Frane, alluvioni, erosioni costiere sono molto frequenti in Italia. “Oltre il 90% del nostro Paese, tra zone montuose e pianeggianti, rischia il dissesto idrogeologico”, spiega Vincenzo Giovine, geologo della Società italiana di Medicina Ambientale (Sima) e componete della Fondazione del Centro Studi del Consiglio Nazionale dei Geologi. Per essere più precisi, sono ben 7.423 i comuni (93,9% del totale a rischio per frane, alluvioni o erosione costiera.
Stando ai dati dell’Ispra, l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, che con il report “Dissesto idrogeologico in Italia: pericolosità e indicatori di rischio – Edizione 2021” (che si basa sui dati del 2020) ha delineato il livello di rischio idrogeologico del nostro Paese, sono 1,3 milioni gli abitanti sui cui incombe il rischio di frane e 6,8 milioni coloro che potrebbero trovarsi coinvolti in un’alluvione. Secondo l’analisi dell’Ispra, 548mila famiglie sono in pericolo per possibili frane e oltre 2,9 milioni per alluvioni.
La cementificazione non pianificata
“Attualmente, a causa dell’emergenza climatica in corso, dovuta al riscaldamento globale, i fenomeni meteorologici estremi sono sempre più frequenti – aggiunge Giovine -. Fenomeni che causano piene improvvise o colate rapide di fango e detriti”. È anche la mano dell’uomo ad aver peggiorato ulteriormente la situazione. La cementificazione non pianificata, esplosa soprattutto nel secondo dopo guerra, ha portato ad un’edificazione senza regole che ha aumentato il rischio di dissesto idrogeologico.
Secondo i dati Ispra, il 3,9% degli edifici è stato costruito in luoghi a rischio elevato e molto elevato di frana, mentre un ulteriore 10,7% è stato realizzato in aree inondabili. Rischi maggiori derivano, poi, dalla cementificazione dei letti dei fiumi: dalle pagine del dossier “Ecosistema a Rischio 2017” di Legambiente si evince che il 9,4% delle amministrazioni comunali ha dichiarato di aver “tombato” tratti di corsi d’acqua sul proprio territorio, con una conseguente urbanizzazione delle aree sovrastanti.
Chi e cosa è a rischio
Così come ci raccontano, sempre più spesso, le pagine di cronaca, nessuna regione italiana, può di fatto, essere considerata al sicuro da questa tipologia di calamità naturali. E i dati lo confermano: tra il 1970 e il 2019 (fonte CNR-IRPI), a causa di frane e di inondazioni, 673 persone hanno perso la vita, 60 non sono state mai ritrovate, 1.923 sono rimaste ferite e più di 320 mila sono state evacuate. A rischio non ci sono solo le persone, le abitazioni e le infrastrutture, ma anche il patrimonio di beni architettonici, monumentali e archeologici del Paese. Secondo il report Ispra, degli oltre 213mila beni culturali censiti, quelli potenzialmente soggetti a fenomeni franosi sono oltre 12.500, situati in aree a pericolosità elevata e molto elevata. I beni a rischio raggiungono quota 38 mila unità se si considerano anche quelli che si trovano in aree ritenute a “minore pericolosità”. A rischio alluvioni ci sono quasi 34mila beni culturali, che salgono a 50mila abbassando il livello di pericolosità considerato.
Come cambiare rotta
“Per evitare che la situazione possa ulteriormente peggiorare è necessario pianificare degli interventi immediati – dice il geologo -. Ed oggi una grande opportunità è offerta dal PNRR, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, attraverso il quale sono stati stanziati 2,49 miliardi di euro per interventi contro il dissesto idrogeologico”. Le risorse sono destinate a progetti per ridurre il rischio di alluvioni e frane, mettendo in sicurezza i territori con interventi di riqualificazione, monitoraggio e prevenzione. Tra le operazioni possibili la stabilizzazione e il consolidamento dei pendii instabili, la ristrutturazione degli spazi dei corsi d’acqua, la loro pulizia periodica e la delocalizzazione di attività considerate a rischio.
Cosa prevede il PNRR
Le risorse stanziate con il PNRR sono state suddivise in due “sotto-misure”. La prima, di competenza del Ministero dell’Ambiente, prevede interventi nelle aree più a rischio, con l’obiettivo di portare in sicurezza 1,5 milioni di cittadini. La seconda, invece, è di competenza della protezione civile e prevede finanziamenti per il ripristino delle infrastrutture danneggiate da eventi calamitosi pregressi. I fondi per questa seconda sono stati già assegnati, quelli per la prima lo saranno entro la fine dell’anno in corso.