitti che con Consulcesi promuove un nuovo corso di formazione aperto a tutti i camici bianchi “
Il counselling al servizio della relazione con il paziente”.
Counselling e comunicazione: il nuovo corso Consulcesi
Contro il dilagante
sentimento di sfiducia verso gli operatori sanitari, per disinnescare ogni forma di
violenza, per una migliore
cooperazione e
adesione alle cure, per
ridurre ansie e
richieste di attenzione: questi i principali obiettivi dell’applicazione del
counselling in ambito sanitario.
Un corso la cui importanza è comprovata dalla sua durata, ben
26 ore di formazione disponibile completamente da remoto, e dal numero di crediti ECM ad esso associati:
46.8.
“Le
capacità relazionali nel processo di cura sono state per troppo tempo trascurate, pensando che per “aggiustare” il corpo bastasse l’applicazione rigorosa delle nozioni scientifiche e poco avesse a che fare con l’attitudine, la reazione e il vissuto del malato che riceve quelle cure”, spiega la Ricottini.
“In realtà - prosegue l’esperta introducendo il corso composto da schermate multimediali ed interattive con le quali il professionista potrà mettere in pratica i concetti appresi – una
comunicazione efficace e di conseguenza la
relazione interpersonale che si riesce a istaurare con i pazienti, le loro famiglie e i loro caregivers, può fare la differenza nel percorso di guarigione”.
Così, partendo dall’
anatomia del sistema nervoso e dal
funzionamento dei neurotrasmettitori, si passa alla
biologia delle emozioni e alla teoria della comunicazione per giungere al counselling nella sua forma più pratica per fornire ai professionisti sanitari strumenti utili per migliorare la qualità e l’efficacia della relazione, oltre che a prevenire e gestire situazioni di violenza e aggressività.
“Le abilità di counselling dovrebbero diventare parte integrante del bagaglio culturale del professionista sanitario, rendendo più efficace l’intervento e migliorando i risultati”, conclude la Ricottini.
“È necessario lavorare molto sul
tessuto sociale e sulla
percezione del medico e dell’operatore sanitario come un’àncora a cui aggrapparsi e
non come un capro espiatorio su cui sfogare l’ira per quanto ci è accaduto”,
denuncia Consulcesi che da sempre è al fianco di medici e degli altri professionisti sanitari con un
pool legale dedicato al diritto e alla tutela in Sanità e che ha da anni attivato il
Telefono Rosso (800.620.525) per accogliere segnalazioni di aggressioni in corsia e fornire supporto psicologico a tutti gli operatori sanitari.